La paura che non deve sgretolare le democrazie europee

Società | 28 luglio 2016
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Che sta succedendo all'Europa? Non passa giorno che non sia dolorosamente segnato dal sangue versato da un terrorismo che, come ha scritto il filosofo Zygmunt Baumann, sembra essere stato evocato “dai demoni che ci perseguitano e che non evaporeranno”. Ma si tratta solo della punta dell'iceberg. E' come se la storia avesse subito un'improvvisa accelerazione: il nuovo ordine mondiale scaturito dalla caduta del muro di Berlino nel 1989 e che era subentrato ai quarantacinque anni di equilibrio tra il blocco occidentale e quello orientale, si è liquefatto in poco più di un ventennio.


Le ex “democrazie popolari” entrate nell'Unione Europea vedono riemergere al loro interno antiche pulsioni autoritarie particolarmente preoccupanti in Polonia ed in Ungheria; lo smantellamento della già debole democrazia turca che l'islamico “moderato” Erdogan sta perseguendo in maniera così metodica da far pensare che tutto fosse già predisposto prima dello sghembo tentativo di colpo di stato militare; il nuovo ruolo “imperiale “ della Russia di Putin (una sorta di ritorno – a quasi un secolo dal 1920- al trattato di Versailles che concluse la prima guerra mondiale, ci ricorda Galli della Loggia) la frana Brexit di cui vediamo rotolare sull'indebolito edificio europeo solo le prime pietre, sono tutti segni dell'improvviso aumento di velocità della storia in divenire travestita da quotidianità. Sempre più il mondo si trasforma sotto i nostri occhi ma non possediamo gli strumenti per comprendere le cause profonde degli avvenimenti ed agire per modificare la qualità e la direzione dei mutamenti in corso. Una miscela esplosiva di cui il terrorismo ultra-islamista è diventato detonatore perché moltiplica i sentimenti di paura e di spaesamento che caratterizzano lo stato d'animo della maggior parte di noi e diventa motore di risposte emotive che finiranno per aggravare i problemi. Come ha scritto qualche giorno fa sul Corriere della Sera Galli della Loggia, sta crescendo “un sentire minato di angoscia e nutrito di impotenza”, che rappresenta il terreno di coltura su cui possono impiantarsi risposte semplificartici e tendenzialmente autoritarie.


Lo spaesamento deriva principalmente dalla constatazione che la crisi globale più lunga della storia degli ultimi due secoli, ci lascia un mondo in cui sono geometricamente cresciute le diseguaglianze e le nuove povertà: a livello mondiale si sono ampliate le differenze tra paesi avanzati e paesi arretrati col grande angoscioso buco nero dell'Africa, nei singoli paesi sono aumentate in modo esponenziale le differenze tra i pochissimi che detengono la quota più rilevante della ricchezza ed i moltissimi che si sono sentiti diventare sempre più poveri. La teoria dell'1%”che detiene il 99% della ricchezza, elaborata da economisti come Joseph Stiglitz, ha costituito il cuore della campagna elettorale di Bernie Sanders, la vera novità della politica americana sconfitto dall'apparato Democrat che fa capo alla “famiglia politica”dei Clinton ma che ha saputo imporre contenuti socialmente significativi anche al programma dell'appena nominata candidata alla presidenza. Una vicenda politica esemplare, come spiega benissimo Emanuele Macaluso quando mette in rilievo il valore dell'appello all'unità dell'elettorato progressista lanciato dal senatore del Vermont contro la deriva reazionaria ed isolazionista dell' “America first” del leader populista Donald Trump. La differenza di maggior rilievo negli ultimi settantanni tra gli Stati Uniti e le società europee è stata rappresentata dal welfare state, la principale invenzione della politica europea nel Novecento. L'espressione in inglese significa stato del benessere; e realmente la creazione di una rete di istituti economici e sociali, dalla sanità pubblica al sistema pensionistico, alla tutela dalla disoccupazione, al diritto all'istruzione ed alla formazione, ha costituito la leva fondamentale del “trentennio dorato” dell'Europa e che l'America del Nord non ha mai avuto.


Le radici della crisi di oggi sono infisse nella crescente incapacità dell'economia di sostenere quel sistema. Lo spostamento a destra del voto operaio, che è fenomeno comune a molti paesi europei, trova le sue origini nella progressiva diminuzione della capacità di quel sistema di welfare che fondava le sue basi economiche e sociali sull'occupazione a tempo indeterminato dei maschi adulti e su una quota crescente di lavoro femminile, di dare risposte ad un mercato del lavoro edificato invece sulla precarietà e di impedire. Inoltre ha smesso di funzionare l'ascensore sociale che aveva contribuito in modo determinate negli anni Sessanta e Settanta dello scorso secolo al miglioramento delle condizioni di vita nel passaggio dall'una all'altra generazione ed alla democratizzazione delle istituzioni rappresentative. L'intensificarsi delle migrazioni ha consentito poi a demagoghi e populisti di costruire sulla paura le loro fortune, mettendo i poveri contro quelli ancora più poveri. Tony Judt, uno storico anglosassone prematuramente scomparso, ha scritto nella sua storia dell'Europa contemporanea (significativamente intitolata “Dopoguerra”) che una delle conseguenze della seconda guerra mondiale fu, a seguito delle espulsioni forzate di popolazioni alloglotte dai confini ridisegnati dalle potenze vincitrici, la realizzazione per la prima volta nella storia europea della sostanziale omogeneità etnico-linguistica degli stati nazionali. Unica eccezione significativa fu la Jugoslavia che fece la fine che tutti ricordiamo. Le varie società nazionali del vecchio Continente non erano perciò attrezzate culturalmente e psicologicamente a sostenere l'impatto della cultura del “diverso” che è determinato dai fenomeni migratori di massa che sono e diverranno sempre più la caratteristica determinante dell'epoca attuale. Si legga, per esempio, l'intervista rilasciata a La Repubblica da Giovanni Di Lorenzo (giornalista di origine italiana che dirige un importante periodico tedesco) all'indomani della strage di Monaco, nella quale si sostiene con onestà intellettuale che, mentre la società tedesca era psicologicamente preparata a fronteggiare un attentato di ispirazione neo-nazista (come sembra essere stato quello del giovane squilibrato tedesco-iraniano) un analogo episodio che avesse a protagonista gli integralisti islamici, in special modo se compiuto da immigrati, avrebbe aperto nel paese una ferita profonda. A nemmeno quarantottore di distanza se ne è avuta la prova con le aspre critiche rivolte dal leader bavarese dell CSU alla a cancelliera Angela Merkel dopo l'attentato suicida di Ansbach. E l'assassinio del vecchio sacerdote a Saint-Etienne du Rouvray, vicino a Rouen scaraventa tragicamente nel cuore d'Europa le parole pronunciate da papa Francesco sulle persecuzioni religiose in Asia e in Africa, Non so cosa ci attenda domani; non abbisognano tuttavia doti profetiche per concordare con quanto ha scritto Eugenio Scalfari: “...ci vorrà molta forza d'animo e molta speranza di futuro per attraversare l'inferno che ci è caduto addosso”.

 di Franco Garufi

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