La libertà di stampa in Italia è sempre più debole
Non sono solo le ormai note pressioni, minacce e violenze subite dai giornalisti a
tentare di imbavagliare l’informazione in Italia. Ad aggravare il livello di
libertà di stampa nel nostro Paese ha contribuito, nel 2015, anche “il sistema giudiziario”
della Santa Sede. Alle intimidazioni, il più delle volte di matrice mafiosa, si
sono aggiunti, infatti, nell’ultimo anno, i “procedimenti giudiziari” contro i
cronisti che hanno scritto sullo scandalo Vatileaks. Questi, dunque, secondo Reporter Senza Frontiere, l’ONG che monitora lo stato di salute della stampa mondiale,
i motivi che hanno ulteriormente declassato l’Italia nella graduatoria che censisce 180 nazioni di tutto il mondo.
Dopo il pesantissimo
tonfo dello scorso anno, che ha visto il Bel Paese precipitare dal 49esimo al
73esimo posto, l’Italia continua ad indietreggiare: nella classifica del 2016
si piazza al 77esimo gradino, perdendo ben 4 posizioni. Stando ai dati
riportati a maggio dello scorso anno dal quotidiano La Repubblica e ripresi
dall’ONG francese per le valutazioni in tema di libertà di informazione, “fra i 30 e i 50 giornalisti” sarebbero
sotto protezione della polizia perché vittime di minacce e
intimidazioni. E, tra gli operatori dell’informazione, coloro che “indagano
sulla corruzione e il crimine organizzato sono quelli più presi di mira” –
viene puntualizzato nel report. Il rapporto ricorda anche, riferendosi
all’indagine su Gianluigi Nuzzi e Emiliano Fittipaldi, che
“due giornalisti rischiano otto anni di
carcere per la pubblicazione di libri che rivelano i malaffari della Santa Sede”.
Nell’Unione Europea,
solo Cipro, Grecia e Bulgaria hanno risultati peggiori dell’Italia. Il vecchio
continente, però, continua ad essere quello che garantisce una maggiore tutela
per i cronisti. E, infatti, le prime quattro posizioni sono occupate rispettivamente
dalla Finlandia – che detiene il primato dal 2010 – i Paesi Bassi – che
recuperano due posizioni rispetto alla classifica del 2015- la Norvegia – che
dal secondo posto dello scorso anno scende, appunto, al terzo – e la Danimarca
– che perde una posizione. Tra i primi dieci paesi vi è la Svizzera, che ha
fatto un salto in avanti significativo in un solo anno: dalla 20esima alla
settima posizione.
Se i giornalisti
europei sembrano essere quelli maggiormente tutelati, i loro colleghi americani
perdono spazi di libertà a causa della “violenza crescente contro i giornalisti
in America del Sud”. In America
latina, infatti, «la violenza istituzionale (in Venezuela, al 139esimo,
o in Ecuador, 109), quella del crimine organizzato (come in Honduras, 137),
l’impunità (Colombia, 134), la corruzione (come in Brasile, 104), e la
concentrazione dei media (come in Argentina, 54) costituiscono i principali
ostacoli per la libertà di stampa”. A conferma del peggioramento della
condizione degli operatori dell’informazione americani, giungono i dati dell’indice
regionale: l’Africa scavalca per la prima volta il continente
americano, collocandosi dietro l’Europa.
L’Asia continua ad essere l’area con le peggiori
condizioni in termini di libertà di informazione (Corea del Nord 179esima, Turkmenistan
178esimo, Siria 177esima, Cina 176esima, Vietnam 175esimo, ecc) perché “il nord
dell’Africa e il Medio Oriente sono la regione del mondo in cui i giornalisti
sono sottoposti a difficoltà di ogni tipo, per esercitare il proprio lavoro”.
Reporter senza
Frontiere ricorda come in alcuni paesi in guerra, quali Iraq (158esimo), Libia (164esima) e Yemen (170esimo),
esercitare il giornalismo è “un atto di coraggio”. Mentre, grazie alla
relativa tregua nel conflitto, la Tunisia e l’Ucraina hanno fatto grandi progressi.
“Tutti gli indicatori della classifica mostrano un deterioramento. Molte autorità pubbliche lavorano per recuperare il controllo dei loro Paesi e temono che il dibattito pubblico sia troppo aperto”, ha commentato Christophe Deloire, segretario generale di Rsf, che denuncia una “paranoia” contro i mezzi di comunicazione.
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