La colata di cemento che affossa l'Italia

Economia | 9 maggio 2015
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I tratti naturalistici italiani si deturpano sempre più e assumono nuove connotazioni. Quasi un quinto della fascia costiera, una superficie di oltre 500 km quadrati, equivalente all'intera costa della Sardegna, è stato cancellato dal cemento- che ingoia 55 ettari di Penisola al giorno- e ha spazzato via anche 34mila ettari di aree protette, insieme al 9% delle zone a pericolosità idraulica e al 5% delle rive di fiumi e laghi. In barba ai crescenti allarmi sul rischio idrogeologico.

E’ questa la fotografia scattata dall'ultimo rapporto sul consumo del suolo stilato dall'Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, secondo cui solo nel 2014 l'Italia ha perso 21mila km quadrati di terreno a favore della cementificazione. A rubare la terra, soprattutto all'agricoltura, sono in primis le strade, che rappresentano il 40% della superficie consumata, seguite dagli edifici con circa il 30%. Il resto va in piazzali, parcheggi, cortili e campi sportivi, discariche, cantieri, porti e aeroporti.

Le conseguenze, evidenzia l'Ispra nel rapporto presentato a Milano durante un convegno collaterale a Expo, sono anche sulle emissioni: in 5 anni, a causa della cementificazione, sono state emesse 5 milioni di tonnellate di carbonio, un rilascio pari allo 0,22% dell'intero stock immagazzinato nel suolo e nella biomassa vegetale. Senza considerare gli effetti della dispersione insediativa, che provoca un ulteriore aumento delle emissioni sotto forma di CO2 dovuto all’inevitabile dipendenza dai mezzi di trasporto. Le nuove stime dell’Ispra confermano la perdita prevalente di aree agricole coltivate (60%), urbane (22%) e di terre naturali vegetali e non (19%).

Anche alcuni tra i terreni considerati “i più produttivi al mondo” vengono cementificati, come la Pianura Padana dove il consumo è salito al 12%. Ciò non può che generare conseguenze negative. In un anno oltre 100mila persone hanno perso la possibilità di alimentarsi con prodotti italiani di qualità. Dal nuovo rapporto annuale tra le principali cause di degrado del suolo ci sono le strade. Fino al 2013 il valore pro-capite ha segnato un progressivo aumento, passando dai 167 metri quadri del 1950 per ogni italiano a quasi 350 metri quadri nel 2013. Le stime del 2014 mostrano invece una lieve diminuzione, dovuta principalmente alla crescita demografica, arrivando a un valore pro-capite di 345 metri quadri. Le strade nel 2013 rappresentano circa il 40% del totale del territorio consumato (22,9% in aree agricole, 10,6% urbane, 6,5% in aree ad alta valenza ambientale).

L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale ha anche effettuato una prima stima della variazione dello stock di carbonio dovuta al consumo di suolo. In cinque anni (2008-2013) sono state emesse 5 milioni di tonnellate di carbonio, lo 0,22% dell’intero stock immagazzinato nel suolo e nella biomassa vegetale nel 2008. Nella classifica delle regioni più “asfaltate” si confermano al primo posto Lombardia e Veneto, mentre tra le zone a rischio idraulico a detenere il primato è l'Emilia Romagna con oltre 100mila ettari. Appartiene alla Liguria invece il valore più alto della copertura di territorio entro i 300 metri dalla costa (40%), della percentuale di suolo consumato entro i 150 metri dai corpi idrici e quella delle aree a pericolosità idraulica ormai impermeabilizzate (il 30%). Le periferie e le aree a bassa densità sono responsabili della crescita più veloce del consumo.

E ci sono province, come Catanzaro, dove oltre il 90% del tessuto urbano è a bassa densità. Le città continuano inoltre a espandersi disordinatamente, incrementando sempre di più il rischio idrogeologico. Monza e Brianza sono ai vertici delle province più cementificate con il 35%, mentre i comuni delle province di Napoli, Caserta, Milano e Torino oltrepassano il 50%, raggiungendo anche il 60%. Il Sud “recupera” a livello comunale. Nove dei 10 paesi più “consumati” sono in provincia di Napoli: il record assoluto, con l’85% di suolo sigillato, va al piccolo comune di Casavatore. “I dati Ispra - ha detto il ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti- raccontano un'Italia che esaurisce in maniera sempre più preoccupante le sue risorse vitali, mettendo a rischio tante aree del Paese e dunque anche i cittadini”.

Il ministro ha spiegato come il disegno di legge in discussione in Parlamento sia una risposta forte e innovativa a tale problema e pertanto va approvato subito. Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente della Camera ha ribadito la necessità di “promuovere la rigenerazione urbana”, mentre Erasmo D'Angelis, coordinatore della struttura di missione di Palazzo Chigi #italiasicura si è pronunciato sul dissesto idrogeologico. “E’ impensabile-ha detto- da un lato investire 9 miliardi di euro in 6 anni per ridurre il rischio idrogeologico, e dall'altro assistere a cementificazioni in zone a pericolosità idraulica o di frana”.

Nel rapporto si tirano in ballo anche le aree protette, dove il consumo di suolo – scrive l'Ispra - ammonta a 34mila ettari. Un dato che implicitamente potrebbe indurre a credere che parchi e riserve non stiano svolgendo bene il loro compito di presidio e salvaguardia del territorio. Andando a vedere i dati si scopre tuttavia che nelle aree protette si riscontra solo l'1,06% di suolo impermeabilizzato (a fronte di una superficie complessiva di 3,2 milioni di ettari), contro una media nazionale del 7% e del 20% sulla costa. Federparchi ci tiene a dettagliare questo passaggio, per evitare il rischio che venga travisato il ruolo dei parchi sul fronte della tutela del territorio.

“L'aver abbassato la percentuale di suolo consumato all'interno di aree protette – spiega il presidente Giampiero Sammuri - rappresenta infatti uno dei risultati più importanti conseguiti dai parchi negli ultimi anni”.

 di Melania Federico

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