La guerra delle ragazze di Benin City al racket della prostituzione
Società | 16 ottobre 2015
Si può fare», anche se saranno costrette a scappare, rischieranno la vendetta degli sfruttatori, avranno difficoltà a trovare un lavoro onesto, ci si può liberare dalla schiavitù della strada. Lo dicono a gran voce Veru, Fatima, Osa, Kate e tutte le donne nigeriane che quel percorso l' hanno attraversato tutto e ora respirano l' aria fresca della libertà e camminano a testa alta senza vergogna. Sono loro la testimonianza vivente che liberarsi dalla tratta della prostituzione è difficilissimo, ma non impossibile, e hanno deciso di spiegarlo alle giovanissime che sul marciapiedi ci sono finite con l' inganno, indebitandosi fino al collo, subendo violenze e soprusi di ogni tipo. Le trovano a piangere all' angolo della Stazione, tra i viali della Favorita, ma soprattutto nel loro quartiere, dal parrucchiere connazionale, ascoltano i loro sfoghi e provano a stare loro vicine.Hanno deciso di venire allo scoperto una ventina di ex prostitute che oggi hanno cambiato vita, grazie all' aiuto di un compagno, spesso un ex cliente. Hanno figli, un lavoro da badante o da colf, ma soprattutto hanno il desiderio di fare qualcosa per le altre, quelle che potrebbero essere le loro sorelle minori. Si chiama le «Donne di Benin City» il gruppo di nigeriane tenuto a battesimo ieri da Isoke Aikpitanyi, nei locali dell' assessorato comunale alle Attività sociali, in occasione della Giornata europea contro la tratta che si terrà domenica 18 ottobre. Cittadina onoraria di Palermo dal 2014, Isoke è arrivata nel 2000 in Italia con il sogno di trovare un lavoro, trovandosi poi schiava della mafia nigeriana e italiana e costretta a prostituirsi. Dopo essere riuscita a liberarsi dall' oppressione, ha scelto di aiutare altre donne nigeriane schiavizzate in Italia avviando il progetto «Le ragazze di Benin City» per contrastare e prevenire il traffico di donne a scopo di sfruttamento sessuale, aprendo quattro case in Valle d' Aosta, Piemonte, Pavia e Genova per accogliere le giovani. In otto anni di attività è riuscita a salvarne trecento.E il progetto approda anche a Palermo: «Siamo donne provenienti dalla città di Benin City nello Stato Edo della Nigeria dicono presentandosi-. Alcune sono vittime di tratta che hanno deciso di cambiare vita. Molte sono senza lavoro, con figli nati a Palermo e dunque palermitani secondo la legge italiana.Alcune chiedono l' elemosina per sopravvivere e sostenere la famiglia, fuori dai supermercati, sulla strada. È molto difficile trovare il necessario per mangiare e pagare l' affitto di casa». Il gruppo «Donne di Benin City Palermo» ha deciso di andare avanti per accompagnare anche altre donne della loro terra fuori dalla schiavitù. «Sono molte le donne che vivono nella strada che hanno il desiderio di migliorare la propria vita. Ma se non c' è lavoro per loro, come possono farcela? Vogliamo trovare opportunità di lavoro, chiedere al Comune di Palermo di aiutarci, cooperare con altre donne in Italia- aggiungono -.Vogliamo creare una rete di sostegno diretto, di mutuo -aiuto con le altre ragazze».Veru è una di queste volontarie, giunta in Italia 17 anni fa.«Avevo lasciato la Nigeria a 28 anni con quattro figli, mio marito se n' era andato con un' altra donna. Arrivai a Napoli convinta di andare a lavorare come baby-sitter, invece...» e quei puntini di sospensione nascondono tutto l' orrore, le umiliazioni, le violenze, la vergogna provati sui marciapiedi. Poi Veru incontrò un uomo, che le avrebbe cambiato la vita e sarebbe diventato suo marito. «Ma dovevo pagare 75 milioni di lire agli sfruttatori, come potevo fare?» ricorda con terrore. Per un po' continuò a pagare, poi più niente. Arrivò a Palermo col suo nuovo compagno, ma la vendetta non si fece attendere e si scatenò contro la sua famiglia di origine, in Nigeria. Al fratello gemello ruppero entrambi i polsi. «Io avevo paura per loro, ho anche adesso paura per i miei figli, ho intenzione di farli andare in Ghana», dice adesso Veru. Al loro fianco c' è Isoke Aikpitanyi. «Non dobbiamo dimenticare che lo sfruttamento delle ragazze è gestito da organizzazioni internazionali che hanno accordi con la mafia locale - racconta -. Per gli sfruttatori questa attività non è un reato, è un business. Pagano un canone per potere lavorare tranquillamente e hanno una rete capillare sul territorio. Calcoliamo che ci siano 10 mila 'madame' in tutta Italia e che ciascuna abbia dei collaboratori e una gestione di circa 10 ragazze».I numeri sono destinati ad aumentare per la presenza sulla strada di tantissime ragazze, anche minorenni, arrivate con gli sbarchi degli ultimi anni. Ne hanno consapevolezza le istituzioni cittadine che stanno lavorando a un tavolo comune di collaborazione con le associazioni. Uno scambio epistolare tra il sindaco Leoluca Orlando e il prefetto Francesca Cannizzo punta proprio a questo, «coordinare strategie mirate di prevenzione, attraverso un più stretto collegamento fra magistratura, forze dell' ordine edel sistema di assistenza sociale e sanitaria, sia pubblico sia dell' associazionismo edel volontariato».L' assessore comunale alle Attività sociali, Agnese Ciulla, conferma: «Stiamo lavorando in questa direzione per avviare percorsi legati alla fuoriuscita delle donne dalla tratta».(Giornale di Sicilia)
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