La rinascita della Grande Russia, dove guarda Putin dopo l'invasione Ucraina
Ha prevalso il cervello rettiliano di Vladimir Putin. E ora in Europa si sono spalancate le porte dell’inferno. Secondo uno scienziato americano, il medico e studioso di neuroscienze Paul Donald MacLean (1913-2007), l’R-complex o cervello rettiliano è una delle tre funzioni anatomiche del cervello (le altre due sono state definite Sistema limbico e Neocortex). Si occupa dei bisogni e degli istinti innati dell’umo ed è adibito a determinate “funzioni” tradotte in “operatori”. Gli “operatori rettiliani” sono i seguenti: specifico, sessuale, territoriale, gerarchico, temporale, sequenziale, spaziale e semiotico. Per Putin il territorio, la gerarchia, lo spazio – istinti primordiali dell’essere umano sebbene rivisti in versione XXI secolo – assumono rilevanza fondamentale. Persino tanto da poter essere l’innesco della Terza Guerra Mondiale.
L’Unione Sovietica si è sciolta ufficialmente il 26 dicembre 1991. E’ crollata. Ha perso la Guerra Fredda che la contrapponeva all’Occidente euro-atlantico. Quasi tutti gli stati che nelle aree esterne di confine ne facevano parte, conquistati con la forza nel corso dei decenni, o meglio dei secoli, dagli zar,e poi reinglobati nell’Urss da Stalin, si sono liberati dal gioco e quindi dai vincoli di federazione a seguito dello sfaldamento del comunismo sovietico. Hanno dichiarato la loro indipendenza. Sono così sorte o risorte parecchienazioni indipendenti: Lituania, Estonia, Lettonia, Bielorussia, Moldavia, Ucraina, Armenia, Georgia, Azerbaigian, Kirghizistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kazakistan. In parte di queste nazioni abitate anche da russi ma in prevalenza dalle etnie autoctone il potere è rimasto nelle mani degli epigoni del comunismo sovietico – come nella Bielorussia del dittatore di lungo corso Lukashenko, ex ufficiale dell’esercito sovietico ed attuale lustrascarpe di Putin – e sono rimasti saldi i legami politici, militari, culturali, economici con Mosca. Come nel caso, oltre alla Bielorussia, delle repubbliche ex sovietiche centroasiatiche di Azerbaigian, Kirghizistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kazakistan. Altri stati invece come Estonia, Lettonia, Lituania, Ucraina dopo la cosiddetta rivolta di piazza Maidan a Kiev del 2013, Armenia, Georgia non solo negli anni hanno preso le distanze da Mosca ma hanno guardato sempre più all’Occidente, al modello occidentale, all’Unione Europea, alla Nato entrandone a fare parte o chiedendo di farne parte.
In Russia nella mente di Putin e non solo di Putin la più lunga frontiera del mondo, quella del paese più vasto del mondo, per mantenere coefficienti aggiuntivi di sicurezza ha bisogno di stati vassalli ai confini. E non di confinare direttamente con le ex repubbliche dell’Urss che ora fanno parte dell’Unione Europea e, peggio ancora, della Nato come Lituania, Estonia e Lettonia o che vorrebbero entrare a far parte dell’Alleanza Atlantica come Georgia ed Ucraina.
L’Occidente dal canto suo, gli americani in particolare, nell’ultimo trentennio non si è fatto davvero pregare per allargare al massimo la Nato fino al confine occidentale della Russia. Così i politici ed i generali espressione del nazionalismo e del militarismo russo vivono una doppia frustrazione ed una doppia sconfitta. Al desiderio di rivalsa sulla incruenta sconfitta nella Guerra Fredda sommano una sorta di psicosi o di fobia militar-missilistica: i missili della Nato dislocati nei paesi ex sovietici che fino a trenta anni fa facevano da cuscinetto e “proteggevano” il confine russo, in caso di conflitto, una volta lanciati, impiegherebbero da così vicino qualche minuto appena per colpire Mosca o San Pietroburgo o infrastrutture militari al di qua degli Urali.
