La finanziaria è lacrime e sangue ma non si dice
La chiave di lettura del disegno di legge finanziaria deliberato il 21 dicembre dalla Giunta di governo della Regione Siciliana si trova nelle schede di sintesi allegate all’articolato. Esse fotografano la drammatica situazione di partenza: 3 miliardi di disavanzo di parte corrente, 8 miliardi di indebitamento, 1 miliardo di spesa autorizzate ma non erogate per limiti connessi al patto di stabilità interno, i fondi di riserva azzerati.
Una situazione in realtà nota da tempo e che sta all’origine della sostanziale paralisi dell’amministrazione regionale e del blocco della spesa. La crisi di liquidità ha creato difficoltà anche al rush finale per la chiusura della spesa del ciclo di programmazione dei fondi strutturali 2007-2013 perché la cassa regionale ad un certo punto si era trovata nell’impossibilità di anticipare le somme necessarie: frutto di errori di questo governo, certamente, ma anche della pesante eredità del passato.
Il limite vero di questa finanziaria è la mancanza di un organico e credibile disegno di riforma delle istituzioni regionali, in assenza del quale l’attenzione si concentra necessariamente su aspetti di natura finanziaria su cui conviene far chiarezza. La Sicilia incasserà per il prossimo anno 500 milioni di iva in più sui consumi per effetto indiretto dello split payment (il meccanismo per il quale le amministrazioni pubbliche sono tenute a versare direttamente all’erario l’imposta sul valore aggiunto loro addebitata dai fornitori), ma l’annosa questione del contenzioso con lo Stato sui rapporti finanziari è ancora aperta.
Le norme di attuazione dello Statuto in materia finanziaria risalgono al 1965 e, per le profonde modificazioni nel frattempo intervenuto nel sistema fiscale italiano, hanno portato ad una progressiva erosione delle entrate tributarie nell’isola. Il governo nazionale ha responsabilità indiscutibili, per esempio non ha finora provveduto a saldare neanche la parte già definita (art.11 D L 8 aprile 2013, n.35) che riguarda l’attribuzione alla Regione del gettito delle imposte sui redditi prodotti dalle imprese industriali e commerciali avente sede fuori dall’isola per un valore stimato di 200 milioni.
Inoltre non è stata definita la compensazione delle accise sui prodotti a compensazione dell’aumento della compartecipazione alla spesa sanitaria, passata dal 42,5% del 2007 al 49,11% del 2009 (valore stimato 600 milioni l’anno). Ancor più complicata è la vicenda dell’IRE (ex Irpef) per la quale il contenzioso con lo stato relativamente al minor gettito derivato dallo spostamento a Latina dell’elaborazione dei cedolini paga dei dipendenti statali ammonta a 500 milioni. Aggiungendo i 115 milioni che, secondo gli uffici dell’assessore all’Economia, sono dovuti alla regione per il combinato disposto della sentenza 65/2015 della Corte Costituzionale e dell’accordo Crocetta-Padovan nel giugno 2014, “i torti subiti “ammontano a circa 1miliardo e 400 milioni di euro.
Ecco il numero magico al centro di questa Legge Finanziaria, di cui tanto si è discusso. Si è giunti a tal punto anche per le colpe della Regione, che non sono inferiori a quelle rimproverate al governo nazionale, per la scadente qualità della legislazione in questi anni e per la mancanza di coraggio riformatore del ceto politico che hanno contribuito ad irrigidire oltre il limite del tollerabile la condizione finanziaria dell’istituzione. Se non si realizza una svolta netta, la Regione è destinata ad affondare. Comunque, solo l’arrivo di queste risorse consentirà di chiudere il bilancio del 2016.
Arriveranno? Da dove? 900 milioni stanno nella legge di stabilità 2016 definitivamente approvata dal Parlamento il 22 dicembre “nelle more” della definizione delle norme di attuazione dello statuto in tema di rapporti finanziari con lo stato. In sostanza, si prende atto dell’impossibilità di utilizzare il fondo coesione e sviluppo per il concorso al risanamento della finanza pubblica previsto da precedenti leggi di stabilità e si provvede ad esso con risorse provenienti dal bilancio regionale ammontanti a 1miliardo 286 milioni di euro. A questo fine, oltre i 900 milioni di cui si è fatto cenno, saranno utilizzate le risorse che arriveranno dalla conclusione del contenzioso con lo stato.
