La mappa dei diritti umani negati nel mondo, Amnesty accusa anche l'Italia

Società | 10 dicembre 2018
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«Gestione repressiva del fenomeno migratorio», «erosione dei diritti umani dei richiedenti asilo», "retorica xenofoba nella politica», «sgomberi forzati senza alternative». Non è un quadro positivo dell’Italia, quello delineato dal rapporto «La situazione dei diritti umani nel mondo. Il 2018 e le prospettive per il 2019», pubblicato da Amnesty International in occasione del 70esimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani.

Il governo Conte, scrive la ong, «si è subito distinto per

una gestione repressiva del fenomeno migratorio», in cui «le

autorità hanno ostacolato e continuano a ostacolare lo sbarco in

Italia di centinaia di persone salvate in mare, infliggendo loro

ulteriori sofferenze e minando il funzionamento complessivo del

sistema di ricerca e salvataggio marittimo». Parlando del Dl

sicurezza, Amnesty afferma che contiene misure che «erodono

gravemente i diritti umani di richiedenti asilo e migranti e

avranno l’effetto di fare aumentare il numero di persone in

stato di irregolarità presenti in Italia».

Amnesty International Italia segnala

inoltre il «massiccio ricorso» da parte di alcuni candidati e

partiti politici a «stereotipi e linguaggio razzista e xenofobo

per veicolare sentimenti populisti, identitari nel corso della

campagna elettorale» di quest’anno. Nel 2018 gli sgomberi

forzati «sono continuati», colpendo soprattutto famiglie rom e

gruppi di rifugiati e migranti, «senza l’offerta di alternative

abitative adeguate da parte delle autorità». La «linea dura"

dettata dal nuovo esecutivo sugli sgomberi «rischia di fare

aumentare nel 2019 il numero di persone e famiglie lasciate

senza tetto e senza sistemazioni alternative».

Nel corso del 2018 è proseguita la fornitura di armi a paesi

in guerra come Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti,

esportazioni che violano la legge e il Trattato internazionale

sul commercio delle armi» ratificato nel 2014. A settembre è

partita la sperimentazione sulle pistole a impulsi elettrici

(Taser) in dotazione alle forze di polizia, per le quali

l'organizzazione ha espresso preoccupazione sui rischi per la

salute».


Cresce il vento dell'odio in Europa

In Europa, il 2018 è stato caratterizzato «dall’aumento dell’intolleranza, dell’odio e della discriminazione, in un contesto di progressivo restringimento degli spazi di libertà per la società civile» e in cui «richiedenti asilo, rifugiati e migranti sono stati respinti o abbandonati nello squallore mentre gli atti di solidarietà sono stati criminalizzati».  

A guidare questa tendenza sono stati «Ungheria, Polonia e

Russia mentre nel più ampio contesto regionale in stati come

Bielorussia, Azerbaigian e Tagikistan vi sono stati nuovi giri

di vite nei confronti della libertà d’espressione e in Turchia

ha proseguito a espandersi un clima di paura». Tuttavia, Amnesty

sottolinea che in Europa «l'ottimismo è rimasto invariato e sono

cresciuti attivismo e proteste: un coro di persone ordinarie

dotate di una passione straordinaria chiede giustizia e

uguaglianza».


Un anno di fiere battaglie per le donne


Il 2018 è stato «un anno di fiere battaglie per i diritti delle donne contro le politiche oppressive e sessiste», nel quale «attiviste di ogni parte del

mondo sono state in prima linea nella battaglia per i diritti

umani», nonostante «l'azione di leader che si definiscono «duri"

che promuovono politiche misogine, xenofobe e omofobe ha messo

in pericolo libertà e diritti conquistati tempo addietro».  

«Nel 2018 abbiamo visto molti di questi autoproclamati leader

'durì mettere a rischio il principio di uguaglianza», ha

dichiarato Kumi Naidoo, segretario generale di Amnesty

International. «Loro pensano che le loro politiche li rendano

'tostì ma si tratta di poco più che tattiche da bulli che

cercano di demonizzare e perseguitare comunità già

marginalizzate e vulnerabili».

Il volume riporta che nel 2018 gruppi come Ni una menos in

America Latina hanno dato vita a movimenti di massa sui diritti

delle donne di una dimensione mai vista in passato. In India e

Sudafrica migliaia di donne sono scese in strada per protestare

contro l’endemica violenza sessuale. In Arabia Saudita le

attiviste hanno rischiato di finire in carcere per aver sfidato

il divieto di guida, in Iran per aver protestato contro

l'obbligo d’indossare il velo. In Argentina, Irlanda e Polonia

manifestazioni hanno chiesto la fine delle opprimenti leggi

sull'aborto. Negli Usa, in Europa e in parti dell’Asia in

milioni hanno preso parte alla seconda manifestazione #MeToo per

dire basta alla misoginia e alla violenza.

L’analisi di Amnesty International punta il dito su un

crescente numero di politiche e legislazioni che intendono

sottomettere e controllare le donne, soprattutto nella sfera dei

diritti sessuali e riproduttivi. In Polonia e in Guatemala sono

state fatte proposte per rendere ancora più rigide le leggi

sull'aborto mentre negli Usa il taglio dei fondi ai centri per

la pianificazione familiare hanno messo a rischio la salute di

milioni di donne. Il divario salariale di genere nel mondo è

pari al 23 per cento, e 104 paesi hanno leggi che impediscono a

oltre 2,7 milioni di donne di svolgere determinate professioni.

