La povertà costringe a rubare, l'allarme dei giudici siciliani

Società | 1 febbraio 2020
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Parla di geografia del crimine tipica dei Paesi sottosviluppati il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato che, nel suo intervento alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, partendo dall’analisi dei reati commessi nel distretto palermitano, disegna un affresco della società. «I furti cosiddetti minori, perpetrati da persone in stato di bisogno e in quartieri dove sono forti la dispersione scolastica e la disoccupazione, sono aumentati del 20%. - spiega - Nonostante la Procura si sia organizzata con un ufficio ad hoc il fenomeno ha registrato un enorme incremento», dice definendo come tipico esempio di «efficienza inefficace» il contrasto a questo genere di crimini. «Nonostante le pene inflitte, il fenomeno cresce», prosegue parlando di una «illegalità di insussistenza che non si combatte col codice. Le pene pecuniarie non possono essere riscosse perché i condannati sono incapienti le pene detentive brevi vengono convertite in obbligo di firma», spiega. «E' il tempo di rivisitare anche le forme di questa cerimonia - conclude - perchè la questione giustizia è sempre più connessa a quella sociale e il dibattito deve investire tematiche più complesse». «C'è troppa gente che ruba e ruba risorse pubbliche. Parlo di colletti bianchi e inamidati. Ci sono più denunce contro la mafia che contro i pubblici ufficiali corrotti. Ciò vuol dire che le leggi non hanno funzionato anche perché molti condannati restano al loro posto. E allora non c'è alcuna deterrenza.», ha detto poi il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi. «Corrotti e corruttori - ha aggiunto - traggono dalla mafia preziosi insegnamenti, adottano cautele negli incontri per evitare intercettazioni, usano comunicazioni criptiche quando parlano tra loro, hanno incontri riservati avendo cura di lasciare i telefoni, riciclano come i mafiosi e autoriciclano. Comportamenti prima tipici solo dei mafiosi ora nella routine di corrotti e corruttori. Ciò rende le indagini più difficili». "Tra corrotto e corruttore poi c'è un interesse reciproco da tutelare, ciò comporta che le denunce o non ci sono o sono pochissime», ha spiegato Lo Voi che ha concluso: «forse occorre una presa di coscienza su un fenomeno che fa danni come la mafia, non spara, ma danneggia l’economia,l' imprenditoria onesta e l’intera società. Contro la mafia,dunque, serve una risposta collettiva della società e di tutte le istituzioni».


 Caltanissetta, Patto tra stiddra e cosa nostra

 «Stidda e Cosa nostra (quest’ultima suddivisa nei mandamenti di Mussomeli, Vallelunga Pratameno, Gela e Riesi) continuano a rispettare un subdolo patto di non belligeranza in un’ottica di cointeressenze illecite comuni, attuate imponendo estorsioni, sfruttando i profitti dell’usura e del traffico degli stupefacenti e accaparrandosi i settori di mercato più redditizi attraverso l'affidamento di appalti e subappalti», ha affermato la presidente della Corte d’Appello di caltanissetta Maria Grazia Vagliasindi nel corso della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario. "Non si può combattere la criminalità organizzata, che non è più solo siciliana, se non la si attacca su tutti i piani colpendo soprattutto il cuore degli imperi finanziari, se non se ne taglia ogni tentacolo, - ha proseguito - se non si identifica soprattutto la rete dei sostenitori, facilitatori (broker e consulenti finanziari) che ne consentono la proliferazione e la sopravvivenza. È un rischio troppo grosso l’isolamento di magistrati che, quotidianamente, con tenacia e in nome del popolo italiano, ad onta di un organico all’evidenza insufficiente, sono impegnati in questo distretto. Un rischio che lo Stato ha il dovere di scongiurare perché ha un costo troppo alto, quello umano, anche sotto il profilo di una delegittimazione mortificante da parte del personale e dell’utenza». «Non illudiamoci. La mafia non è sconfitta. E non è neppure più debole. Assolutamente no. Riusciamo a contrastarne gli effetti nefasti solo grazie ad un impegno indefesso. E ciò rende maggiormente degno di elogio il lavoro della magistratura che opera in questo pezzo di terra al centro della Trinacria», ha continuato il procuratore generale di Caltanissetta, Lia Sava. «Non sono, dunque, consentiti cedimenti di sorta, non possiamo arretrare di un solo passo, - ha aggiunto - specie in un ambito territoriale come il nostro, afflitto più di altri dagli effetti della crisi economica che ha indotto, negli ultimi cinque anni, undicimila persone a cercare fortuna altrove. Amara constatazione che non può consentire, comunque, alcun sentimento si rassegnazione. Ecco perché la Corte di Appello di Caltanissetta non può essere soppressa, perché roccaforte di legalità e baluardo di resistenza alle aggressioni subdole di organizzazioni criminali che succhiano avidamente la linfa vitale indispensabile al riscatto della nostra Sicilia». "Caltanissetta è il solo distretto giudiziario italiano nel quale operano ben tre organizzazioni di stampo mafioso, Cosa Nostra, Stidda e gruppo Alferi. - ha proseguito - La Direzione distrettuale Antimafia di Caltanissetta, anche quest’anno, è riuscita, a prezzo del consueto straordinario impegno, agendo in sinergia con il mio ufficio, e con le altre Procure del distretto, a raggiungere encomiabili risultati nel contrasto all’odiosità e pervicacia del contesto criminale».