Piuttosto che provare ad intavolare una trattativa seria, impostata sulla fiducia reciproca, su questi passaggi spinosi con Usa e Nato, negli ultimi due decenni in cui ha spadroneggiato Putin, l’élite nazional-militare russa, come un animale ferito ma deciso a prendersi una rivincita, ha consolidato la sua decisiva capacità di paese produttore ed esportatore di energia ed ha avviato al contempo una spettacolare politica di riarmo con l’ammodernamento del proprio arsenale, sia convenzionale che nucleare. Mentre Casa Bianca, Pentagono e CIA ne snobbavano il peso militare, Putin dotava i suoi arsenali di missili ipersonici di ultimissima generazione, inintercettabili. Quando si è sentito forte al punto tale da sfidare il mondo euro-atlantico, gli europei in particolare, grazie all’arma economica (il gas) ed alle armi tirate fuori dagli arsenali, l’inquilino del Cremlino ha architettato l’invasione dell’Ucraina. Con il preludio delle solite tappe di controinformazione, pretesti, riconoscimenti unilaterali di minuscole repubbliche russofone come quelle ucraine di Donetsk e Lugansk nel Donbass, a ridosso del confine russo. Sempre il solito copione. Ora sta andando in scena la seconda puntata di uno scontro armato con Kiev iniziato nel 2014 quando, oltre ad appoggiare il separatismo delle due piccole repubbliche, la Russia aveva agito in proprio riprendendosi dall’Ucraina con le armi la Crimea. Il conflitto è rimasto strisciante o a bassa frequenza. Anche se parecchio sangue è stato reciprocamente versato tra ucraini ed indipendentisti russi nel Donbass in questi otto anni.
Ora però gli obiettivi di Mosca sono diventati più ambiziosi, non territorialmente limitati. Si invade l’Ucraina, stato indipendente e sovrano. In Europa si torna indietro di 85 anni, a quando Hitler, con identico approccio e mentalità, invadeva ed annetteva l’Austria, parte della Cecoslovacchia e poi, nel mese di settembre del 1939, invadeva la Polonia, primo capitolo della Seconda Guerra Mondiale. Invadere da nord, est e sud uno stato indipendente europeo di 40 e più milioni di abitanti nel 2022, assediare la sua capitale e combattere nelle sue strade, attaccare tutte le altre più importanti città popolate da milioni di abitanti, bombardare infrastrutture militari ma anche case e civili – perché che i bombardamenti possano essere “chirurgici” è una grandissima balla – deve essere considerato qualcosa di mostruoso, fuori dal tempo. Qualcosa che rimette di molto indietro le lancette dell’orologio della storia.
Putin con le sue armi da deserto radioattivo perenne si sente talmente forte da non ascoltare nessun invito alla risoluzione mediante trattative per le quali in tanti, a cominciare dal francese Macron, si sono spesi. Consapevoli di quale porta di devastazioni il conflitto russo-ucraino stesse aprendo. Altro che incontri e trattative. L’invasione in realtà era decisa da mesi. Putin e il suo ministro degli Esteri Lavrov hanno preso in giro i dirimpettai americano, tedesco, francese. Gli prudevano le mani e, da buon atleta di judo quale è, il nuovo zar Vladimir aveva solo desiderio di lottare. Altro che diplomazia. Piuttosto il padrone incontrastato della Russia minaccia a destra e a manca come un cane rabbioso. Negli ultimi giorni non ha saputo fare di meglio che avvisare l’Occidente che se avesse interferito in Ucraina rispetto ai suoi piani militari avrebbe pagato un prezzo “mai visto nella storia”. Sarebbe dunque disposto ad usare armi nucleari minori, tattiche? Oppure i suoi sottomarini taglierebbero sul fondo dell’Atlantico i cavi delle reti informatiche che collegano l’America con l’Europa riportandoci all’età della pietra? Distruggerebbe definitivamente con devastanti cyber-attacchi le reti informatiche del Vecchio Continente? Impiegherebbe armi chimiche? Quali demoniaci propositi nascondono questi avvertimenti mafiosi tipici dell’uomo e dell’establishment affaristico-militare che gli si inchina e lo ossequia ormai alla stregua dei gerarchi e generali nordcoreani con il “leader supremo” KimJong-un?