Due prime considerazioni: questa è la prima finanziaria concordata direttamente con il governo nazionale invece che con il commissario dello stato; in secondo luogo si prende finalmente atto che non si possono utilizzare i fondi per lo sviluppo per sopperire le occorrenze della spesa corrente, così come si era fatto ancora con il bilancio del 2015 che ha potuto trovare la sua quadratura solo grazie alla delibera CIPE di novembre (ricordate la vertenza del forestali?). Quest’impianto naturalmente funzionerà solo se la Regione saprà riprendere nelle sedi deputate (a partire dalla Commissione paritetica stato-regione) e concludere positivamente il negoziato con il governo centrale.
Sarebbe un errore esiziale muoversi nella logica del rivendicazionismo per i “torti subiti”. Nell’audizione parlamentare del 23 aprile 2015 la Corte dei Conti ha segnalato come si presenti ancora arduo il percorso di attuazione del federalismo fiscale nella Regione siciliana, reso complesso dalle difficoltà nel definire con lo Stato i rispettivi ambiti di attribuzione. Permangono “l’incertezza normativa ed il prolungato contenzioso (che non ha trovato composizione nei numerosi tavoli di confronto convocati all’uopo nel corso del 2012) e che hanno riguardato, tra l’altro, temi quali: l’applicazione dell’art. 3 dello statuto e degli artt. 2 e 4 del D.P.R. n. 1074/1965, il principio di territorialità dell’imposta, la compartecipazione alle accise, l’accertamento dei tributi e la neutralità finanziaria, i cui limiti applicativi, peraltro, sono stati tracciati, in più riprese, dalla Corte costituzionale.”
Altre regioni a statuto speciale hanno invece proceduto, d’intesa con il governo, alla definizione di nuove norme di attuazione. Questi ritardi, sommati agli errori di politica economica ed al procedere impacciato delle Giunte di governo che si sono succedute sotto la presidenza Crocetta al rinvio della riforma dell’amministrazione regionale ed alla scarsa fortuna delle leggi di riordino delle province e del sistema idrico, hanno aggravato la già pesante condizione finanziaria e condotto al drammatico esito di questi mesi con il blocco della spesa e un difficile negoziato con Roma. Insomma, la legge finanziaria regionale, per quanto attiene alle risorse ed alle riduzioni di spesa, è scritta a quattro mani con il governo nazionale.
La Regione ora deve fare i “compiti a casa” per dimostrare che le risorse ad essa destinate non sono destinate a perdersi nel pozzo senza fondo di un bilancio che ammonta ad oltre 24 miliardi di euro per l’esercizio finanziario 2016 (si ridurrà a 21.806 nel 2017 ed ancora a 21.450 nell’ultimo anno del triennio), destinato per quasi il 90% alle spese correnti. Il titolo I del disegno di legge, dopo aver messo al sicuro il cofinanziamento dei programmi comunitari 2014-2020 ricorrendo al FSC, opera tagli significativi soprattutto sulle spese per il personale, a partire dalla riduzione dei compensi dei dirigenti, dal taglio del salario accessorio per i dipendenti in distacco sindacale, l’abolizione del meccanismo di transito automatico nelle fasce superiori per i forestali.
In realtà sono provvedimenti che non producono risparmi particolarmente significativi ma rispondono allo scopo di segnalare l’inversione di tendenza. Il testo del disegno di legge non è privo di contraddizioni perché si ampliano – come interventi a carattere anticiclico – meccanismi di dubbia utilità come i cantieri di servizio del RMI e si destinano 30 milioni del PAC 2014-2020 per il finanziamento di cantieri di lavoro. E’ assolutamente condivisibile la necessità di dare risposte alle fasce più deboli del mondo del lavoro che hanno pagato un prezzo altissimo alla crisi, ma i provvedimenti in questione sanno di assistenzialismo. Sarebbe stato più utile immaginare interventi capaci di aprire opportunità di lavoro produttivo soprattutto per i giovani. I titoli successivi riguardano materie diverse, dall’acqua e rifiuti (con l’introduzione di un tributo speciale per il deposito in discarica) ai parcheggi di interscambio nelle aree metropolitane e nei centri sopra i 30.000 abitanti, ai “trasporti per le isole minori con mezzi alternativi a quelli marittimi”.
