La crisi e i buchi della sanità in Sicilia

11 giugno 2014
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Il sistema sanitario nazionale pubblico e con copertura universale è uno dei baluardi del welfare state, quale fu concepito nel "trentennio dorato" successivo alla conclusione del secondo conflitto mondiale, e costituisce una delle caratteristiche fondamentali del modello sociale europeo. Nei paesi dell'Unione Europea il rapporto medio tra PIL e sanità è intorno al'8% e la parte pubblica rappresenta una frazione compresa tra il 70 e l'80% della spesa sanitaria totale (J. Drèze, A. Sen "Una gloria incerta"). La salute è uno dei beni primari da tutelare e, come ci ricordano ancora Drèze e Sen, "è difficile immaginare qualcosa di più importante della salute per il benessere umano e la qualità della vita."

La situazione italiana tende a deteriorarsi: il Rapporto Istat 2014 evidenzia come sembri messa a rischio quella dimensione rilevante dell'equità rappresentata dall'accessibilità al sistema sanitario pubblico. "Un indicatore importante al riguardo- continua l'Istituto di Statistica- è costituito dalle rinunce alle cure. L'analisi di questo indicatore evidenzia sacche di iniquità, come testimonia la percentuale di persone che, pur in presenza di un bisogno di salute, hanno dovuto rinunciare alla prestazione sanitaria. Nel 2012 la quota di cittadini che ha rinunciato alle cure (vale a dire ad accertamenti specialistici o a visite specialistiche non odontoiatriche o interventi chirurgici o all'acquisto di farmaci) si attesta al'11,1 per cento, in maggioranza donne (13,2 per cento, uomini 9 per cento); a livello territoriale la quota è più elevata nel Mezzogiorno (Sud 14,4 per cento, Isole 15,4)".

Insomma, l'altra faccia della stretta finanziaria e dell'azione di risanamento economico che ha riportato un numero sempre più grande di aziende sanitarie, anche del Mezzogiorno, con i conti in pareggio o comunque con un deficit non superiore al 5%, è rappresentata da una diminuzione della offerta di sanità, da un aggravio del sistema dei tickets che pesa fino a 900 euro l'anno sui bilanci delle famiglie, da una crescente differenziazione della qualità dei servizi, che ha condotto alla constatazione che le condizioni di salute nel Mezzogiorno sono mediamente peggiori che nel resto del paese. Insomma si è ampliata la disuguaglianza ed ancora una volta pagano i meno abbienti ed i territori più deboli.

Non sono uno specialista del settore, quindi preferisco affrontare il tema dal punto di vista del cittadino che, paziente o parente di ammalati, si trova costretto a fare i conti con la sanità pubblica in una regione difficile come la Sicilia. La prima osservazione è che anche nell'isola è aumentata in modo consistente l'iniquità del sistema. In particolare per le patologie a maggior rischio, nelle quale a volte la possibilità di guarigione dipende dalla precocità della diagnosi, le lunghe liste di attesa per l'accesso alla diagnostica strumentale annullano nei fatti il carattere di universalità del sistema sanitario nazionale e creano un'ingiustificabile disparità basata sui redditi e sulla conseguente capacità di acceso alla struttura privata, che offre il servizio in tempi rapidi ma a pagamento. I dati relativi alle attese ed alle disfunzioni nell'utilizzo delle macchine per la diagnostica sono impressionanti (ne parla su questo stesso numero Ambra Drago): 118 giorni di attesa per eseguire un esame possono davvero diventare la differenza tra la vita e la morte.

Tanto più che, come viene ricordato, "su questi tempi di attesa,incidono anche le Tac acquistate dalle strutture sanitarie pubbliche che rimangono imballate nei depositi perché mancano i locali attrezzati dove farle funzionare o il personale specializzate che dovrebbe utilizzarle". Avverto poi la crescente distanza tra i presidi di eccellenza sanitaria e la qualità media dell'assistenza ospedaliera che tende a diminuire in forza di tagli alla spesa che spesso non riescono a colpire le aree di spreco e finiscono, viceversa, per indebolire servizi essenziali, in special modo la medicina di base nel territorio. La presenza di esperienze di eccellenza che, soprattutto nel campo della ricerca, fanno riferimento a fondazioni di valore internazionale, non deve far dimenticare la necessità di rafforzare la presenza e la qualità delle strutture pubbliche. Altrettanto delicato è il tema del rapporto tra pubblico e privato: la sanità in Sicilia ha rappresentato terreno fertile per affari non sempre leciti e commistioni che hanno coinvolto la mafia.

E' noto, infine, come attorno alla medicina si siano consolidate consorterie di affari e carriere politiche contro le quali bisogna impegnare con decisione la lotta ad ogni livello: da quello delle scelte politiche, a quello amministrativo, all'intervento della magistratura laddove emergano fattispecie penali. E' pensabile che non ci si sia accorti dei cento passaggi di proprietà in strutture che gestiscono un servizio delicatissimo come la dialisi? Chi ci sta dietro? Quali sono gli intrecci societari? Chi era incaricato di vigilare si è distratto? Sarebbe bene non dimenticare che sulla sanità si sono consumati alcuni degli scandali più devastanti della politica italiana e sulla sanità è caduto un politico allora all'apice del potere come Salvatore Cuffaro.

Anche per questo bisogna mantenere la vigilanza al più alto livello e garantire la massima trasparenza in un settore che muove interessi economici assai potenti ma è decisivo per la qualità della vita dei cittadini.

Franco Garufi



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