Venerdì 25 febbraio non sono mancati, ad adiuvandum, gli avvertimenti mafiosi a Svezia e Finlandia. Due paesi di lunga tradizione di indipendenza e neutralità. Certamente non popolati da russi. Ma ormai talmente terrorizzati dalla straripante aggressività russa da fare più che un pensierino all’entrata nella Nato. E giù minacce esplicite anche a Stoccolma e ad Helsinki se decidessero di entrare a far parte della Nato.
Il dato di fatto rimane che dal 2008-2009 non facciamo altro che passare senza soluzione di continuità da una crisi all’altra. Sono ormai tre lustri che appena sembra che si esca da emergenze epocali si ripiomba in nuove e più catastrofiche emergenze. Quando sembrava che si stesse uscendo dalla crisi economica globale iniziata nel 2008 negli Usa e nel 2009 da noi ecco che nel 2020 arriva a sconvolgere tutto il covid. Quando nel 2022 sembra che si stia allentando la morsa del covidecco che una coltre di angoscia ricopre l’Europa: arriva la guerra scatenata da quel pericolo dell’umanità che risponde al nome di Vladimir Putin. Minaccia diretta ai valori europei ed alla sicurezza europea. L’Ucraina è solo l’inizio?
Putin vuole essere ricordato nella storia non come colui che ha guidato per oltre venti anni, o come vorrebbe lui piuttosto forse a vita, una Russia sconfitta e declinante ma come il condottiero di una Russia ritornata – grazie alle sue armi di distruzione di massa, alla sua potente aviazione, alle sue navi da guerra, ai suoi carri armati – superpotenza dominante. Non di secondo rango rispetto ad Usa e Cina. Mentalità e linguaggi da secoli scorsi. Siamo di nuovo alle cosiddette “sfere di influenze” in Europa.
Se gli americani nell’ultimo trentennio, in modo piuttosto miope, hanno sottovalutato la Russia, provando persino ad umiliarla, il boss del Cremlino commette l’errore opposto: la sopravvaluta. In fondo la Russia, pur così enorme e potentemente armata, ha un Pil inferiore a quello della piccola Italia e dieci volte inferiore a quello dell’Unione Europea.
Né appare storicamente giustificabile questa neppure tanto celata voglia del cerchio magico cleptocratico e tangentista putiniano di rimettere in piedi il controllo sui territori su cui Mosca imperava ai tempi dell’Urss o piuttosto, prima ancora, degli zar. Una dottrina del genere produrrebbe tanti di quei guasti da non potere essere neppure immaginati. E allora perché Roma, cioè l’Italia, non dovrebbe riprendersi tutto il Mediterraneo, il “Mare Nostrum”, con tutti gli stati che vi si affacciano? In fondo tutte queste aree geografiche sono state suddite di Roma per secoli su secoli. Capite bene che si tratta di una provocazione, di una eresia da ricovero psichiatrico. Ma è a queste mostruose giustificazioni che potrebbe portare in un gioco di rimandi storici la dottrina neoimperiale russa putiniana.
