La Dia in 25 anni ha sequestrato 29 miliardi di euro ai clan
Tre milioni al giorno moltiplicati per 25 anni fanno oltre 29 miliardi. È questo il tesoro sottratto ai portafogli dei mafiosi da quando – correva l’anno 1992 – la Direzione investigativa antimafia, istituita con una legge del ’91, ha cominciato a macinare colpi su colpi. Un conteggio parziale, tra sequestri e confische, che si arricchisce quasi ogni giorno di nuovi colpi ai patrimoni illeciti, senza contare migliaia di arresti e le segnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio o finanziamento del terrorismo. Neppure a dirsi, questo organismo investigativo interforze, già pianificato dai giudici di Palermo Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ha colpito in questi 25 anni più duramente Cosa nostra e ’ndrangheta, organizzazioni criminali che da troppo tempo, inizialmente grazie al narcotraffico, danno del tu ai cartelli malavitosi mondiali, alla politica infedele di ogni colore, ai professionisti al soldo e alla imprenditoria che rinuncia al proprio ruolo di motore economico e sociale (si veda tabella in pagina). Questi primi 25 anni conditi di successi ma anche di difficoltà e critiche (spiccava l’assenza del capo della Procura di Catanzaro Nicola Gratteri, pur invitato al venticinquennale), sono stati celebrati ieri nella Sala Koch di Palazzo Madama alla presenza delle più alte cariche dello Stato. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha mandato un messaggio nel quale ha espresso «la gratitudine e l’apprezzamento dell’intero Paese per l’attività svolta a servizio dell’intera comunità. Il coordinamento in capo alla Dia assicura la necessaria tempestività investigativa». Il passato è scandito dai numeri di sequestri, confische, arresti e segnalazioni antiriciclaggio mentre il futuro si delinea in coda ad una scia già tratteggiata a Milano con Expo 2015. A sottolinearlo è stato il ministro dell’Interno Angelino Alfano che – con uno slogan che è anche un gioco di parole – ha ricordato di «preferire il fare al non fare per non fare infiltrare». Fuori dagli slogan e dagli scioglilingua: il modello Expo, con oltre 100 interdittive antimafia che hanno bloccato sul nascere le infiltrazioni di ditte in odor di criminalità, è stato un modello vincente e se questo è avvenuto lo si deve, ha proseguito Alfano, alla Dda, alla Procura di Milano, al ruolo di pivot della prefettura e alla Dia, che ha coordinato il lavoro sul campo. Un modello che Alfano e con lui il Governo ha riprodotto per la ricostruzione post terremoto che ha colpito recentemente Lazio, Marche e Umbria. Un modello che però va perfezionato se è vero come è vero che recenti indagini della magistratura calabrese e milanese hanno testimoniato che – nonostante tutto – cosche e clan cavalcano le praterie delle grandi opere e dei grandi eventi come Expo. Le coordinate del nuovo orizzonte investigativo della Dia sono, comunque, nella direzione delineata da Alfano. Lo stesso presidente del Senato Pietro Grasso ha ricordato che oggi più che mai è vitale quell’esigenza inderogabile che è alla base della Dia, vale a dire «evitare la frammentazione delle indagini introducendo forme stabili di accentramento e coordinamento. La Dia è sul piano nazionale quel che era il pool antimafia a Palermo». Nunzio Antonio Ferla, fino a ottobre 2017 Direttore della Dia, ha calcato il solco del gioco di squadra, ricordando che bisogna proseguire nel coordinamento con Dnaa e Dda e per chiunque oggi avesse ancora dubbi sull’utilità della Dia, ha letto questo stralcio di una richiesta di custodia cautelare avanzata il 23 giugno 2011 dall’allora capo della Procura di Caltanissetta Sergio Lari al Gip, sui nuovi responsabili della strage di via D’Amelio nella quale persero la vita Paolo Borsellino e la sua scorta: «…per raggiungere questo ambizioso obiettivo questo ufficio si è avvalso quasi esclusivamente del lavoro della Dia…». Un assist per il capo della Dnaa Franco Roberti che ha ricordato come il «connubio tra Dna, Dda e Dia era ed è imprescindibile. Ci furono resistenze all'inizio e anche gelosie ma la Dia si è affermata sul campo, con molte tra le più importanti e complesse indagini». La presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi ha sottolineato che la Dia «è un esempio e un modello per tutto il mondo; il grande valore della Patria è nella lotta alle mafie e alla corruzione» ma ha preferito andare oltre la retorica ricordando che «il condizionamento delle mafie è più forte quando non viene capito il cambiamento che le attraversa. Dobbiamo affinare la capacità di capire e interpretare l’evoluzione mafiosa. Nessuno di noi ha un supplente nella lotta alla mafia, ciascuno ha il proprio ruolo da svolgere». Poco dopo, a chiudere, il ministro della Giustizia Andrea Orlando, che ha insistito sulla necessità di guardare oltre i confini nazionali, per portare nel mondo l’esperienza vincente tanto della Dia quanto della Dnaa. Proprio qui, però, iniziano i dolori. «L’idea di una Procura europea antimafia – ha affermato – si sta pian piano spegnendo. La montagna sta partorendo un topolino e a questo punto forse è meglio lasciar perdere. E non è escluso che l’Italia lascerà presto perdere in sede europea questo ambizioso progetto di cui non è rimasto più nulla». (Il Sole 24 Ore)
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