Qui davvero la fantasia della Giunta si è esercitata: si pensa forse ad un servizio elicotteristico? Usciti per il rotto della cuffia dalla vicenda dei precari degli enti locali grazie all’emendamento approvato dal Parlamento nazionale, si è voluto inserire nella finanziaria un’ipotesi di premialità decennale per i comuni che stabilizzano i precari. E’ un’altra proposta che si aggiunge a quelle già in campo; incrociamo le dita con l’augurio di non ritrovarci di nuovo a dicembre 2016 nelle condizioni di quest’anno. Non posso non citare qualche norma singolare, come quella riguardante l’assunzione di sette giornalisti con il meccanismo fiduciario degli uffici di diretta collaborazione.
Davvero, ogni commento è superfluo, sol che si ricordino i fatti avvenuti pochi mesi dopo l’insediamento di Crocetta. Non mi sottraggo, invece, ad un giudizio sul titolo VII contenente misure di contrasto alla povertà assoluta. Ricordo, innanzitutto, che è stato formalmente depositato all’ARS il disegno di legge di iniziativa popolare contro la povertà promosso da un cartello di associazioni coordinato dal Centro Pio La Torre, che ha raccolto ben 15.000 firme di cittadini siciliani. Senza tenerne alcun conto, in Finanziaria vengono proposti un piano regionale per la povertà (che dovrebbe esser adottato dalla Giunta dopo l’approvazione del DdL) e l’introduzione di una misura definita reddito minimo familiare. Per quanto si capisce, il meccanismo riguarderebbe i nuclei familiari con un’ISEE inferiore a 5000 euro l’anno e il beneficio sarebbe erogato fino a sei mesi nel corso dell’anno e non sarebbe ripetibile.
Qui casca l’asino: misure una tantum alimentano la trappola della povertà e possono dar luogo a pressioni clientelari come quelle ben note alle varie forme di assistenzialismo sperimentate nell’isola. Dubbi fa sorgere inoltre l’idea di affidare la gestione della misura ai Centri per l’impiego, tagliando sostanzialmente fuori i comuni che sono il primo interfaccia dei bisogni e dei diritti di queste fasce maggiormente deprivate della popolazione. L’aspetto positivo riguarda l’individuazione di un fondo per la povertà finanziato con 100 milioni dei fondi PAC 2014-2020, ma preoccupa che il finanziamento si limiti al 2016 e 2017. In ogni caso, è importante che il governo abbia verificato la fondatezza dell’idea di utilizzare i fondi per lo sviluppo nella lotta contro l’esclusione sociale, sulla quale da parte dei promotori della legge di iniziativa popolare si è lungamente insistito.
La mia opinione è che il comitato organizzatore del DdL contro la povertà debba riprendere subito dopo le feste l’iniziativa per far sì che esso sia rapidamente iscritto al dibattito in commissione e avviato ad un positivo iter parlamentare. Aperti e disponibili, in ogni caso, ad un confronto con le proposte del governo e del presidente, che, tra l’altro, ben conosce la nostra impostazione. In conclusione, si tratta di un disegno di legge bifronte, come il dio Giano: da un lato uno sforzo di uscire dalle secche della crisi finanziaria regionale, dall’altro la riproposizione di una vecchia concezione della Finanziaria come legge omnibus. Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Vedremo cosa produrrà il passaggio d’aula. In ogni caso, come dimostra “l’incidente” del DPEF bocciato all’ARS, i toni trionfalistici sono fuori luogo: la strada da percorrere è ancora molto lunga e il traguardo non appare ancora all’orizzonte.
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