Mentre a Kiev, città di oltre due milioni di abitanti, si combatte nelle vie e nelle case e i cittadini, uomini e donne, hanno imbracciato il fucile in una disperata resistenza per contrastare carri armati ed iper-addestrati professionisti russi della guerra in una guerriglia comunque destinata a soccombere, l’attenzione di tutti è concentrata sull’articolo 5 del Trattato istitutivo della Nato. In estrema sintesi dispone che all’attacco ad uno qualsiasi dei paesi componenti tutti gli altri unitariamente devono rispondere. E’ questo il punto nodale che allarma le cancellerie e le opinioni pubbliche europee. Tradotto: l’Ucraina non fa parte della Nato e quindi – è stato detto e ridetto – le truppe dei paesi Nato non intervengono direttamente a combattere sul territorio ucraino per appoggiare la resistenza di quel popolo all’invasore russo. Ma ciò non esclude che si possano fornire armamenti ed equipaggiamenti militari alle forze armate di Kiev. L’interrogativo è: Putin si fermerà all’Ucraina o nei suoi piani delle prossime settimane, dei prossimi mesi, dei prossimi anni è previsto di replicare quanto sta facendo sul suolo ucraino ad esempio in Lituania, Estonia, Lettonia dove vivono consistenti minoranze russe? I tre paesi baltici non solo fanno parte dell’Unione Europea ma fanno parte della Nato. Ed allora, in quella eventualità, paesi euro-atlantici da una parte e russi e bielorussi dall’altra (questi ultimi solo perché costretti dal dittatore Lukashenko, ruotino di scorta di Putin) comincerebbero a spararsi gli uni contro gli altri. Scenari da Terza Guerra Mondiale. Prima con gli armamenti convenzionali e poi, in base a come si evolverà la situazione sul campo, possibilmente con le armi nucleari. Cominciando dalle armi nucleari tattiche o di teatro - cioè dalle meno distruttive comunque capaci di provocare con un solo colpo decine o centinaia di migliaia di vittime – a salire fino all’Apocalisse. Ecco perché l’articolo 5 rappresenta al contempo la nostra assicurazione, la nostra salvezza ma anche la nostra condanna e la nostra distruzione. Le alleanze militari funzionano storicamente così. “E’ la deterrenza, bellezza!” direbbe qualcuno con la più sconsiderata delle battute.
Venerdì 25 febbraio papa Francesco, zoppicante con il suo ginocchio malandato, si è infilato nella sua utilitaria e si è fatto portare dall’autista nell’ambasciata russa presso la Santa Sede in via della Conciliazione. Pellegrino di pace, messaggero di pace, uomo di pace. Un gesto inusuale, la prima volta di un papa che si reca in una ambasciata di un paese accreditato piuttosto che fare convocare d’autorità dal cardinale segretario di Stato quell’ambasciatore. Un gesto che va ben oltre le rotture delle gabbie protocollari alle quali questo grande pontefice ci ha abituati. Testimonia la fondata preoccupazione della principale autorità morale di un mondo impazzito ed in subbuglio per la situazione in Ucraina e per gli sviluppi incontrollabili che può assumere nell’intero continente europeo. Mentre Pechino, che tifa per l’amica Mosca, sta a guardare con qualche timido tentativo di mediazione (ricordiamo che i cinesi sono il principale partner commerciale dell’Ucraina con la quale hanno sempre mantenuto ottimi rapporti). La Cina, spettatrice interessata, rimane alla finestra. Molto attenta a capire se con l’Occidente debole e non particolarmente voglioso sia di combattere sia di conflitti mondiali può replicare l’approccio russo in Ucraina dalle sue parti in Asia. Riprendendosi l’isola di Taiwan, territorio integrante ed irrinunciabile ad avviso di Pechino della “Grande Cina”.
