La mafia si rinnova e globalizza, al potere i giovani boss

Società | 13 febbraio 2019
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Si abbassa «sensibilmente» l’età di iniziazione mafiosa. E le organizzazioni criminali, «nonostante la forte azione repressiva dello Stato, continuano ad attrarre le giovani generazioni», autentica «linfa delle mafie, siano espressione diretta delle famiglie o semplice bacino di reclutamento da cui attingere manovalanza criminale». E’ l’allarme lanciato dalla Direzione investigativa antimafia nella sua ultima Relazione semestrale, che sottolinea come nell’ultimo quinquennio «non solo ci siano stati casi di 'mafiosì con età compresa tra i 14 e i 18 anni, ma come la fascia tra i 18 e i 40 anni abbia assunto una dimensione considerevole e tale, in alcuni casi, da superare quella della fascia 40-65, di piena maturità criminale».

Il fenomeno «da una parte pone la questione della successione nella reggenza delle cosche, dall’altra non appare certamente disgiunto da una crisi sociale diffusa che, soprattutto nelle aree meridionali, non sembra offrire ai giovani valide alternative per una emancipazione dalla cultura mafiosa». I numeri parlano chiaro: le nuove leve criminali appartengono innanzitutto alla Campania, alla Calabria, alla Sicilia e alla Puglia. E secondo l’"Eurostat Regional Yearbook 2018», in Campania, Calabria, Sicilia e Puglia ci sono anche 4 degli 11 distretti europei con il maggior numero di under24 non occupati nè in istruzione o formazione (i cosiddetti «neet").

Una sovrapposizione che sembra confermare come la criminalità organizzata, riducendo l’iniziativa imprenditoriale lecita, «approfitta dello stato di bisogno di molti giovani e specula sulla manodopera locale, dando l’effimera sensazione di distribuire un salario, sempre minimo, per generare dipendenza e senza garantire i contributi previdenziali - e quindi un futuro - ai giovani impiegati al suo servizio». Il «ricambio generazionale» si avverte all’interno della 'ndrangheta, di Cosa nostra, della Sacra corona unita e - con caratteristiche particolari - della camorra: soprattutto nell’hinterland napoletano, «le giovani leve non sempre risultano espressione delle storiche organizzazioni» ed «appaiono, piuttosto, come micro-formazioni in cerca di spazio per tentare la scalata al potere criminale, che si affiancano ai giovani delinquenti, terza generazione delle famiglie più rappresentative dei quartieri del centro storico e dell’area nord. Il denominatore è, senza dubbio, la spregiudicatezza criminale che porta a continue scorribande e sparatorie incontrollate». La volontà di affrancarsi dai vecchi boss, l’ambizione di riconoscimento e di progressione nelle fila dell’organizzazione e l’uso indiscriminato della violenza sono gli stilemi di " trasformazione della 'cultura mafiosà che investe anche il linguaggio, al passo con i tempi, non tanto rispetto ai contenuti delle comunicazioni - sempre criptiche, imperative e cariche di violenza - quanto piuttosto per gli strumenti social utilizzati, che consentono di aggregare velocemente gli affiliati al sodalizio e, allo stesso tempo, di rendere più difficoltosa l’intercettazione dei messaggi».


Da vuoto di potere rischio atti di violenza

Cosa nostra resta «una struttura vitale, dinamica e plasmabile a seconda delle condizioni esterne» ma «il vuoto di potere» reso ancora più evidente dalla lunga inattività della Cupola e dalla morte di Riina «pone un’esigenza di rinnovamento»,"di riorganizzazione complessiva» e «di riassetto degli equilibri interni», che potrebbe anche «sfociare in atti di violenza particolarmente cruenti». Continua la Direzione investigativa antimafia. L’intera organizzazione mafiosa, avvertono gli analisti della Dia, «per ovviare alla perdurante fase di stallo, ha dovuto finora fare ricorso ad assetti decisionali ed operativi provvisori, affidando la guida di famiglie e mandamenti a reggenti, che non sempre si sono dimostrati adeguati, assumendo talora decisioni non condivise, se non addirittura controproducenti». Non solo: «il fermento di alcune famiglie, dovuto all’esigenza di rinnovare una classe dirigente decimata dagli arresti verrebbe amplificato da un malcontento diffuso degli affiliati e dei familiari dei detenuti, colpiti da un’evidente crisi di welfare, determinata dalla significativa carenza di liquidità. L’intera struttura deve rapportarsi con le sempre più frequenti scarcerazioni per 'fine penà di quegli uomini d’onore che nutrono aspettative e pretese di recupero, sostanziale e formale, del potere. Ed oltre a ciò, già da diversi anni Cosa nostra deve confrontarsi anche con il ritorno dei cosiddetti 'scappatì (come ad esempio le famiglie Bontade ed Inzerillo), i perdenti sopravvissuti alla cosiddetta 'seconda guerra di mafià vinta dai corleonesi».

