La Regione vara il primo bilancio a tutele crescenti

Economia | 2 maggio 2015
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Alle 11.30 del 1 maggio, con una conclusione al cardiopalma per il rischio della mancanza del numero legale, l'Assemblea Regionale ha approvato la legge di bilancio e la manovra finanziaria. Agli amanti delle statistiche piacerà ricordare che lo scorso anno entrambi i disegni di legge furono approvati all'alba della festa dei lavoratori: è, il ritardo, segno dell'addensarsi di ulteriori difficoltà politiche sulla travagliata esperienza della presidenza Crocetta? La mia opinione è che questa sessione di bilancio, che si è rivelata del tutto mediocre nei contenuti, rappresenti invece un momento di svolta riguardo al rapporto tra la Regione e il governo nazionale.

Parto da due constatazioni: a) il bilancio della Regione siciliana è ormai un mero strumento contabile, assolutamente inutilizzabile per il rilancio di qualsiasi progetto di sviluppo dell'isola; b) la recente sentenza della Corte Costituzionale sulle funzioni e competenze del commissario dello Stato ha fatto venir meno la possibilità di contrattare direttamente con l'inquilino di piazza Principe di Camporeale la struttura e gli equilibri della manovra finanziaria. Siamo perciò in presenza di un bilancio che è figlio di una trattativa che la Regione ha condotto in condizioni di crescente debolezza con il Governo centrale e che dipende per quasi un miliardo e mezzo di euro dalla concessione, per il terzo anno consecutivo, della possibilità di utilizzare fondi nazionali per lo sviluppo per coprire i buchi della spesa corrente (quest'anno la quota è di 673 milioni di euro sottratti al FSC) e dall'impegno del governo di Roma di aprire i cordoni della borsa per 450 milioni di euro. Due assessori al Bilancio “romani”sono stati in anni successivi protagonisti di operazioni simili: a Luca Bianchi essa non riuscì perché il Commissario dello stato si mise di traverso, Baccei ha potuto farsi forte della sterilizzazione del ruolo del Commissario e della piena sintonia con Roma.

Se, da comune cittadino potessi dare un suggerimento al “cotanto senno” che si aggira per i corridoi dei Normanni, mi permetterei di dire che in questi passaggi si è consumata una modifica profonda della costituzione materiale della Sicilia, che mette in discussione una parte tutt'altro che secondaria degli istituti dell'autonomia speciale. La manovra finanziaria in sé ha contenuti deboli: non si affronta il tema della riforma dell'amministrazione regionale, si continua a rinviare il destino delle partecipate, non v'è né -poteva esserci rebus sic stantibus- alcuna indicazione in direzione dello sviluppo.

Una serie di norme vengono addirittura rinviate alla manovrina preannunciata per il prossimo luglio. La lite finale sulla famigerata tabella H dimostra, ancora una volta, la distanza dai bisogni reali delle persone, dei giovani e delle famiglie siciliane , che non siano il solito gruppo urlante dei PIP palermitani. Il solo elemento di novità riguarda l'intervento sul trattamento pensionistico dei dipendenti regionali, con gli ammennicoli del taglio ope legis dei permessi sindacali (il numero di distacchi dei regionale era scandaloso, ma decurtarli per legge è un errore perché si tratta di una potestà contrattuale); mentre è abbastanza anomalo nel sistema italiano di relazioni sindacali accompagnare la riduzione dell'organico dei dirigenti con la previsione dell'indizione di nuovi concorsi, pur se limitati al 10% di coloro che usciranno dai ranghi dell'Amministrazione.

Una tale operazione andrebbe, semmai, collegata ad un'azione seria e radicale di riforma dei poteri e delle funzioni della Regione. Più delicata appare la vicenda dell'armonizzazione dei trattamenti pensionistici: non era pensabile che la Sicilia continuasse a mantenere una normativa diversa da quella in vigore, nello stesso territorio dell'isola, per i dipendenti statali e per quelli degli enti locali ed ormai sostanzialmente incompatibile con l'assetto del sistema previdenziale (ricordo a me stesso che le leggi previdenziali, configurandosi come “grande riforma” non sono comprese nella potestà legislativa esclusiva della Regione).

Tuttavia è stato un errore da parte di alcuni esponenti politici dar vita ad una campagna che ha fatto dei dipendenti regionali il capro espiatorio di tutti i mali siciliani, quasi un'offa per garantire al governo nazionale che l'ARS non avrebbe ancora una volta scelto la strada del rinvio. Ho però il dovere di dire che il sindacato confederale ha perso un'occasione per inchiodare alla propria responsabilità la Giunta regionale e l'Assemblea: aver scelto l'Union sacrèe con i protagonisti del modello di rivendicazionismo corporativo che ha caratterizzato negli anni recenti le vicende rivendicative dei regionali non è servito alla causa delle lavoratrici e dei lavoratori regionali, facendoli anzi apparire come coloro che lottavano per difendere privilegi in una Sicilia economicamente e socialmente sempre più in difficoltà.

Una riflessione sul futuro, per evitare di ripetere gli stessi errori, sarebbe di grande giovamento alla causa dei dipendenti della Regione che sono, nella stragrande maggioranza, persone per bene che fanno con dignità e competenza il proprio lavoro.

 di Franco Garufi

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