La disperata, in qualche caso eroica, resistenza di militari e civili ucraini allo strapotere militare dei russi ha scombinato i piani dei generali di Mosca. Putin aveva parlato di “operazione speciale” piuttosto che di invasione (ci mancherebbe…) probabilmente ipotizzando una guerra-lampo selettiva ed un rapido crollo dello stato ucraino. Ma non è andata così, il rischio costosissimo di impantanarsi e di dover combattere dentro le città prende consistenza. Così Putin dichiara la guerra totale e chiama a dargli manforte le spietate, famigerate milizie cecene, di fatto suoi pretoriani. Per metterle di fronte alle non meno famigerate ed agguerrite milizie ultranazionaliste ucraine, di norma più risolute dell’esercito ucraino. In tutto questo scontro che diventa ogni ora più micidiale nel mezzo rimangono i civili inermi, deboli. Chi può va via, all’estero. Si profila una crisi umanitaria senza precedenti in Europa. L’ondata comincia ad arrivare nei confinanti stati di Polonia, Ungheria, Romania. Di norma molto ostili ad immigrati e profughi, polacchi ed ungheresi stanno invece dimostrando concreta accoglienza nei confronti dei profughi ucraini. L’ondata giorno dopo giorno si sposterà sempre più ad ovest.
La crisi umanitaria non ci deve lasciare indifferenti. In Italia, nelle case degli italiani, vivono 235.000 ucraini, in prevalenza donne, badanti. Attrezziamoci ad accogliere non sparuti gruppi ma decine, centinaia di migliaia di profughi che più profughi non si può. Talmente tanti coloro che verranno anche in Italia da fare raddoppiare e più i numeri della comunità ucraina nel nostro paese. Accogliamoli. Non è il momento di pregiudizi e braccino corto.
Putin va portato alla sbarra alla Corte Penale Internazionale. Tante immagini televisive dall’Ucraina in questi giorni ci hanno sconvolto. Quelle della metropolitana di Kiev piena di migliaia di abitanti accampati che la utilizzano come rifugio antiaereo, antimissili, antiartiglieria, anticarriarmati. Quelle di padri ucraini che abbracciano piangendo moglie e figli piccoli in partenza in cerca di salvezza altrove. Mentre essi sono richiamati a combattere. E possibilmente a morire combattendo contro altri giovani uomini di un popolo “fratello” (gli intrecci familiari tra russi ed ucraini si contano a milioni). E ancora: le immagini televisive di automobili deliberatamente schiacciate di carri armati russi. Sulla sensibilità di nonno di chi firma questo articolo hanno aperto ferite le immagini dei bambini leucemici ricoverati in ospedale a Kiev costretti nelle loro condizioni più che precarie ad essere trasferiti altrove. E l’intervista ad una piccola bambina appena più grande per età della mia nipotina. Il padre aveva provato a spiegarle cosa stesse succedendo, cosa era la guerra e lei – cinque, sei anni al massimo – piangeva a dirotto pronunciando parole laceranti: “Ho paura. Non voglio morire”. Anche di tutto questo Vladimir Putin dovrà rendere conto. E non al fumoso, indefinito “Tribunale della storia” ma, ben più concretamente, alla Corte Penale Internazionale che ha sede a L’Aia, in Olanda. Tribunale per crimini internazionali che ha condannato precedenti macellai di guerra dell’ex Jugoslavia come l’ex presidente Slobodan Milosevic, l’ex leader serbo-bosniaco RadovanZaradzic, il suo ex comandante militare RatkoMladic.
Si fa un gran parlare delle sanzioni economiche che si applicheranno alla Russia per farle male. In realtà le sanzioni economiche servono più che altro a fare crescere il “business” degli Stati Uniti a scapito dei loro alleati europei. Anche perché i rapporti economici tra Washington e Mosca sono ormai da tempo molto ridotti mentre piuttosto consistenti, specie in campo energetico, agricolo ed industriale, sono sempre più divenuti i rapporti tra paesi europei e Russia. Storicamente non è che le sanzioni abbiano mai prodotto grandi effetti, ad esempio in Iran o Corea del Nord. Isolano, ma molto meno di quanto si pensi, le economie dei paesi sanzionati. E finiscono per renderli più autarchici. In qualche modo li incaponiscono e li consolidano nelle loro linee ideologiche, nella loro dottrina e nei loro comportamenti strategici. Il rischio che le sanzioni alla Russia facciano più male alle economie italiana e tedesca che a quella di Mosca non è poi tanto peregrino.Del resto Biden è stato chiaro: le alternative erano solo due; o le sanzioni o l’intervento militare diretto della Nato a fianco dell’Ucraina. E dunque, nella seconda ipotesi, per dirla tutta, americani a combattere contro i russi sul campo. Cioè direttamente la Terza Guerra Mondiale.
