La prescrizione "salva" il maltolto
Società | 21 marzo 2015
Il presidente della Corte di Cassazione, nel discorso inaugurale dell' anno giudiziario, ha quantificato in oltre 1.500.000 il numero dei processi per i quali, nell' ultimo decennio, è stata dichiarata la prescrizione, così confermando i dati forniti dal Csm che, già nel 2011, stimava in 150.000 i processi che, ogni anno, si estinguono per prescrizione.Questa "mattanza" giudiziaria - che trova la causa prima nella emanazione della legge "ex Cirielli" (2005), la quale ha ridotto per un gran numero di reati il termine massimo prescrizionale (abbassandolo da 15 a 7 anni e mezzo) - ha interessato, e in misura rilevante, anche i reati di corruzione e di truffa aggravata ai danni dello Stato e, segnatamente, le truffe comunitarie, in ordine ai quali, oltre al breve termine prescrizionale, influisce anche la circostanza che l' accertamento del reato avviene a distanza di anni dalla commissione del fatto, data dalla quale inizia, comunque, a decorrere il termine di prescrizione.A nulla è valsa, ai fini di rimuovere l' inerzia della classe politica, la ratifica, con legge n° 116/2009, della Convenzione dell' Organizzazione delle Nazioni Unite contro la Corruzione che, all' art. 29 stabilisce: "...ciascuno Stato parte fissa, nell' ambito del proprio diritto interno, un lungo termine di prescrizione entro il quale i procedimenti possono essere avviati per uno dei reati stabiliti conformemente alla presente Convenzione".Così come a nulla è valso il rapporto del 2-7-2009 del "Gruppo di Stati" contro la corruzione che agisce nell' ambito del Consiglio europeo ("GRECO") che - nel valutare le politiche anticorruzione poste in essere dall' Italia - ha sottolineato in termini negativi il fatto che "in Italia i processi per corruzione sovente non arrivano a una decisione di merito, in considerazione del maturare del termine di prescrizione del reato prima di una pronuncia definitiva".NONOSTANTE l'"ecatombe" dei processi, vero "scandalo" della giustizia italiana, Parlamento e governo sono rimasti inerti per dieci anni. Solo il 29-8-2014 il governo ha approvato un ddl riguardante anche la prescrizione, al quale non è stata data alcuna corsia preferenziale e che, comunque, risolve solo in minima parte il problema, limitandosi a far valere brevi periodi di sospensione (due anni per l' appello, uno per il ricorso in Cassazione) anziché stabilire che l' ulteriore corso della prescrizione del reato deve ritenersi precluso dal concreto esercizio dell' azione penale mediante l' instaurazione del giudizio.Ma il problema più grave è che la prescrizione, non solo elimina applicazione della pena, quanto impedisce allo Stato di riottenere la restituzione del denaro "frutto" della truffa ai suoi danni, di confiscare i beni dei corrotti, ovvero "il denaro, i beni e le altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza" (art. 12 quinquies L. 552/92). Invero le Sezioni Unite (S.U.), con sentenza n. 38834/08, hanno affermato che non è possibile procedere alla confisca obbligatoria dei beni che costituiscono il "prezzo" del reato di corruzione, e, cioè, delle cose date o promesse per indurre il p.u. a commettere il reato, di fronte a una sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, essendo sempre necessaria una sentenza di condanna.Va precisato che le S.U. - nel risolvere un forte contrasto insorto tra le varie sezioni e tra le stesse S.U. - hanno, comunque, invitato il legislatore a "riflettere" per evitare l' arricchimento "antigiuridico e immorale" degli imputati che ottengono la restituzione del prezzo della corruzione. Tale invito è rimasto disatteso, così come sono state disattesi gli appelli di varie associazioni che avevano invitato il Parlamento e il ministro della Giustizia ad adottare provvedimenti atti a consentire la confisca dei beni dei corrotti anche in caso di estinzione del reato per prescrizione.Tale interpretazione delle S.U. - del tutto inconciliabile con le esigenze di lotta al crimine organizzato - è stata, comunque, incisivamente contrastata dalla sezione II della Cassazione (sentenza n. 32273/10), la quale ha affermato che - oltre che nel caso di sentenza di condanna, in cui va sempre disposta la confisca del "profitto" del reato di cui all' art. 240 secondo comma n. 1 c.p. ovvero "del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza" di cui agli articoli 12 quinquies e sexies L.552/92 - anche nella ipotesi di proscioglimento per estinzione del reato per prescrizione, il giudice può disporre la confisca delle cose suddette; in tal caso, il provvedimento ablatorio è subordinato all' accertamento (incidentale) da parte del giudice del fatto costituente reato.Si è affermato in tale decisione che la confisca obbligatoria risponde a una duplice finalità, ossia quella di colpire il soggetto che ha acquisito i beni illecitamente e quella di eliminare in maniera definitiva dal mondo giuridico e dai traffici commerciali valori patrimoniali, la cui origine risale all' attività criminale posta in essere, essendo il provvedimento ablativo correlato a una precisa connotazione obiettiva di illiceità che investe la res determinandone la pericolosità in sé.TALE interpretazione è stata confermata sempre dalla II Sez. della Corte con sentenza n. 39756/11 nel procedimento penale a carico di Massimo Ciancimino ed altri, ove, pur nella declaratoria di estinzione per prescrizione del reato, si è confermata la confisca del patrimonio del Ciancimino disposta con la sentenza di condanna di II grado.A fronte dell' invito rivolto dalle S.U. e del contrasto giurisprudenziale in atto, ci si aspettava un pronto intervento del legislatore che - partendo dal dato incontestabile che l' obiettivo della confisca obbligatoria, è quello di privare l' autore del reato degli illeciti vantaggi economici che da esso derivano e di contrastare i più diffusi fenomeni di criminalità - riconosca, in caso di estinzione del reato, al giudice poteri di accertamento del reato stesso ai fini dell' applicazione della confisca (anche per equivalente) allo stesso modo in cui è normativamente riconosciuto al giudice di appello e di legittimità il potere di accertamento (incidentale) del reato ai fini delle statuizioni civili. L' appello dei magistrati della Corte non è stato finora accolto dal legislatore consentendosi, così, che il pubblico ufficiale corrotto, non punibile per il mero decorso del tempo, continui a "godersi" il denaro che egli ebbe a ricevere per commettere il fatto delittuoso (Il Fatto Quotidiano).* Presidente II sezione della Corte di Cassazione.
di Antonio Esposito*
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