La crisi Ucraina e gli artisti russi, perchè la censura?
Nudi e crudi, senza particolare eco da parte dei media italiani, gli accadimenti (recenti) sono questi. Tugan Sokhiev (nella foto) – direttore dello storico Teatro moscovita Bolshoi- si dimette dall’incarico rinunciando anche alla carica di direttore musicale dell'Orchestre National du Capitole de Toulouse. "Dopo aver affrontato una scelta impossibile tra i miei musicisti preferiti russi e francesi, fra Debussy e Stravinskij, ho deciso di conseguenza”- specifica il musicista. Chapeu. Coraggioso, coerente, encomiabile.
Successiva all’embargo- Dostoewskij imposto al ‘visiting professor’ Paolo Nori dal comitato accademico dell’Università Bicocca di Milano, il pavido provincialismo connazionale non ha smesso di dare squisiti esempi di sé.
Al Museo del Cinema di Torino si provvede a togliere di torno le locandine che annunciano la retrospettiva dedicata al regista Karen Georgevich Shakhanazarov declinando, freschi freschi, la “cancellazione di tutti i film della rassegna Anima Russa” per meglio esprimere-si legge in un comunicato stampa “la nostra solidarietà con l’Ucraina”. Rincara la dose il presidente del Museo Enzo Ghiro “La motivazioni? Evidenti. Abbiamo ritenuto che la monografia di un caposcuola della cinematografia russa, il quale non ha disconosciuto le azioni di Putin, non debba essere realizzata”. Alla faccia della universalità e “invito alla tolleranza” che si assegna al tanto deprecato “mondo della cultura”, dolente memore della pistola fumante di Goebbels.
Ghigo si sente, e lo rivendica, un “precursore” di ciò che cui è bene “provvedere”, con zelo, prudenza e tagliola. Forse ignaro di essere stato preceduto, nel tragico rutilare degli eventi bellici, dal sindaco di Milano Beppe Sala, lesto (tremebondo?) dal cacciar via dal Teatro alla Scala il M.tro Valerij Gergiev, reo –a pochi giorni dall’inizio dell’infame invasione- di non avere ancora preso le distanze dal truce Putin e dalla Santa Madre Russia che ebbe a partorirlo. Si profila analogo ostracismo, al Teatro Regio (di ritorno a Torino) per l’atteso balletto “Lo schiaccianoci”, musiche di Cajkovskij, nell’edizione del Balletto dell’Opera di Tblisi.
Non siamo particolari amanti di anatemi e polemiche, ma a qualche scottante riflessione come sottrarci? Legittimo attendersi che il bistrattato emisfero della cultura e dello spettacolo, non essendosi ancora trasferito nell’Empireo, esprima opinioni e scelte per tutto ciò che attiene politica, società, bivi (e imboscate) della Storia. Però Marlene Dietrich, tedesca esiliata (e privilegiata) a Hollywood, ci mise alcuni anni prima di fare le valigie e correre in Europa ad esibirsi per alleviare, con i suoi show, le truppe americane impegnate nel Secondo Conflitto. E Chaplin attese il 1940 per affidarci il suo sapiente, prezioso barbiere ebreo protagonista del “Grande Dittatore” in spregio a Hitler
Evitando la paludata retorica della “terra felice quando non servono eroi”, resta in sospeso qualche interrogativo. Come e perché pretendere (in misura grossolana e manichea) che un artista, un musicista, un semplice cittadino dimorante in altro paese compia decisioni, obbedisca ad una sorta di becero aut-aut, mentre la sua nazione va in rovina? Ha diritto o no ad un lasso di tempo per ‘allinearsi’ o ‘stigmatizzare’? Può o no temere ritorsioni per i propri familiari rimasti in patria? O forse si teme che voglia approfittare di un salvacondotto che farebbe a pugni con intelletto, creatività, stima di se stessi? Non dico tempo al tempo, ma nessuna sollecitudine estorta e speciosa. Altrimenti detta censura.
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