La Dia: clan sempre più imprenditori
Le organizzazioni mafiose si sono ormai trasformate in vere e proprie «holding del malaffare». Questa «mafia imprenditrice» camuffa la propria presenza e l'agire tipicamente criminogeno dietro il paravento di società ed aziende apparentemente legali. È in corso una strategia di «sommersione», allo scopo di affievolire l'allarme sociale e far prosperare gli affari. L'analisi è contenuta nella relazione inviata dalla Direzione investigativa antimafia al Parlamento, relativa al primo semestre 2014. Per contrastare al meglio le mafie è necessario, pertanto, indica la Dia, «che si affermi in via definitiva un approccio alle indagini antimafia che miri a privare le organizzazioni criminali della propria linfa vitale, attraverso il sistematico ricorso al sequestro e alla confisca degli assets economici, finanziari e patrimoniali di origine delittuosa. In quest'ottica - sottolinea - la strategia di aggressione ai patrimoni illeciti accumulati e gestiti dalla criminalità organizzata non può prescindere dallo sviluppo di indagini economico-finanziarie imperniate sulla individuazione dei canali utilizzati per la ripulitura del denaro sporco». Per quanto riguarda la 'ndrangheta, la relazione evidenzia gli episodi di condizionamento che affliggono gli enti locali calabresi e che pongono la regione al primo posto per i provvedimenti di scioglimento di Comuni per infiltrazione mafiosa: complessivamente 14.
Ma il fenomeno, avverte la Dia, non è circoscritto alla Calabria. La maggiore incidenza numerica dei provvedimenti in parola in quella regione «può essere legata, oltre ad una particolare virulenza del fenomeno, anche ad una più accentuata sensibilità ed incisività delle istituzioni preposte al mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica, nel penetrare e vigilare sulle realtà locali, individuandone eventuali distorsioni». Dunque, prosegue la relazione, «non deve essere sottovalutata la specifica capacità della criminalità calabrese di infiltrare enti ubicati in aree anche lontane sfruttando presenze consolidatesi da decenni anche a seguito di immigrazione».
In proposito si segnala la prosecuzione della gestione commissariale presso il Comune di Sedriano (Milano), sciolto nell'ottobre 2013. Di Cosa Nostra, la Dia segnala la «metamorfosi rigenerativa»: è passata da un assetto gerarchico, compatto e rigidamente ancorato al territorio, «verso forme più flessibili delle sfere di influenza». Ciò nonostante dal circuito carcerario continuano provenire «autorevoli ordini di scuderia». Ai ruoli apicali ci sono persone «dal curriculum criminale privo di background» e senza la «leadership che connotava gli storici capi clan». L'organigramma della mafia siciliana, «sempre militarmente connotato, subisce periodiche mutilazioni dovute »al crescente arruolamento di manovalanza straniera e, perfino, di nomadi«.
Le nuove leve sono inoltre »animate dalla bramosia di facili guadagni« da ciò deriva l'allontanamento »da taluni stereotipi mafiosi di riserbo e prudenza e dall'adesione incondizionata al 'codice d'onorè a scapito di una riservatezza già fortemente erosa dall'uso delle moderne tecnologie«. E proprio per la facilità e velocità con cui procura denaro contante è il business del gioco d'azzardo quello che più attrae le nuove leve. Quanto alla camorra, la relazione sottolinea la »grande difficoltà operativa« dei casalesi, alla luce anche della decisione di Antonio Iovine di collaborare con la giustizia. Anche se, avverte, »l'esempio della collaborazione di Francesco Bidognetti, indurrebbe ad una certa cautela circa il fatto che possano essere conseguiti definitivi risultati strategici attraverso il pentimento di vecchi capi gruppo, attesa la persistente vitalità del suo sodalizio«.
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