Senza dubbio, nel corso degli ultimi anni, Cosa nostra ha subito «qualche indebolimento come organizzazione compatta e unitaria», anche» per la sotterranea contrapposizione di due correnti: l’una, intransigente ed oltranzista, legata alla 'linea Riinà e l’altra, più moderata e meno disposta all’uso non misurato della forza, quella che storicamente ha fatto sempre riferimento al rapporto, quasi aritmetico, tra costi e benefici». Un contesto nel quale anche l’inquadramento della figura del superlatitante Matteo Messina Denaro finisce nel novero delle «questioni irrisolte, con uomini d’onore dei mandamenti strategici palermitani, quali quelli di Brancaccio e di Bagheria, non favorevoli ad essere rappresentati da un capo non palermitano. Non può escludersi che capi emergenti, anche eredi di storiche famiglie, approfittino della situazione e cerchino spazi per scalare posizioni di potere».


Roma polo di attrazione di tutte le mafie

L’area della capitale, «sede di importanti infrastrutture, di istituzioni politiche ed amministrative e di numerosissime attività commerciali, costituisce un polo di attrazione per la criminalità organizzata». Anche per «la disponibilità di imprenditori e pubblici funzionari compiacenti ad aderire a richieste e comportamenti di natura corruttiva». «Dall’esame delle manifestazioni criminali - scrivono gli analisti della Dia - emerge l’esistenza di una struttura di natura reticolare che tende ad infiltrare i luoghi del potere decisionale ed economico, e nel cui ambito i singoli sodalizi ora stringono alleanze temporanee, funzionali all’ottenimento di obiettivi puntuali, ora possono - ma più di rado - entrare in conflitto. L’atteggiamento violento, infatti, permane come una forma di 'capitale quiescentè, pronto all’occorrenza ad esplodere se vengono minacciati gli interessi delle consorterie». Roma, metropoli internazionale, «è crocevia di affari, nonchè punto di incontro privilegiato tra organizzazioni criminali italiane e straniere».

«La strategia camaleontica attuata dai sodalizi mafiosi - avverte la Relazione - ha reso più difficile, nel tempo, comprendere e far emergere il fenomeno, favorendo in tal modo i tentativi di condizionamento delle amministrazioni locali. Era opinione comune, fino agli eventi più recenti che hanno svelato il quadro di 'Mafia Capitalè che il prevalente interesse coltivato dalle mafie tradizionali impiantate nella capitale fosse quello del riciclaggio» ma «la complessa vicenda giudiziaria a carico del gruppo Buzzi-Carminati ha dimostrato il cambiamento metodologico dei gruppi criminali, che talora procedono affiancando all’intimidazione violenta la sopraffazione imprenditoriale e la pervasiva 'colonizzazionè del sistema burocratico-politico. Un’organizzazione che, avvalendosi dell’interazione del metodo intimidatorio con quello corruttivo, era riuscita ad inserirsi in alcuni settori della gestione amministrativa del Comune di Roma».

Sul piano generale, la criminalità organizzata di matrice romana continua comunque ad esprimere «professionalità delinquenziali di elevatissimo profilo», rafforzata dalle interrelazioni con gruppi di matrice straniera e con sodalizi mafiosi nazionali.

Roma costituisce «un territorio strategico per la 'ndrangheta, che da tempo colloca fidate 'teste di pontè chiamate ad adottare metodologie criminali improntate alla minore visibilità, specie se correlate al reimpiego di capitali illeciti. Determinante è la rete relazionale che le cosche sono riuscite ad intessere, nel tempo, con professionisti, operatori economici ed esponenti del mondo della finanza, disponibili a prestare la propria esperienza per agevolarne gli interessi sul piano nazionale ed estero": la capacità di infiltrarsi nel territorio, dissimulando le proprie tracce, rende però difficile tracciare una mappatura esatta dei clan.

Anche l’operatività di Cosa nostra nella capitale «non si fonda sulla tradizionale accezione di controllo del territorio, bensì su un’azione tesa all’infiltrazione dell’economia e della finanza e al condizionamento della pubblica amministrazione (funzionale soprattutto al controllo dei pubblici appalti). In tal modo, la mafia siciliana mira ad occupare i mercati legali attraverso logiche manageriali volte a massimizzare i profitti e a ridurre al minimo i rischi, 'intossicandò i circuiti legali con immissioni di denaro sporco». In linea con tale strategia, «si riscontra la spiccata inclinazione a mutare dinamicamente le proprie referenze gerarchiche rispetto all’architettura mafiosa madre, ma anche a ricercare collaborazioni esterne per instaurare rapporti di scambio con ambienti politico-istituzionali». Accanto alle cosche calabresi e alle famiglie siciliane, nella capitale sono presenti «alcune tra le organizzazioni criminali campane più strutturate, dislocate in diverse zone della città e aggregatesi attorno a figure di camorristi di rilievo, che nel tempo hanno spostato, su Roma, parte dei loro affari illeciti. Nell’operare fuori regione anche i clan campani tendono ad evitare il ricorso ad azioni cruente e a mantenere un basso profilo, per quanto non siano mancati casi di omicidi tentati o consumati, di cui sono stati vittime affiliati che avevano violato i 'codicì del clan».

