La casa di Shara Band Ong, una storia che inizia come finisce

Cultura | 14 febbraio 2021
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 Questa è una storia che inizia come finisce. Lo scenario naturale è una città del Mediterraneo. Un racconto narrato con gli occhi di una bambina che nasce sotto le stelle di una notte di San Lorenzo, come era già accaduto per il bisnonno. All’età di dieci giorni, celata dentro i ricami a punto pieno di un port-enfant, solca il Mediterraneo a bordo di un piroscafo. L’attracco è quello di Tripoli. La stessa città che una bambina abbandonerà, definitivamente, all’età di dieci anni.

È in libreria il nuovo romanzo di Mariza D’Anna, “La casa di Shara Band Ong” (Màrgana Edizioni, pag. 384, €16,00). Un libro che contiene un altro libro. Dopo il successo de “Il ricordo che se ne ha”, la giornalista siciliana torna in libreria con un romanzo-memoria che è la sua ideale prosecuzione. Quasi a voler colmare una mancanza. È la storia della sua famiglia in Libia. Un’avventura iniziata nel 1928 dal bisnonno Francesco, proprietario di una grande azienda agricola.

Come ogni memoria, tutto ha inizio da un dettaglio evocativo. Quello contenuto all’interno di grandi raccoglitori in pelle bordeaux, gravidi di immagini fotografiche in bianco e nero. I raccoglitori tutti uguali hanno una copertina rigida, ricamata ai lati, al centro troneggia un’immagine incorniciata, nell’ordine: una veduta di Tripoli, un panorama del deserto, un vicolo del suk e un cammello placido e indolente. Dopo trenta anni di oblio, una scrittura agile e accattivante, tratteggia atmosfere sospese. Come in una pagina di Paul Blowes o in un fotogramma di Bernardo Bertolucci. É un continuo affastellarsi, di scene di bambini libici scalzi che inseguono calessi, la promenade sul lungomare di Tripoli affollata da signori in lino bianco, libici intabarrati da barracani in seta, i tetti bianchi, la cupola d’oro del palazzo reale, afrori di spezie nei suk, effluvi di tabacco esalati da sciscia e narghilè, tanfi di concerie, turbanti, orafi, argentieri, tessitori, un gelataio greco, Grand Hotel maltesi. Un’atmosfera sospesa e sognate, mutilata da un colpo di Stato, nel settembre 1969: operazione Gerusalemme. Un colonnello di ventisei anni, Mu'ammar Gheddafi, mette fine a una storia opaca, quella dell’invasione coloniale in Libia, la Quarta sponda dell’impero mussoliniano, gli eccidi con l’iprite e i campi di concentramento nel deserto. Sevizie, confinamenti, repressioni, impiccagioni. La grande bugia, l’inganno degli italiani brava gente. Il finale di partita, altrettanto tragico, è la concitazione di ventimila italiani costretti alla fuga: la frenetica vendita dei gioielli di famiglia, l’odio dei libici covato per anni. Italiani stranieri in Libia che si ritrovano stranieri in patria. La famiglia di Tea trova un primo rifugio a Roma. Sfollati in un albergo che, come ogni bizzarria della vita, sorge proprio in via Sicilia, a due passi da via Veneto. Ma l’approdo finale sarà in un’altra città di mare, Genova. La piccola protagonista si ritrova a esplorare i carrugi genovesi con lo stesso rapimento dei vicoli del suk di Tripoli.

Una ferita mai sanata, per i libici e per gli italiani. È questo il merito del libro di Mariza D’Anna, riaprire il dibattito su una pagina scomoda e volutamente dimenticata della storia italiana. Il libro reca una splendida prefazione di Guido Barbieri, critico che ha curato la trasposizione teatrale della storia prodotto dal teatro stabile di Genova. Mariza D’anna, redattore del quotidiano “La Sicilia”, da anni lavora a questo retablo famigliare. Le pagine di questi due libri formano una sorta di dittico. Pagine che restituiscono giornate di vento, olezzo di alghe spiaggiate. Profumi che si insinuano nei labirinti urbani, tra i loggiati di palazzi e conventi. A far da quinta teatrale, scenografia naturale, sono città mediterranee, da Gibilterra a Tripoli, da Cadice a Genova, da Malta a Trapani. Come in ogni recherche, un profumo su tutti, un afrore dolciastro, quello dei sensemya, dolci di sesamo con noci e miele, celati furtivamente in un fazzoletto.

 di Concetto Prestifilippo

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