La mafia si studia in un'università su due

Cultura | 10 ottobre 2021
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Solo 37 atenei italiani su 84 associati alla CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) prevedono attività o corsi di studio dedicati in maniera esclusiva al crimine organizzato. E sono le università del Sud a registrare una più alta percentuale di pubblicazioni sul fenomeno mafioso (53%) rispetto a quelle del Nord (30%) e del centro Italia (16%), sebbene  si osservi un aumento della produzione scientifica in materia negli atenei del Nord con percentuali passate dal 26,7% del quinquennio 1999-2003 al 35,3% di quello 2014-2018. Proprio negli ultimi vent’anni (1999-2018) i contributi sul tema prodotti in tutto il territorio nazionale ammonterebbero a 2273, con una impennata a partire dal 2009 (180 pubblicazioni). La produzione di monografie e curatele, articoli in riviste specializzate, saggi in volumi, atti di convegni e tesi di dottorato sembra, tuttavia, aver subito una flessione dopo il 2014 (si è passati dalle 196 pubblicazioni del 2014 alle 134 del 2018).

I dati che ci restituiscono l’immagine di come lo studio  del fenomeno mafioso rappresenti un settore di nicchia in Italia (basti anche pensare che solo il 2% del totale dei docenti universitari si occupa di criminalità organizzata) provengono da una ricerca pubblicata nel volume “L’università nella lotta alle mafie. La ricerca e la formazione”, a cura di Stefano D’Alfonso e Gaetano Manfredi (Donzelli editore, 2021, pp. 240). Un lavoro sviluppato dal Laboratorio interdisciplinare di ricerca su mafie e corruzione (LIRMAC) dell’Università Federico II di Napoli con la CRUI - alla ricerca hanno collaborato 29 studiosi provenienti da 11 università- e con l’adesione della Commissione parlamentare antimafia della corrente legislatura. Come puntualizza, in un articolo de LaViaLibera del 30 settembre u.s., Stefano D’Alfonso, uno dei due autori della pubblicazione nonché Professore di Istituzioni di Diritto Pubblico dell’Università Federico II di Napoli, la CRUI e il LIRMAC  hanno realizzato un’anagrafe della ricerca contenente dati su: la didattica (insegnamenti e laboratori), le strutture (laboratori, osservatori e centri di ricerca), la formazione post-laurea (scuole di dottorato, master e corsi di alta formazione), le cosiddette attività di terza missione (cioè la diffusione delle conoscenze fuori dal contesto accademico).

Dall’indagine emerge come la Sicilia sia la regione più attiva nell’attività di ricerca sul fenomeno mafioso, non solo nel Mezzogiorno – ad esempio, in Calabria e in Puglia, regioni a tradizionale insediamento mafioso, la produzione scientifica sul tema presenta esigue percentuali, rispettivamente del 2,8% e 2,7% - ma anche nell’intero panorama nazionale: quasi un terzo della produzione scientifica proviene dall’isola (31,3%). Seguono Campania (14,3%), Lombardia (12,9%), Lazio (7,4%), Toscana (7,4%), Piemonte (7,1%). La Sicilia mantiene il suo primato negli studi sul crimine organizzato anche se si guarda alla produzione scientifica per singola disciplina: negli atenei siciliani si registra oltre il 75% della produzione degli psicologi, più del 50% delle materie politologiche e circa un terzo dei lavori di storici ed economisti. Gli studi giuridici costituiscono il 27% del totale, mentre i lavori di sociologia rappresentano il 22%. Guardando ai singoli atenei coinvolti nell’indagine, è l’Università di Palermo quella che vanta una produzione più copiosa. Seguono, tra le più “virtuose”, la Federico II di Napoli e l’Università di Torino. Prendendo in considerazione, invece, i settori disciplinari, il primato delle pubblicazioni sul fenomeno mafioso   va alle discipline sociologiche (un terzo di quelle censite). Segue il macrosettore degli studi giuridici (23%), mentre tutte le altre aree disciplinari rimangono sotto il 10%. E, infine, volgendo lo sguardo agli autori delle pubblicazioni in materia, il gruppo più grande è costituito dagli studiosi di diritto (31%, con una media di 2,2 prodotti per autore), mentre i sociologi sono appena il 14,5% del totale pur rappresentando la componente più produttiva (6,7 prodotti per autore). Seguono gli economisti (11,6%), gli storici (6,3%) e gli psicologi (5,3 %, anch’essi con una produzione sopra la media pari a 5,6 prodotti per autore).

La banca dati realizzata con questo progetto di ricerca sarà pubblicata online dalla CRUI, con il supporto del LIRMAC, in forma gratuita e aggiornata, per facilitare l’individuazione delle pubblicazioni prodotte negli anni, nei diversi settori disciplinari, anche a soggetti esterni al mondo accademico, ma comunque interessati, a vario titolo, allo sviluppo degli studi sul crimine organizzato.Gli autori della pubblicazione, insieme ad altri illustri accademici impegnati sul filone di ricerca della criminalità organizzata, auspicano che l’Università punti  a rafforzare i canali già esistenti di comunicazione e interscambio con i protagonisti dell’antimafia istituzionale e dell’antimafia sociale, supportandone l’azione attraverso i risultati delle proprie ricerche, sia in termini di contributo all’efficacia degli interventi che, più in generale, alla maturazione di una sensibilità e consapevolezza condivisa.


 di Alida Federico

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