Un capitolo a sè è quello della famiglia Casamonica, di origine sinti, la cui scalata comincia negli anni '70 con l’avvicinamento alla Banda della Magliana e al suo «cassiere». «Nel corso degli anni - spiega la Dia - il sodalizio si è evoluto in un’organizzazione criminale strutturata: i legami di consanguineità e la convergenza degli interessi economico affaristici lo hanno reso estremamente coeso, monolitico e difficilmente penetrabile. Le zone di interesse e influenza comprendono i quartieri di Anagnina, Tuscolana, Romanina, Tor Bella Monaca, la zona dei Castelli, Ciampino, Frascati, fino ad arrivare all’alta Ciociaria e al litorale laziale, nella fascia da Ostia a Nettuno, fino alla città di Latina. Traffico di stupefacenti, usura, estorsione, ricettazione di autoveicoli e truffe i business che hanno consentito al clan di accumulare un ingente patrimonio, poi reinvestito in immobili, edilizia anche abusiva, varie attività commerciali, compresa la ristorazione.

Anche Ostia Lido, sede di importanti infrastrutture turistiche e recettive «costituisce, da tempo, oggetto di interesse non solo di forme organizzate di criminalità autoctona, ma provenienti da fuori regione». Le numerose inchieste degli ultimi anni hanno dimostrato che sul litorale hanno operato, «in posizione di sostanziale egemonia», tre gruppi delinquenziali facenti capo alle famiglie Senese, Fasciani-Spada e Triassi-Cuntrer: «nel tempo gli elementi più rappresentativi di questi clan ed i loro affiliati sono stati in grado di muoversi efficacemente in Italia e all’estero, investendo gli introiti derivanti dalle attività estorsive, usurarie e dal narcotraffico».

Preoccupa anche la presenza sempre più massiccia di diverse «mafie etniche», che conservano una struttura organizzativa definita e una dimensione transnazionale. I gruppi cinesi si distinguono «per la spiccata capacità imprenditoriale che si realizza anche attraverso la costituzione di società fittizie utilizzate sia per frodare il fisco che per trasferire capitali in Cina». I gruppi criminali dei Paesi dell’ex Unione sovietica e romeni sono attivi nello sfruttamento della prostituzione di giovani donne dell’est Europa e della manodopera maschile destinata al lavoro nero nell’edilizia, mentre quelli albanesi sono orientati principalmente verso la commissione di furti e rapine. Anche i sodalizi nigeriani sono attivi nello sfruttamento di giovani connazionali, mentre i gruppi criminali sud americani si distinguono per lo sfruttamento di trans brasiliani e colombiani. IL favoreggiamento dell’immigrazione clandestina resta il core business dei sodalizi nord africani.



La globalizzazione delle mafie, crescono le alleanze transazionali

Lo scenario criminale nazionale evidenzia «una forte e continua interazione tra i sodalizi nazionali e quelli di matrice straniera: nel sud del Paese, i gruppi stranieri tengono ad agire con l’assenso delle organizzazioni mafiose, mentre nelle restanti regioni tendono ad agire autonomamente». Segnalano gli analisti della Direzione investigativa antimafia nell’ultima Relazione semestrale, spiegando come i settori più redditizi siano il traffico di stupefacenti, quello delle armi, i reati concernenti l’immigrazione clandestina e la tratta di persone da avviare alla prostituzione e al lavoro nero - attraverso il fenomeno del «caporalato» - la contraffazione, i reati contro il patrimonio, i furti di rame.

La criminalità albanese «resta l’organizzazione straniera più presente e ramificata in ambito nazionale. Il continuo 'reclutamentò di giovani leve è sintomatico della capacità di rinnovamento delle proprie file, mentre le condotte, sempre più violente, risultano idonee non solo per fini criminali ma anche per risolvere dissidi e controversie tra gruppi rivali». Tra i settori di interesse - perseguiti anche con la complicità di soggetti italiani - il narcotraffico, lo sfruttamento della prostituzione ed i reati contro il patrimonio.

