La commissaria europea Cretu sferza l'Italia sui fondi Ue

Economia | 9 settembre 2016
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Il commissario europeo alle politiche regionali, la romena Corinne Cretu, ha sollecitato l'Italia a insediare immediatamente le autorità di gestione dei programmi europei per rendere possibili le attività di audit (cioè di controllo sulla corretta attuazione dei programmi) e di rendicontazione finanziaria. Si tratta della conferma del ritardo italiano su uno dei pilastri della programmazione europea 2014-2020, il capacity building della pubblica amministrazione, insomma il miglioramento ed il rafforzamento della capacità delle amministrazioni di utilizzare in modo efficiente ed efficace i fondi a loro disposizione.

A tale fine l'accordo di partenariato ha previsto la realizzazione, sotto la responsabilità dell'autorità politica di riferimento, di un piano di rafforzamento amministrativo che prevedesse gli obiettivi e gli strumenti per la riqualificazione e l'adeguamento delle attività pubbliche connesse al l'attuazione nelle regioni della strategia europea. A settembre 2016, a due anni e mezzo abbondanti dal l'avvio del nuovo ciclo, la dichiarazione della Cretu suona come una chiamata alle responsabilità delle amministrazioni che ancora non hanno provveduto alla concreta attuazione del pra. La Sicilia è , tanto per cambiare, in ritardo ma soprattutto l'implementazione e le decisioni politiche sul piano sono state circondate dal silenzio assoluto e non hanno consentito alcuna partecipazione attiva del partenariato istituzionale e tantomeno di quello politico-sociale.

Nessun collegamento, inoltre, c'è stato con i processi di cambiamento nella struttura della amministrazione previsti dalla legislazione regionale ed in particolare dalla legge di stabilità. Perciò, interventi sulle burocrazie regionali - a partire dai pensionamenti- e adeguamento alle necessità poste dalle regole europee hanno proceduto su piani separati con il risultato che la gran parte degli uffici che avrebbero dovuto incardinare e attuare la programmazione, risultano oggi pressoché svuotati e i bandi per le misure contenute nei due Por e nel Psr stanno partendo con significativo ritardo, i. speciale modo quelli del Fesr.

  L'inizio anticipato della campagna elettorale fa temere che, nei prossimi mesi, l'attenzione si possa spostare interamente su temi immediatamente spendibili nell'appuntamento dell'ottobre 2017, mettendo in ombra le strategie di medio periodo che, sole, potrebbero offrir risposte alla complessa situazione dell'economia isolana. La domanda più incisiva della Cretu è , tuttavia, quella relativa ai motivi della mancata crescita delle principali regioni meridionali (vengono citate Calabria, Puglia e Sicilia) nonostante ormai dal lontano 1994 in esse intervenga la spassa europea per lo sviluppo.

 Alla vigilia della firma ad Agrigento del patto per la Sicilia, che destina alla Sicilia, in aggiunta ai tre patti metropolitani di Palermo, Catania e Messina, circa due miliardi e trecento milioni di euro decisi dalla delibera CIPE del 10 agosto scorso sulla suddivisione del fondo sviluppo e coesione e dei programmi complementari della programmazione 2014-2020, la domanda è particolarmente rilevante. Le caratteristiche del Patto si evincono dalla delibera regionale che contiene l'elenco delle opere. Si tratta, con qualche eccezione, di progetti immediatamente cantierabili (almeno nelle intenzioni del governo regionale) in settori caratterizzati da elementi di urgenza, come per esempio la risistemazione idro-geologica del territorio, che dovrebbero partire in tempi assai rapidi per produrre in tempi brevi effetti sull'economia e sul l'occupazione siciliane.

Non risorse aggiuntive, dunque, ma soldi esistenti di cui si accelera la spesa. La programmazione dei fondi europei per lo sviluppo dovrebbe muoversi invece in una strategia di più lungo periodo che implementi e metta a regime le iniziative di carattere strutturale per il futuro dell'isola. Mentre, dunque, bisognerà attivare il massimo della vigilanza e dell'iniziativa per garantire che partano i cantieri dei Patto, appare urgente avviare una riflessione su una nuova è diversa fase che superi i limiti dell'intervento nel Mezzogiorno che hanno caratterizzato i diversi governi che si sono succeduti in questi anni.

  Da questo punto di vista la risposta alla Cretu e' semplice, ma porta con se' problemi assai complessi. Le regioni del Sud non sono cresciute perché è mancata una strategia nazionale per l'uscita dalla crisi e lo sviluppo e il Sud è stato sostanzialmente abbandonato a se stesso, attraverso l'utilizzo dei fondi europei in chiave sostitutiva delle risorse nazionale che venivano meno. Le politiche di rigore dei bilanci e la durata quasi decennale della crisi hanno fatto il resto, portando in prossimità del collasso un'area già debole. i timidi segnali di ripresa, soprattutto nel turismo ed in agricoltura, segnalano che il fondo del barile e' stato probabilmente raggiunto, ma una vera ripresa sarà possibile solo se l'Europa cambierà in profondità le proprie politiche economiche e il governo italiano farà del Sud la leva per far ripartire un modello economico meno iniquo di quello che la grande recessione ha disarticolato.

Corinne Cretu proviene da uno paesi entrati in Europa in anni recenti e che vivono ancora le grandi contraddizioni e i disastri del loro passato. L'Europa, che si trova ad un punto di svolta che può determinarne la fine, deve rilanciare un progetto di solidarietà tra i popoli che la compongono che abbia al centro la coesione economica e sociale e lo sviluppo delle aree più arretrate. Altrimenti essa perira' nello scontro tra i poveri e i più poveri che in queste settimane fa emergere, come punta dell'iceberg, la questione dell'accoglienza dei migranti.

 Non sono diverse da questo punto di vista, gentile signora Cretu, le motivazioni della mancata crescita delle regioni del Sud d'Italia da quelle che stanno angustiando la Romania e gli altri paesi dell ex Est europeo.

 di Franco Garufi

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