La Commissione antimafia sbarra la strada agli impresentabili

Politica | 27 maggio 2015
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Non serve necessariamente una condanna, tantomeno definitiva. Per diventare «impresentabili» a una qualunque competizione elettorale (dalle europee alle comunali, e persino alle circoscrizionali), basta meno: essere stati rinviati a giudizio oppure, prima ancora di arrivare a un processo, essere stati sottoposti a misure di prevenzione personali o patrimoniali. Il Codice etico varato nel settembre dell'anno scorso dalla Commissione parlamentare antimafia e in base al quale si stanno giudicando le candidature presentate dai partiti e dalle liste civiche alle regionali e comunali di domenica, restringe però questa disciplina soltanto a chi sia accusato di reati di una certa gravità. Come quelli di criminalità organizzata, traffico di stupefacenti,traffico illecito di rifiuti e reati contro la pubblica amministrazione, estorsione, usura e riciclaggio. Ed è fuori, almeno per una tornata elettorale, anche chi ha fatto il sindaco o è stato componente di giunte comunali o di consigli provinciali sciolti per infiltrazione mafiosa. Così come è incandidabile chi ha già ricoperto la carica elettiva ed è stato condannato per danno erariale (anche solo in primo grado) come conseguenza di reati commessi nell'esercizio delle funzioni. Quella votata dall'Antimafia è però nei fatti un' autoregolamentazione che si sono dati partiti e movimenti politici che vi hanno aderito: un impegno a non presentare e nemmeno a sostenere, sia indirettamente sia attraverso il collegamento ad altre liste, candidati che non rispondano ai requisiti indicati dal Codice.E a non designarli neppure nei consigli di amministrazione di enti pubblici, consorzi a aziende speciali. Proprio perchè si tratta di regole di «buona condotta» la loro inosservanza non comporta alcuna sanzione; semmai un giudizio etico e politico sul partito che predica bene e razzola male. Un solo vincolo è stabilito per chi «deraglia» dagli impegni presi: deve spiegare alla collettività perchè lo fa. Su questo la delibera della Commissione presieduta da Rosy Bindi è intransigente: «i partiti devono rendere pubbliche le motivazioni della scelta di discostarsi dagli impegni assunti con l'adesione al presente codice di autoregolamentazione».


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