Quasi il 60 per cento delle donne lavoratrici nel mondo (circa

750 milioni di donne) non beneficia del diritto al congedo di

maternità. A livello mondiale, il 40 per cento delle donne in

età fertile vive in paesi in cui l’aborto è ancora soggetto a

gravi restrizioni. Il 23% delle donne che hanno partecipato a un

sondaggio realizzato in otto paesi ha subìto abusi o molestie

online.

Per Amnesty, l’anno prossimo, il 40esimo anniversario della

Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione

nei confronti delle donne, sarà un’occasione fondamentale, e

l'organizzazione sta sollecitando i governi ad agire per

assicurare che i diritti delle donne siano rispettati. «Amnesty

International può e deve fare di più sui diritti delle donne.

Mentre ci apprestiamo a entrare nel 2019 credo più che mai che

dobbiamo stare accanto ai movimenti delle donne, amplificare le

loro voci in tutte le loro diversità e combattere per il

riconoscimento di tutti i nostri diritti», ha concluso Naidoo.


La mappa dei diritti umani negati nel mondo

Da Angola ed Etiopia arrivano "segnali di speranza», mentre nelle Americhe preoccupa l’ascesa di leader «ostili ai diritti umani» come il brasiliano Jair

Bolsonaro. In Asia Orientale vi sono stati passi avanti sui

diritti Lgbti, mentre in quella sudorientale la situazione è

peggiorata. Sono questi alcuni dei dati contenuti nel rapporto

di Amnesty International «Rights Today», pubblicato in Italia

col titolo «La situazione dei diritti umani nel mondo. Il 2018 e

le prospettive per il 2019», riguardante i diritti umani in

sette regioni del mondo.

Il documento riporta che in Africa, nonostante alcuni

progressi, molti governi dell’area subsahariana hanno fatto

ricorso a tattiche repressive per ridurre al silenzio difensori

dei diritti umani, giornalisti, manifestanti e altre voci

dissidenti. Tuttavia, nel continente non sono mancati segnali di

speranza, anche a seguito di cambi di leadership, come in Angola

ed Etiopia. Per quanto riguarda le Americhe, l’ong riporta

che un ambiente repressivo nei confronti dei diritti umani ha

determinato uccisioni di ambientalisti e leader sociali a

livelli allarmanti, come nel caso della Colombia, e l’ascesa di

leader che hanno fatto «sfoggio di una retorica estremamente

ostile ai diritti umani», come il neo presidente brasiliano Jair

Bolsonaro. Le crisi dei diritti umani in Venezuela e in America

centrale hanno costretto un numero senza precedenti di persone a

lasciare i loro paesi, e se alcuni stati le hanno accolte, gli

Usa hanno reagito separando e imprigionando nuclei familiari e

restringendo il diritto d’asilo.

Secondo Amnesty, in Asia orientale vi sono stati passi avanti

sui diritti delle persone Lgbti ma gli spazi di libertà per la

società civile si sono ristretti. Uno dei peggiori sviluppi è

stata la detenzione di massa, da parte delle autorità della

Cina, di un milione di uiguri, kazachi e altre minoranze

prevalentemente musulmane. Colloqui senza precedenti hanno avuto

luogo tra le due Coree, con possibili importanti effetti per i

diritti umani nella penisola coreana.

In Medio Oriente e Nordafrica, in un contesto regionale

segnato da perduranti conflitti (Yemen, Siria, Libia),

l'attivismo delle donne ha segnato alcuni dei momenti più

importanti dell’anno: dalla vittoriosa fine del divieto di guida

per le donne in Arabia Saudita alla resistenza contro l’obbligo

d’indossare il velo in Iran. L’esercito israeliano «ha causato

un elevato numero di vittime civili palestinesi come non si

vedeva da anni». Gli spazi per l’espressione pacifica delle

opinioni si sono ristretti in Arabia Saudita, Bahrein, Egitto,

Emirati Arabi Uniti e Iran.

Amnesty riporta che i governi dell’Asia meridionale hanno

continuato a minacciare, intimidire e processare difensori dei

diritti umani. In Bangladesh e Pakistan le autorità hanno fatto

ricorso a leggi drastiche per colpire la libertà d’espressione.

In India, il governo ha cercato di demonizzare e perseguitare i

gruppi della società civile. Ma ci sono stati anche segnali di

speranza: a maggio il parlamento del Pakistan ha approvato una

delle leggi più progressiste al mondo sui diritti delle persone

transgender.

Infine, in Asia sudorientale, la violenta campagna di

uccisioni, stupri e incendi delle forze armate di Myanmar ha

costretto oltre 720.000 rohingya a lasciare lo stato di Rakhine

e a trovare riparo in Bangladesh. È aumentata l’intolleranza nei

confronti del dissenso pacifico e dell’attivismo, così come in

Cambogia verso le opposizioni politiche e gli organi

d’informazione indipendenti. Nelle Filippine, altre vite umane

sono state perse nell’ambito della «guerra alla droga» del

governo del presidente Duterte.

 di Dario Carnevale

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