La mafia cinese «continua a concentrare i propri interessi criminali prevalentemente nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, finalizzata al lavoro nero, alla prostituzione ed alla tratta degli esseri umani, nei reati contro la persona, rapine ed estorsioni in danno di connazionali, contraffazione di marchi e contrabbando di sigarette». In linea generale, essa «è riuscita, nel tempo, a mantenere una fitta rete di rapporti ramificati su buona parte del territorio nazionale, alimentata non solo attraverso legami familiari solidaristici, ma anche dal reclutamento di giovani leve. Un sistema chiuso caratterizzato da un alto livello di omertà e di assistenza che ruota attorno ad una fitta rete assistenzialistica di benefici e di servizi denominata 'guanxì».

La criminalità nigeriana, al pari di quella albanese, «si conferma fra le più attive nel traffico di sostanze stupefacenti e nello sfruttamento della prostituzione, reato che spesso vede alla sua base delitti altrettanto gravi come il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, la tratta di esseri umani e la riduzione in schiavitù». Spesso irregolari, i cittadini nigeriani sono oggi stanziati su tutto il territorio nazionale dal nord fino al sud, con una presenza importante anche nelle isole maggiori: emergono, per il numero dei componenti, le cellule italiane delle strutture denominate The Black Axe Confraternity e The Supreme Eiye Confraternity (SEC), ramificate a livello internazionale e caratterizzate da una forte componente esoterica e dal ricorso a riti di iniziazione chiamati ju-ju, molto simili al voodoo e alla macumba, nella fase del reclutamento delle vittime.

I reati di maggior interesse per la criminalità romena restano il traffico di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, la tratta di persone, l’intermediazione illecita dello sfruttamento della manodopera mentre le indagini degli ultimi anni hanno evidenziato l’interesse dei gruppi criminali originari dei Paesi dell’ex Unione Sovietica soprattutto per la commissione di reati contro il patrimonio, per il traffico di droga e di armi, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e lo sfruttamento della prostituzione. La criminalità sudamericana

si conferma attiva nei traffici internazionali di stupefacenti, nello sfruttamento della prostituzione e nei reati contro il patrimonio e la persona: tra i vari gruppi, rimane alta la pericolosità delle «gang» dei latinos, le cosiddette pandillas, diffuse soprattutto nelle aree metropolitane di Genova e Milano. Anche i gruppi criminali del nord Africa stanziati nel nostro Paese interagiscono spesso con cittadini italiani o di altre nazionalità, in particolare per il traffico e lo spaccio di droga.

La mafia domina il settore giochi, network collegati all'estero

Un «lucroso settore d’investimento» per la mafia siciliana «si conferma quello dei giochi e delle scommesse, come emerso nell’operazione “Game Over”. L’attività investigativa, ha fatto emergere come un importante imprenditore del settore, originario di Partinico, fosse riuscito, con l’appoggio delle famiglie mafiose della provincia, ad imporre il brand di raccolta scommesse della società a lui riconducibile, con sede a Malta». Ricorda la relazione della DIA. «Contestualmente, sono state sottoposte a sequestro numerose agenzie e punti di raccolta delle scommesse che, dislocati sul territorio nazionale, utilizzavano però un network di diritto maltese, facente sempre capo al citato imprenditore». Sul piano generale, «tutti i mandamenti mafiosi sembrano interessati al settore, favorendo l’apertura di nuove agenzie di gioco. È quanto si rileva, ad esempio, dall’esecuzione, nel mese di giugno, di un decreto di confisca nei confronti di esponenti di punta della famiglia di Brancaccio, che ha colpito un patrimonio di oltre 10 milioni di euro, composto da aziende e società, alcune delle quali operanti proprio nel settore delle scommesse».

Anche il ramo trapanese di Cosa nostra, oltre che nei tradizionali comparti economici, «si è significativamente infiltrato nel settore delle scommesse e dei giochi online, potendo far leva sul capillare controllo del territorio con il tradizionale e sistematico ricorso all’intimidazione e all’assoggettamento». «È stato dimostrato come l’espansione di una rete di oltre 40 agenzie di scommesse e punti gioco facenti capo ad un giovane imprenditore castelvetranese fosse avvenuta, sia nella provincia di Trapani che nel palermitano, grazie al supporto della famiglia mafiosa di Castelvetrano: questa gli avrebbe garantito protezione nei confronti degli altri sodalizi criminali delle provincie di Trapani e di Palermo in cambio di periodiche dazioni di denaro, dirette sia al sostentamento del circuito familiare del latitante che all’organizzazione mafiosa nel suo complesso. Nello stesso contesto investigativo, il 18 maggio 2018 la DIA ha eseguito un decreto di sequestro preventivo nei confronti dello stesso imprenditore, per un valore complessivo di circa 400 mila euro». Nella provincia di Agrigento, «il settore delle scommesse e del gioco continua a porsi, con sempre maggiore frequenza, come un terreno di investimento per le consorterie mafiose, che operano attraverso l’imposizione e la gestione di slot-machine all’interno di esercizi commerciali, spesso intestati a prestanome».  


 di Angelo Meli

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