La donna terra di conquista, così il corpo femminile diventa simbolo del potere mafioso

Società | 14 gennaio 2022
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 “Come non si guardano le nostre donne non si guardano i nostri territori”. L'esercizio di un potere arbitrario che dispone del corpo della donna come di un oggetto sta tutta qui, nella frase di un 'ndranghetista riportata da Sabrina Garofalo, docente del centro di Women's Studies 'Milly Villa' dell'Università della Calabria nel corso della terza videoconferenza del progetto educativo antimafia e antiviolenza organizzato dal Centro Studi Pio La Torre e dedicato alle “Disuguaglianze di genere e pratica della violenza nella società civile e nelle organizzazioni mafiose”.

 Un tema che ha intriso la nostra cultura rivelando una Sicilia che “Dall'ultimo report della Polizia di Stato è la prima regione dove si registrano più violazioni dei divieti di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima di violenza e  la seconda regione per reati legati al cosiddetto 'revenge porn', ovvero la diffusione illecita di video e immagini sessualmente espliciti”, ha detto Alessandra Dino, sociologa e docente dell'Università di Palermo intervenuta insieme a Beatrice Pasciuta, prorettrice alla Inclusione Pari Opportunità e Politiche di Genere dell'Università di Palermo. A moderare l'incontro è stato il presidente del centro, Vito Lo Monaco. 

“A lungo il nostro diritto penale è stato sessista, trattando uomini e donne in maniera diversa – ha aggiunto Dino -  Il reato di stalking è stato introdotto nel 2009, mentre la legge contro la violenza femminile che introduce nuove disposizioni, come il divieto di avvicinamento alla dimora della persona offesa, è solo del 2013”. “Tra i Paesi europei l'Italia è terzultima per numero di omicidi femminili, la violenza di genere non è un problema privato o soltanto femminile, ma sociale, ha a che fare con le violazioni dei diritti umani, come ratificato dalla Convenzione di Istanbul”. 

Diritti ignorati e calpestati come emerge dalle storie di tante donne coraggiose che hanno rotto il silenzio e che sono state ricordate nel corso della conferenza, come quella della giovane testimone di giustizia Maria Stefanelli, della collaboratrice Giusy Pesce, di Maria Concetta Cacciolla, Roberta Lanzino e Annamaria Scarfò, donne che hanno rappresentato un elemento di rottura delle logiche del clan. “So che non ti vedrò mai più – scrive Maria Concetta Cacciolla alla madre – perchè questa sarà la volontà dell'onore e per questo voi tutti avete perso una figlia”. E così sull'altare dell'onore chi si ribella va punito con una pena esemplare: “Nei femminicidi di Ndrangheta  - ha detto Garofalo -  è stato usato l'acido muriatico che corrode e cancella anche simbolicamente tutti gli organi legati alla voce di chi si parla. I corpi delle donne sono stati usati come merce di scambio in una violenza fondativa del potere mafioso, taciuta, in una sorta di ammaestramento collettivo di generazioni con questa idea di mascolinità egemonica dove il dominio sui corpi va di pari passo con il dominio del territorio”. Lo dimostra la storia di Roberta Lanzino, che a soli 19 viene selvaggiamente seviziata, violentata e uccisa mentre va al mare. Col suo scooter si era persa nelle strade impervie che da Cosenza portano alla litoranea, il branco che l'ha assalita resterà anonimo, mentre il suo cadavere  racconta la furia che si è abbattuta su di lei, cosa tra le cose di un territorio su cui esercitare un dominio incontrastato. Ma i pregiudizi hanno intriso sia il racconto che i media fanno delle violenze che il linguaggio di alcune sentenze, come ha raccontato Alessandra Dino, che ne ha letto  alcuni stralci: “La gelosia è spesso considerata un elemento plausibile per non dare le aggravanti per 'futili e abietti motivi', al contrario di quando il delitto viene commesso per ragioni economiche. Quando la vittima è straniera il giudice è più propenso a leggere l'assassinio nei rapporti di potere tra uomo e donna. C'è poi una retorica che porta alla deresponsabilizzazione dell'assassino e una rappresentazione distorta della realtà: fa più notizia l'uccisione di una donna giovane, con il 38% di articoli a fronte di un 4,8% di casi che hanno riguardato donne tra i 10 e i 16 anni, mentre quando le vittime hanno un'età che va da 40 a 59 anni queste sono sottorappresentate con il 12,8% di articoli. L'omicidio di una donna anziana non fa notizia, come quello di una straniera a opera di uno straniero, al contrario uno straniero che uccide un'italiana fa molta più notizia”. 

”Le armi utilizzate  - continua Dino - sono spesso armi da taglio che indicano una relazione corpo a corpo molto forte, mentre il luogo è spesso l'abitazione dove risiede la vittima. Nel 92% dei casi le donne sono uccise da una persona conosciuta. Si parla erroneamente di 'raptus' e di uomini con patologie psichiche ma solo nell'8% dei casi c'è una diagnosi di psicosi grave, raccontando così come episodica una violenza che in realtà è nella maggior parte dei casi sistemica e commessa da uomini normali che non hanno precedenti penali.  Per fortuna anche l'Ordine dei giornalisti si è mobilitato negli anni, prestando maggiore attenzione ai testi, purtroppo nelle immagini prevale ancora una sorta di 'feticizzazione del cadavere' mettendo in risalto aspetti di una femminilità quasi erotica”. 

“Occorre superare le disparità anche sul trattamento economico riservato alle donne rispetto a quello dei loro colleghi - ha aggiunto Dino – e offrire risorse economiche serie per operare trasformazioni. La maggior parte degli operatori che lavora nelle case-famiglia, ad esempio, lo fa gratuitamente”. 

 

Per quanto riguarda le istituzioni, “L'università di Palermo quest'anno con il nuovo rettore ha voluto un prorettorato dedicato all'inclusione e alle politiche di genere, significa dotare l'università di una struttura che si occupa di tutti i temi connessi con disuguaglianze e discriminazioni – ha detto Beatrice Pasciuta, prorettrice alla Inclusione Pari Opportunità e Politiche di Genere Unipa nel corso della videoconferenza – mettere a disposizione dei ragazzi e delle ragazze le nostre competenze e le nostre ricerche sarà il nostro compito”. 

 

 di Antonella Lombardi

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