La contraddizione dei Liberi Consorzi
La legge regionale che istituisce i Liberi Consorzi dei comuni è pubblicata nella GURS del 28 scorso,nel momento in cui una crisi politica, che si protrae da tempo, investe la Regione sino al punto di suggerirne addirittura il commissariamento. È una palese contraddizione tra un atto di grande rilievo politico-istituzionale e storico, in attuazione dello Statuto, e una richiesta di scioglimento dell’ARS. Per essere chiari, sin dal dls del 15 maggio 1946, firmato dal Luogotenente del Regno d’Italia, cioè ancor prima del Referendum istituzionale del 2 giugno 1946, fu previsto lo scioglimento delle Province, organi dello Stato controllati dai Prefetti. Come tutti sanno lo Statuto siciliano senza alcuna correzione entrò a far parte della Costituzione della Repubblica entrata in vigore l’1 gennaio 1948. Esso servì a recuperare il consenso sociale verso il Separatismo, alimentato dall’aristocrazia terriera e latifondista con i suoi scherani mafiosi e in combutta con lo schieramento conservatore che da lì a poco troverà sponda, favorita dal clima internazionale della guerra fredda, nel moderatismo cattolico e laico. Se l’Autonomia servì a svuotare ogni tentazione separatista, fallì anche l’altro suo grande obiettivo di diventare lo strumento dell’autosviluppo della Sicilia. Infatti, i poteri dell’Autonomia e le risorse finanziarie disponibili, gestite da una classe dirigente miope, finirono per alimentare un sistema di potere che farà da traino a quel complesso groviglio di clientelismo, affari, politica e mafia. Al decentramento parziale dallo Stato alla Regione non seguì quello, previsto dallo Statuto e dalla Costituzione, dalla Regione ai comuni i quali dovranno attendere l’emanazione del Dpr 616 del 1977 in attuazione dell’art.117 della Costituzione che decentrò funzioni dallo Stato a Province, Comuni, Comunità montane. In Sicilia, dei Liberi Consorzi, sollecitati sempre dalla sinistra, se ne riparlò concretamente alla fine degli anni settanta con i governi di solidarietà autonomista, col Pci in maggioranza, ma non al governo, Presidente Piersanti Mattarella. Con la sua uccisione nel 1980 tutto il progetto riformista fu bloccato. Solo nel 1986 con la legge regionale n.9 fu varata la riforma delle province del vecchio ordinamento trasformandole in Province regionali, però non modificabili dai comuni ed elette direttamente dai cittadini.
Ora con la legge reg.n. 8 del 24 marzo 2014, finalmente si istituiscono i Liberi Consorzi e tre Città Metropolitane (Pa, Ct, Me) che sostituiranno le attuali province. Entro sei mesi, il Governo dovrà presentare il ddl di attuazione. Sino allora resteranno i commissari. I comuni che vorranno costituirsi in altri nuovi consorzi dovranno rispettare alcuni paletti: essere in continuità territoriale con almeno 180mila abitanti senza che la rimanente parte sia inferiore a 150mila e che siano ratificati da un referendum tra i cittadini dei rispettivi comuni interessati. Del Libero Consorzio faranno parte solo i sindaci in carica senza alcun compenso aggiuntivo.
Che cosa saranno, dunque, i Liberi Consorzi e le Città Metropolitane?
Enti di secondo grado, composti dai sindaci in carica, che eserciteranno solo funzioni di servizio e di governo di vasta area. Non saranno quindi enti pubblici territoriali con rappresentanza politica generale. Avranno funzioni di coordinamento, di pianificazione e controllo del territorio, dell’ambiente, del trasporto, dello sviluppo economico.
Questo assetto istituzionale presuppone una nuova e forte capacità politica di indirizzo della Regione che dovrà trasferire le funzioni operative ai Comuni, ai Liberi Consorzi e alle Città Metropolitane, trattenendo quelle di programmazione e di controllo.
Dopo sessantotto anni ci saranno i Liberi Consorzi!
Risponderanno allo spirito originario di democrazia decentrata e partecipata alla quale aspiravano i consultori dopo vent’anni di dittatura fascista e dopo ottantaquattro anni dall’Unità d’Italia?
Sicuramente, no.
È mutato il contesto economico, istituzionale , sociale. Oggi, fronteggiamo la più grave crisi del capitalismo finanziario globale uscito dalla seconda guerra mondiale; non c’è più il sistema dei paesi a regime socialista; l’ordinamento istituzionale dell’Ue è sovraordinato a quello degli stati nazionali e delle loro regioni; stiamo pagando le contraddizioni delle politiche di austerità europee e nazionali che hanno sollevato un’ondata antieuropea sapientemente strumentalizzata dalla destra.
Infine, sul piano sociale, le più recenti modifiche elettorali a tutti i livelli hanno generato una personalizzazione della politica e del governo locale, regionale e nazionale; hanno indebolito i partiti e le assemblee elettive – dal comune alla regione e al parlamento-; la parcellizzazione localistica della politica ha accresciuto gli egoismi locali usati dal nuovismo politicista dell’antipolitica.
La risposta riformista deve saper risolvere queste contraddizioni. L’elezione diretta del sindaco e del presidente della Regione ha sicuramente dato più stabilità ai governi locali, ma ha svuotato la funzione delle assemblee elettive. Ha accelerato i processi degenerativi della politica anche quando non sono scaduti nella corruzione, ma solo legati alle pratiche elettorali clientelari. Molto spesso i consigli comunali e regionali sono diventati il rifugio di personale bisognoso solo di qualche emolumento con l’effetto ovvio di svilire ogni pratica elettorale e tutte le assemblee elettive.
Infine, la legge regionale prevede ben tre Città Metropolitane. La loro ampiezza porrà problemi di riequilibrio con i comuni non compresi nell’area metropolitana, bisognerà rafforzare il coordinamento tra i comuni delle due aree confinanti. Inoltre, la legge dovrà chiarire il piccolo dettaglio dell’accesso dei Liberi Consorzi alle risorse finanziarie della Regione e dell’Ue, quale partecipazione sarà loro assicurata nel processo di programmazione dello sviluppo.
Bene il risparmio ottenibile con la gratuità degli incarichi e con l’eliminazione dei consiglieri provinciali eletti, ma ci sono seimila dipendenti da valorizzare e rendere utili e produttivi e 250 società partecipate la cui utilità è tutta da verificare. La realizzazione di questa riforma non è semplice e dipende tutta dalla visione di un nuovo sviluppo, se ci sarà.
Vito Lo Monaco
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