Ci aspettano anni bui sul piano energetico, economico, produttivo, dei conflitti sociali ai quali gli effetti delle sanzioni non saranno estranei.
Pensare che con il Recovery Fund e con il PNRR, con l’Unione Europea che allargava finalmente i cordoni della borsa all’inizio di questo decennio, l’Italia avrebbe potuto rialzare un po’ la testa sul terreno economico e infrastrutturale rispetto alle sue perenni posizioni di coda nelle classifiche europee. Non sarà così. Anche per la Germania si prevedono dolori. Che errore storico hanno commesso gli europei, alcuni in particolare e noi tra questi, a mettersi da due decenni nelle mani di Putin per gli approvvigionamenti di gas! Ed anche di petrolio.
A proposito di Germania. Non è che Renzi, dopo aver dissipato un patrimonio di consensi ed aver squassato il PD, sia per noi un faro di riferimento e di pensiero. Ma in questo caso, una volta tanto, siamo d’accordo con lui: ha proposto di nominare la pensionata Angela Merkel rappresentante plenipotenziaria di UE e Nato nel confronto-dialogo con Putin. Ha la stoffa, l’autorevolezza, l’esperienza per poterlo fare.
Siamo siciliani e pertanto restiamo nell’attualità alla Sicilia. In tanti si chiedono: un allargamento del conflitto dall’Ucraina ad altri teatri di guerra cosa comporterebbe? Quale sarebbe l’esposizione della nostra isola? Cominciamo intanto dalle ricadute economiche. L’export siciliano in Russia non è marginale, soprattutto nei settori agroalimentare ma anche della produzione industriale, della raffinazione di idrocarburi. E la presenza nell’isola di turisti russi negli anni è divenuta sempre più consistente. Ha rimpiazzato almeno in parte o comunque integrato la storica presenza tedesca, inglese, francese, belga, olandese, svizzera, scandinava prima del blocco o comunque del forte rallentamento provocato dai due anni di pandemia. I soggiorni di turisti russi in Sicilia ora andranno riposti nei cassetti dei ricordi. Con perdite notevolissime per i nostri operatori economici.
Se poi malauguratamente Russia e Nato dovessero cominciare a spararsi addosso quattro sono a nostro avviso in Sicilia i principali obiettivi di attacchi missilistici russi. Ovviamente quattro obiettivi militari non lasciati indifesi ma protetti a loro volta da sistemi d’arma. Eccoli: 1) La base aerea italo-americana di Sigonella dove sono dislocati sia aerei militari che droni americani che controllano l’area del Mar Nero, dell’Ucraina, del territorio russo confinante potendo restare in volo anche 30 ore continuativamente. 2) L’importantissimo super radar Muos di Niscemi, basilare per il controllo Usa degli spazi, della situazione a terra, dei movimenti delle truppe di Mosca. Di questo tipo di radar gli Usa ne hanno installati solo quattro in tutto il mondo. 3) La base aerea italiana di Trapani-Birgi nella quale sono dislocate squadriglie dei nostri più avanzati caccia. 4) Il porto militare di Augusta. Non rilevante al pari delle basi della nostra Marina militare di La Spezia e Taranto ma comunque infrastruttura navale importante.
