La crisi dell'Europa si tinge di sangue
Il pensiero commosso va a Parigi, all'insanguinata redazione del Charlie Hebdo, ai 12 giornalisti e disegnatori assassinati, all'immagine terribile del poliziotto di origine algerina e verosimilmente musulmano (si chiamava Ahmed, scrive Adriano Sofri) finito a freddo da uno dei killers. Non è altro dal tema che mi propongo di affrontare: la crisi dell'Europa sta anche nella complessità e contraddittorietà della sua trasformazione da continente che per due secoli ha dominato il mondo- ma ha vissuto al suo interno lo scontro decisivo tra Francia, Germania e Gran Bretagna che è stato all'origine di due guerre mondiali- a uno dei molteplici poli di un mondo che sta affannosamente costruendo nuovi equilibri.
L'Unione Europea del secondo decennio del XXI secolo, composta da 28 stati nazionali- diciannove dei quali aderiscono alla moneta unica- è stata eretta sulle rovine del bipolarismo tra USA ed Unione Sovietica, che aveva trionfato nel 1945 ma è rimasto sepolto nel novembre 1989 sotto le macerie del muro di Berlino. Essa è diversa dalla Comunità che fu concepita con gli accordi di Roma del marzo 1957 tra sei paesi che ponevano le basi per il superamento di contrapposizioni secolari, seguendo le linee delineate nel “manifesto di Ventotene” del gruppo di Spinelli e grazie al realismo politico di personalità come il francese Jean Monnet, il belga Paul Henry Spaak e l'italiano Antonio Martino.
L'UE del 2015 appare come un gigante dai piedi di argilla in un mondo multipolare dominato da grandi paesi con istituzioni federali come gli USA e l'India o da quella strana miscela di capitalismo ed autoritarismo politico che è la Cina contemporanea. La moneta unica che, secondo il trattato di Maastricht doveva esserne il cemento, ha finito per divenire il suo principale elemento di debolezza. L'economista Paul Krugman ha descritto così il problema principale dell'Europa di fronte alla moneta unica: “l'Europa non è un aggregato omogeneo. E' un insieme di paesi ognuno dei quali ha il proprio bilancio (c'è pochissima integrazione fiscale) e il proprio mercato del lavoro (la mobilità della manodopera è bassa), ma non la propria moneta.
E questo crea una crisi.“ Ed ancora: “ la grande illusione ...si fonda sulla convinzione che la crisi europea sia causata essenzialmente dall'irresponsabilità fiscale...è quindi necessario imporre delle regole che prevengano il ripetersi di questo ciclo perverso” (P. Krugman, Fuori da questa crisi, adesso, 2013). Quest'impostazione punitiva ha portato alle politiche di rigore (alfiere ne è la Germania che gode di un sostanzioso surplus commerciale) le quali, sommate alla lunghezza e profondità della crisi, hanno creato il corto circuito che rischia di paralizzare l'intera costruzione europea.
L'euro è la prima ed unica esperienza al mondo di moneta senza sovranità, senza cioè la possibilità di manovrare l'inflazione stampando moneta, mentre i poteri della BCE sono assai inferiori di quelli della FED, il suo corrispettivo statunitense. Il 2015 non si presenta sotto buoni auspici: la deflazione annunciata avrà effetti negativi sulle economie del Continente, mentre il sollievo procurato dalla vertiginosa caduta dei prezzi del petrolio non sarà sufficiente- nelle condizioni date-a rilanciare i consumi.
Nel frattempo il disagio politico crescente incrocerà una delicata stagione elettorale: nel corso dell'anno saranno nove i paesi che andranno alle urne e, a cominciare dalla Grecia il 25 gennaio, per la prima volta le campagne elettorali nei vari paesi avranno le politiche europee come argomento centrale di scontro; e il volto dell'Europa purtroppo sarà quello, ormai indissolubilmente collegato all'impoverimento di ampi strati di popolazione, delle politiche di rigore. La lezione delle ultime elezioni per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo è chiara: Schultz ha perso non solo per la decisione di Tsipras di presentare una propria lista, ma per l'incapacità dei socialisti europei di rappresentare se stessi come la credibile alternativa al rigore imposto da frau Merkel.
Non è necessaria particolare abilità per prevedere una crescita elettorale di tutti i movimenti critici rispetto alle scelte di Bruxelles. L'appuntamento di Atene sarà la prima verifica: occorre però evitare di confondere gli auspici con la realtà. E' probabile che si affermi Syriza, ma la Grecia ha solo 10 milioni di abitanti e un debito sovrano che ormai è per l'80% in mani pubbliche. Comunque vada, non sarà Atene a decidere le sorti dell'Europa che si giocheranno invece, nei mesi successivi, soprattutto in Spagna ed in Francia. Alcuni commentatori, per esempio Gabriele Meoni, sottolineano la crescente distanza degli elettori dai partiti tradizionali.
E' vero, ma non porta automaticamente a sinistra. Alla crescita di Podemos in Spagna (ma in che direzione giocherà la pressione indipendentista in quella Catalogna, che rappresenta nella penisola iberica il corrispondente della nostra Lombardia?) fa riscontro l'ascesa della Le Pen in Francia. La Gran Bretagna, che comunque è fuori dell'euro e ha una doppia identità europea ed atlantica, è tentata di abbandonare l'Unione come propone l'Ukip di Nigel Farage, ma è attraversata anche da altre tensioni, tanto che circa il 45% degli elettori scozzesi ha detto si alla separazione dal Regno Unito. In realtà la situazione europea è molto complessa e la nostra attenzione è troppo centrata sul nucleo dei paesi fondatori, mentre una partita decisiva si gioca ad Est, soprattutto nel complesso rapporto tra la Germania, la Polonia e la Russia. Inoltre, la crisi sta colpendo sopratutto la classi medie, il lavoro dipendente e le generazioni più giovani: mette in discussione certezze, abbassa i redditi (anche nella Germania che vanta il tasso di disoccupazione più basso ci sono milioni di “working poors” a salario ridotto), distrugge la nozione di futuro.
Una miscela esplosiva che potrebbe dare origine a reazioni chimiche mostruose, specie in presenza di condizioni di disagio estremo: in Italia ancora non lo avvertiamo perché l'immigrazione di massa è fenomeno relativamente recente, ma si rifletta alla quantità di frustrazioni che può accumulare un giovane di origine algerina o pakistana in una banlieu di Parigi o in un quartiere ghetto di Londra (gli attentatori della metropolitana di Londra erano pakistani nati e cresciuti in Inghilterra, così come pare che siano franco-algerini gli attentatori di Parigi). Come si esce dall' imbuto? Non esistono alternative all'Unione Europea e l'uscita dall'euro sarebbe controproducente per la stessa Grecia, tanto che nemmeno Tsipras la propone: però se l'Europa di Bruxelles e di Berlino resta uguale a quella di oggi, l'insieme delle istituzioni europee finirà per collassare.
Bisogna, allora, andare avanti sulla strada della costruzione di un'Europa federale con un vero governo europeo e politiche economiche e fiscali che abbandonino il rigore e puntino all'europeizzazione del debito sovrano ed all'emissione di eurobond (proposti anni fa anche da Romano Prodi), per finanziare politiche di sviluppo capaci di rilanciare l'occupazione e la crescita sostenibile in tutti i paesi membri. Altrimenti- lungi da me ogni sentimento antitedesco- per la terza volta in 150 anni la Germania diverrà la principale responsabile del declino dell'Europa, trascinando ancora una volta se stessa nella rovina .
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