La lunga crisi ha stremato il Sud, 45 mila posti in bilico

Economia | 22 novembre 2016
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L'osservatorio "Mezzogiorno economia" del Corriere della sera ha pubblicato il 21 novembre l'elenco delle vertenze industriali aperte al tavolo del Ministero per lo sviluppo economico che coinvolgono aziende operanti nelle cinque grandi regioni del Sud. Sono 38 le vertenze aperte con 44.600 posti di lavoro a rischio, se non si troveranno le soluzioni prima dell'esaurimento degli ammortizzatori sociali. E' il lascito drammatico della più lunga crisi che l'Italia abbia mai conosciuto, cominciata nel 2008 e susseguente a un decennio di ristagno economico. Il paese, come ha ricordato recentemente Adriano Giannola, e' insomma fermo da vent'anni.

Il tessuto imprenditoriale ne è uscito ferocemente ridimensionato, è diminuito il lavoro e sono peggiorate le sue condizioni: negli ultimi anni il 75% dei nuovi contratti di lavoro è a tempo determinato, sono stati ridimensionati i diritti dei lavoratori e le retribuzioni sono calate in modo sensibile. Impianti importanti della grande industria chimica e meccanica sorti nel Meridione negli anni della crescita economica sono stati ridimensionati o hanno chiuso: basti pensare alla Fiat di Termini Imerese, all'Italtel di Carini, alla grande chimica di Priolo ed Augusta. Sono stati definiti gli strumenti per far fronte alle crisi, ma i segni di inversione della tendenza a quella che la Svimez definì "desertificazione industriale" restano deboli. Industria 4.0. intrecciata alla strategia di specializzazione intelligente contenuta nel nuovo ciclo di programmazi e europea, può costituire un'occasione ma sarà difficile saltare sul treno in corsa se le istituzioni pubbliche non avranno la capacità di assumere un ruolo di guida dei processi innovativi.

La costruzione del futuro e la sfida dell'innovazione si intrecciano strettamente con la necessità di governare le situazioni esistenti, a partire dalla sofferenza sociale ed economica di coloro che rischiano di perdere il loro lavoro, le sicurezza edi vita è la stessa identità sociale. Per questo è utilissimo approfondire il quadro di difficoltà che l'inchiesta del Corriere ci offre. Per la Sicilia il lascito drammatico delle crisi industriali , per il pezzo che riguarda le vertenze aperte al Mise, riguarda 8 aziende e 15.625 addetti. Della Fiat abbiamo detto: la Bluetech di Termini Imerese che dovrebbe raccoglierne l'eredità ha difficoltà a far partire le produzione e sta rallentando il rientro in azienda dei lavoratori, fermi restendo i problemi in parti ancora non risolti dell'indotto. L'altra area siciliana di crisi complessa ( e quindi destinataria delle particolari provvidenze previste per questa tipologia di difficolta' produttiva), Gela, è interessata alla complessa vicenda della trasformazione in bio raffineria con significativi ritardi rispetto ai tempi previsti dall'accordo del novembre 2014.

Sono in particolare le imprese di quelle che erano le antiche partecipazioni di stato a subire i contraccolpi: si pensi all'Italtel di Carini nel settore elettronico o alle code problematiche connesse alla parziale ristrutturazione di alcune produzioni della ST microelectronics, in particolare il pezzo Micron. A Palermo è ancora aperta la vertenza Fincantieri per lo sviluppo del sito produttivo del Cantiere Navale. I privati sono anche essi colpiti: per esempio la Selital di Carini, appartenente al gruppo Selcom, 110 lavoratori che si occupavano del collaudo e della produzione di apparati e sistemi elettronici e meccanici. Un'azienda di Catania,la Tecnis, ha giocato un ruolo significativo nel settore delle costruzioni ma è stata fortemente handicappata dalle vicende giudiziarie che hanno colpito una parte dei suoi azionisti. Grande riscontro mediatico hanno avuto le vicende di due call center : l'Almaviva -azienda leader nazionale del settore- che ha vissuto una lunga e drammatica vertenza relativa al sito di Palermo (ma anche a quello di Napoli). Vale la pena di soffermarsi su un settore che aveva suscitato aspettative positive , forse eccessive, all 'inizio del nuovo secolo.

Si tratta di attività che hanno rapidamente perso di contenuto tecnologico innovativo e sono state vittime della mancanza di regolamentazione e dei processi di delocalizzazione attivati da aziende alla ricerca spasmodica del taglio dei costi. Lo stesso tipo di ragionamento vale per la catanese Qe' che ha licenziato tutto il personale. La vicenda dell'azienda etnea è ancora lungi dall'essere risolta, mentre per Almaviva si sono individuate soluzioni valide, ma che necessitano comunque di un sostegno pubblico sul versante dell'introduzione di regole che impediscano il ricatto al ribasso delle condizioni di gara imposto dalle committenti, la generalizzazione della clausola sociale per l'azienda che subentra nella commessa e politiche che disincentivino le delocalizzazioni. Viviamo nel pieno di un passaggio epocale - rivoluzione tecnologica, destabilizzazione degli equilibri mondiali, debolezza delle istituzioni democratiche- nella quale risulteranno pressoché inutilizzabili. i paradigmi economici, sociali e (se mi è consentita un'accezione positiva del sostantivo) ideologici che abbiamo conosciuto. La maggiore difficoltà sarà dover allo stesso tempo tentare di rimediare ai disastri determinati dalla crisi in aree come la Sicilia che hanno subito la destrutturazione dell'apparato industriale ereditato dagli Anni Settanta dello scorso secolo e dalle imprese fuggita dopo aver utilizzato i vantaggi fiscali e contributivi previsti dalla legislazione a vantaggio del Mezzogiorno; e contemporaneamente affrontare le opportunità offerte dal salto tecnologico in corso.

 Bisognerà, tornando alla metafora, saltare sul treno che sta già correndo, cercando di tirare a bordo anche i più deboli. Non tutto è immobile nella nostra Sicilia, non mi stanco mai di ripeterlo. Ci sono forze sociali, energie giovani, risorse che potrebbero cambiare il volto di questa terra; però vanno affrontati in modo deciso i problemi del lavoro che si rischia di perdere e il dramma conseguente all' incapacità di creare nuove occasioni di lavoro produttivo. La tragedia della Sicilia è il quasi 50% di giovani che non lavorano, lo scandalo delle risorse sprecate, l'incapacità dei politici di parlare ai bisogni delle persone, specialmente di chi e' più debole ed emarginato. Se non si affrontano queste priorità si continuerà a rifornire di carburante i peggiori demagoghi che vanno in giro suonando il piffero dell'antipolitica.

 di Franco Garufi

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