La guerra rischia seriamente di essere in mezzo a noi e tra noi. La Terza Guerra Mondiale “a pezzetti”, come da anni ripete papa Francesco, rischia adesso di piombarci addosso in pieno, al completo e con tutto il suo catastrofico peso, non a pezzi. Immaginiamo lo sconcerto e lo stupore soprattutto dei giovani, della generazione Erasmus, degli adolescenti, dei millennials, della generazione Z. Di giovani cioè che di guerra hanno sì e no letto sui libri di storia e sui giornali. Abituati a considerarsi cittadini del mondo, a viaggiare, a sentirsi a casa in ogni paese e in ogni continente.
Cosa possiamo fare in questi giorni tragici noi cittadini, adulti e giovani? Ben poco per la verità. Le decisioni importanti si prendono altrove. Ma una grande arma a nostra disposizione esiste. Mobilitiamoci, protestiamo, manifestiamo, sfiliamo nelle strade, diamo vita a sit-in. Se in Russia si registrano proteste con migliaia di persone che si radunano nelle piazze contro l’invasione dell’Ucraina da parte del loro esercito – e lì si che chi protesta finisce in galera, come ordina l’illiberale compagno Putin… - a maggior ragione dobbiamo farlo noi. Nelle nostre città, nei nostri paesi. Ovunque. Contro i carri armati, i jet di guerra, gli armamenti, le invasioni di stati indipendenti in pieno 2022. Contro la concezione animalesca che le contese territoriali – di solito montate e poi alimentate ad arte – si possano risolvere aggredendo gli stati più deboli. Si possano risolvere con la forza delle armi, con l’omicidio di gente in divisa ma anche di gente inerme: uomini, donne, bambini e bambine, anziani e anziane.
Il pacifismo, come la pace, non può essere sepolto dai troppi Putin con le mani sporche di sangue che il mondo ha dovuto sopportare. La pace è il bene più vitale per l’essere umano. Fondamentale non meno della democrazia, del rispetto, della solidarietà, della fratellanza razziale. Se non vogliamo essere combattenti nelle guerre dobbiamo essere combattenti per la pace. Si è tornati negli ultimi anni a manifestare, specie i giovani, per il clima e per la salute ambientale? Bene. Ora è il momento di tornare in piazza tutti, giovani e meno giovani, per la pace. Una volta il pacifismo peccava secondo i suoi critici di antiamericanismo a senso unico? Probabilmente vero. Bene. Ora il pacifismo deve essere contemporaneamente antiamericano, antirusso, anticinese. Insomma antimperialista come sempre ma “aggiornato” al nuovo tripolarismo. Cioè anche contro gli altri due imperialismi che affiancano quello americano. Dobbiamo dare vita oggi e subito ad un militante pacifismo anti-superpotenze che rappresenti una generalizzata, incalzante presa di coscienza a livello planetario.
Fatte
salve poche eccezioni – ad esempio Napoleone Bonaparte, Stalin, Mao – la storia
somiglia ad un lungo campionario di dittatori ed autocrati che non sono morti
di vecchiaia e nel loro letto. Oppure in un letto di ospedale dove erano ricoverati
per malattie ed età avanzata. Da Giulio Cesare a Mussolini, da Hitler a Saddam
Hussein, dallo zar Nicola II di Russia a Gheddafi, dai romeni Antonescu a Ceaucescu,
dal primo ministro giapponese HidekiTojo al dittatore liberiano Samuele Doe. Il
corpo di Cronwell in Inghilterra, morto per cause
naturali, venne riesumato e sottoposto ad una esecuzione postuma. Decapitato, giustiziato
dopo due anni che era già morto! A decine, a centinaia sono morti di morte
violenta o sono stati giustiziati. Vladimir
Putin - dittatore del nostro tempo ma fuori dal tempo perché fuori dal tempo in
Europa nel 2022 non può che essere il ricorso alla guerra, leader con le mani
sporche di sangue innocente non da ora ma da parecchi anni - morirà di
vecchiaia nel suo letto?
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