La chimera del posto fisso e l'arte di trovare lavoro comunque

Giovani | 22 gennaio 2019
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E’ noto il problema della disoccupazione oggi divenuto consistente e grave anche per coloro che non sono più giovani e non sono residenti nel sud . Per tentare di risolverlo, tutti , politici, sindacalisti, cittadini comuni confidano nell’auspicata ripresa economica che non solo stenta a realizzarsi in Italia, come dimostrano le ultime rilevazioni del prodotto interno lordo (pil), ma anche in Europa segna battute di arresto .

La speranza è che nascendo nuove attività possano aumentare le occasioni di lavoro ma la persistente scarsa produttività del nostro sistema, il peso del nostro enorme debito pubblico, la crisi economica connessa ai prodotti subprime dalla quale non ci siamo del tutto liberati, certi effetti della globalizzazione economica, il riemergere della politica dei dazi, il calo degli investimenti pubblici, la rimozione della “questione meridionale”, le stesse incertezze sulla sorte dell’Ue, sono tutti elementi che rendono problematica tale prospettiva specialmente nelle regioni del sud dove, oltre i problemi generali che impediscono la ripresa economica, si registrano ritardi storici sul piano dell’amministrazione del territorio, ritardi che non hanno favorito e non favoriscono lo sviluppo delle attività produttive.

Le difficoltà sono tali, e durano da cosi tanto tempo, da indurre molti osservatori a ritenere che il tradizionale percorso dei giovani studio/lavoro/matrimonio/figli/carriera/pensione non è più sicuro e che quindi bisogna prepararsi ad uno schema diverso in cui ci sarà molto meno lavoro dipendente e più lavoro autonomo .

Ma avere successo con il lavoro autonomo non è facile: il rischio è una perdita patrimoniale più o meno elevata ed una frustrazione personale più o meno grande come conseguenza di un’attività professionale o un’attività d’impresa in perdita. Perciò nell’interesse dei giovani è necessario fare qualcosa partendo dall’idea che il successo dipende da fattori soggettivi, in gran parte connessi alla personalità di colui che realizza l’iniziativa professionale o imprenditoriale, e da fattori oggettivi, in gran parte dipendenti dal contesto territoriale, dal luogo in cui essa si svolge.

Per i fattori soggettivi può fare molto la scuola, prima di tutto può anticipare ai giovani ed alle famiglie la probabile nuova realtà del lavoro e la conseguente necessità di attrezzarsi per l’eventualità di un lavoro autonomo, non escludendo l’attività d’impresa. E’ un compito che potrebbe svolgere nel quadro dell’orientamento prima della conclusione degli studi secondari o anche della scuola dell’obbligo specialmente nelle scuole ad indirizzo tecnico e/o professionale. Poi, previa riforma degli obiettivi, dei contenuti e dei metodi d’insegnamento, può impegnarsi per fare acquisire ai giovani, oltre le conoscenze e le sensibilità tradizionalmente perseguite, abilità come l’intraprendenza, la creatività, la capacità organizzativa , la razionalità nell’uso delle risorse , il pensiero autonomo, qualità che notoriamente favoriscono il successo delle attività economiche oltre ad essere utili nello svolgimento della vita concreta.

Per i fattori oggettivi molto possono fare le amministrazioni pubbliche, e principalmente lo Stato, prima di tutto attraverso il meccanismo degli incentivi e dei disincentivi e poi operando le riforme di cui si parla da sempre :scuola, università, sicurezza, pubblica amministrazione , giustizia,

formazione professionale, insomma tutto ciò che ostacola lo sviluppo, gli investimenti, l’occupazione, tutto ciò che rende poco attraenti i nostri territori per la nascita e lo sviluppo delle attività produttive . Una mano in questo processo può anche essere data dalle istituzioni private (banche , assicurazioni, fondazioni ecc.), oltre che dalle università e dalle organizzazioni sindacali, che possono contribuire a completare la gamma dei servizi ai cittadini ed alle imprese.

Certo sia per la scuola che per le amministrazioni pubbliche il compito come sopra delineato non è facile ma se si vuole fare realmente qualcosa per i giovani, altrimenti condannati alla disoccupazione, è necessario affrontare le difficoltà : i giovani in questo difficile momento non possono essere lasciati soli.

In particolare si tratta per la scuola, oltre di dare le informazioni di cui si è detto, di cambiare soprattutto i metodi d’insegnamento, di ridurre lo spazio delle “lezioni frontali” e fare posto alle “testimonianze”, a tecniche didattiche, come “l’apprendere facendo” ed il “ problem solving”, più adatte a far percepire la complessità ed il dinamismo delle situazioni non solo d’impresa, a far comprendere il travaglio ed il rischio delle decisioni, a far cogliere l’importanza delle informazioni e dell’innovazione per la soluzione dei problemi.

Per le amministrazioni pubbliche si tratta di riorganizzare la macchina organizzativa, di accrescere l’efficienza dei servizi, di aumentare l’efficacia dell’azione amministrativa, di rendere più economica l’intera amministrazione, di aumentare la produttività del sistema pubblico oggi scarsa.

All’interno del Governo non pare che ci siano queste consapevolezze o almeno questi propositi: gli investimenti sulla scuola e sull’università sono stati ridotti, le scuole vanno avanti stancamente, senza riorganizzazioni, senza innovazioni, le amministrazioni pubbliche sono ferme afflitte da problemi finanziari. L’unica novità di rilievo, a parte la piccola modifica della seconda prova degli esami di Stato, è la riduzione nel triennio delle scuole superiori dei periodi di alternanza scuola-lavoro, la riforma che poteva costituire la base per quella revisione dei metodi di cui si è detto sopra.

Per eliminare o almeno ridurre la disoccupazione, il nostro grande problema storico, il Governo punta molto sul “reddito di cittadinanza” che a date condizioni dovrebbe essere concesso per 18 mesi rinnovabile e cessare con l’avvenuta assunzione. Nel ragionamento del Governo questa è data per probabile ma non tutto è chiaro. Non si capisce, ad esempio, come, di colpo, dopo tanti anni di disoccupazione inutilmente combattuta specialmente al sud, dovrebbero liberarsi tanti posti di lavoro, ciò anche in considerazione del fatto che sono relativamente pochi gli investimenti previsti nella manovra economica recentemente approvata e che in base alle leggi vigenti lo spazio per le assunzioni a tempo determinato si è ridotto.

Il Governo dirà che si libereranno i posti di chi andrà in pensione con la quota 100 ma le sue previsioni appaiono mal fondate sia perché molti che dicono di volere utilizzare tale possibilità si fermeranno quando conosceranno ciò che perderebbero per il minore versamento di contributi, sia perché dati i tempi le aziende prima di sostituire chi va in pensione ci penseranno non una volta ma due o tre volte.

 di Diego Lana

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