 Prescrizione, avvocati senza toga per protesta a Messina

 In occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, gli avvocati del Distretto della Corte di Appello di Messina hanno scelto di assistere alla cerimonia senza indossare la toga, come hanno spiegato in una nota «in segno di protesta e di dissenso nei confronti di chi «non ascolta la voce dell’avvocatura sulla riforma che ha inciso sul decorso del termine di prescrizione del reato». «Oggi - prosegue la nota - il codice affida ai tempi del processo alla responsabilità della magistratura, prima inquirente e poi giudicante, ma solo un confronto reale e costruttivo con l'avvocatura avrebbe potuto consentire al Ministro di comprendere le ragioni reali della violazione delle norme sul giusto processo». «Gli organici dei tribunali di Messina, Barcellona P.G. e Patti sono stati complessivamente ridotti di 5 unità, in conseguenza della enunciata scelta di politica giudiziaria, di rafforzare le aree del Nord ed in particolare del Nord-est» ha detto Michele Galluccio, presidente della Corte di appello di Messina. «Il distretto di Messina - ha aggiunto Galluccio - è stato quello più penalizzato tra tutti i distretti d’Itali. La sottrazione di risorse al sud, economicamente depresso, per sopperire alle esigenze di sviluppo del nord, ha significato nei fatti e al di la delle contrarie enunciazioni, la mancanza di interesse a promuovere, attraverso una giustizia efficiente, lo sviluppo del Meridione, accentuando, invece di rimuoverlo, il divario tra le diverse parti del paese». "Con la legge di bilancio per l’anno 2019 è stata incrementata la pianta organica della magistratura ordinaria di 600 magistrati (di cui 520 agli uffici di merito), rispetto alla precedente dotazione, fissata con l. n. 181 del 13 novembre 2008. - ha affermato - Si auspicava che, finalmente, il distretto di Messina, che negli ultimi anni aveva ottenuto notevoli risultati nella direzione del recupero di efficienza, dell’abbattimento delle pendenze e della durata media dei processi, potesse avere un riconoscimento degli sforzi compiuti, avendo sempre ben chiaro che l’effetto finale dell’intervento ricade sulla domanda di giustizia dei cittadini - tutti uguali di fronte alla legge, senza distinzione di latitudine, ma così non è stato». 


L'annus horribilis di Catania secondo Meladiò  

Quello «che si è concluso» è stato" "un 'annus horribilis' per la magistratura, avendo avvenimenti recenti e che hanno avuto grande eco nell’opinione pubblica, riproposto il dibattito sui valori morali e sui principi costituzionali che sorreggono l’indipendenza della magistratura». Così il presidente della Corte d’appello Giuseppe Meliadò nella relazione inaugurale dell’Anno giudiziario di Catania. «Il rischio di reazioni emotive e di valutazioni affrettate del tutto scontate - osserva Meliadò - in una società che privilegia la velocità della comunicazione rispetto ai tempi della riflessione non ha impedito, tuttavia, che si avviasse su questi temi una discussione che, nonostante luci e ombre, ha cercato di distinguere tra quelli che sono i valori di fondo - e come tali irrinunciabili - dell’autogoverno e del pluralismo ideale ed organizzativo della magistratura e le esigenze di rinnovamento che, attraverso la scrittura di nuove regole, possono migliorare la capacità della magistratura di articolarsi come potere diffuso, ma non gerarchico, potere responsabile, ma soggetto solo alla legge, sollecitando - sottolinea il presidente della Corte d’appello di Catania - l’inclinazione di ogni magistrato ad essere, in ogni momento della vita professionale, 'senza timore e senza speranzè, per come ha voluto la Costituzione Repubblicana». «Da questo punto di vista, l’'annus horribilis' della magistratura italiana - rileva il presidente Meliadò - può costituire solo un’occasione di rammarico per quel che è avvenuto oppure un’occasione di miglioramento per riconoscere i meriti e rimuovere le crepe del sistema. La scelta tra queste alternative sta tutta nella capacità di seria riforma che sapranno esprimere le istituzioni, nella volontà, in altri termini, di superare la tendenza ampiamente praticata al mero dileggio o alla apologetica difesa dell’esistente. Su questi temi - conclude il presidente della Corte d’appello di Catania - il dialogo e l’azione comune tra la magistratura e l’avvocatura sono, comunque, l’unica via praticabile».

 di Angelo Meli

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