L’ombra della P2 di Gelli su riforme e “democrazia illiberale” / 2
Leggerlo nel 1982 ci aveva impressionato. Rileggerlo nel 2024 con tanta acqua passata sotto i ponti e con un mondo mille volte cambiato non ci ha scomposto più di tanto. Propone modifiche da massimi sistemi accanto a interventi marginali, in qualche caso curiosi, decontestualizzati, persino risibili. La nostra indagine è stata finalizzata a tirare fuori tutti i contenuti che potrebbero avere un “richiamo” tematico, un link, o una applicazione normativa nelle attuali avversatissime riforme meloniane. In pratica un continuo confronto tra le proposte lanciate nel documento e ciò che accade (o si vorrebbe accadesse) in questi anni. È chiaro dunque che si analizzerà solo un segmento – importante ma parziale – del “Piano”: quello di un possibile terreno di confronto tra i “desiderata” piduisti e le riforme in itinere.
In “Premessa” il “Piano” avverte: “Va anche rilevato, per chiarezza, che i programmi a medio e lungo termine prevedono alcuni ritocchi alla Costituzione successivi al restauro delle istituzioni fondamentali”.
Tra gli “Obiettivi” nel punto 1 meritano di esserne riportati due:
- “la magistratura, che deve essere ricondotta alla funzione di garante della corretta e scrupolosa applicazione delle leggi;
- il Parlamento, la cui efficienza è subordinata al successo dell’operazione sui partiti politici, la stampa e i sindacati.
Nel punto 2 degli “Obiettivi” leggiamo: “Partiti politici, stampa e sindacati costituiscono oggetto di sollecitazioni possibili sul piano della manovra di tipo economico finanziario”.
Il terzo e ultimo punto degli “Obiettivi” richiede di essere riportato integralmente: “Primario obiettivo e indispensabile presupposto dell’operazione è la costituzione di un club (di natura rotariana per l’eterogeneità dei componenti) ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori, imprenditoriali e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati, nonché pochissimi e selezionati uomini politici, che non superi il numero di 30 o 40 unità. Gli uomini che ne fanno parte debbono essere omogenei per modo di sentire, disinteresse, onestà e rigore morale, tali cioè da costituire un vero e proprio comitato di garanti rispetto ai politici che si assumeranno l’onere dell’attuazione del piano e nei confronti delle forze amiche nazionali e straniere che lo vorranno appoggiare. Importante è stabilire subito un collegamento valido con la massoneria internazionale”.
Dal capitolo “Procedimenti” riportiamo due passaggi. Il primo: “Dissolvere la Rai-Tv in nome della libertà di antenna ex art. 21 della Costituzione”. Il secondo: “Per la Magistratura è da rilevare che esiste già una forza interna (la corrente di Magistratura indipendente della Associazione Nazionale Magistrati) che raggruppa oltre il 40% dei magistrati italiani su posizioni moderate. È sufficiente stabilire un accordo sul piano morale e programmatico ed elaborare una intesa diretta a concreti aiuti materiali per poter contare su un prezioso strumento, già operativo nell’interno del corpo anche al fine di taluni rapidi aggiustamenti legislativi che riconducano la giustizia alla sua tradizionale funzione di elementi di equilibrio della società e non già di eversione”.
La tv pubblica non pare essere particolarmente caldeggiata o amata da Gelli e soci (del resto ricordiamo che Berlusconi, imprenditore principe dell’emittenza privata italiana, era iscritto alla P2, tessera n. 625). Al contrario del governo in carica che ne ha talmente preso il controllo da trasformarla in quella che giornalisticamente viene definita “TeleMeloni”. Quanto al punto sulla Magistratura, si tratta di uno dei paragrafi del documento più inquietanti e farneticanti, nel quale si accusa addirittura il terzo potere dello Stato di “eversione”.
Veniamo adesso alle elucubrazioni che riguardano da vicino la nostra chiave di lettura contenute nel capitolo “Programmi”: “Per programmi si intende la scelta, in scala di priorità, delle numerose operazioni in forma di:
° azioni di comportamento politico ed economico;
° atti amministrativi (di Governo);
° atti legislativi; necessari a ribaltare […] l’attuale tendenza [al] disfacimento delle istituzioni e, con essa, alla disottemperanza della Costituzione i cui organi non funzionano più secondo gli schemi originali. Si tratta, in sostanza, di “registrare” – come nella stampa in tricromia – le funzioni di ciascuna istituzione e di ogni organo relativo in modo che i rispettivi confini siano esattamente delimitati e scompaiano le attuali aree di sovrapposizione da cui derivano confusione e indebolimento dello Stato”. E si precisa che “Detti programmi possono essere esecutivi – occorrendo – con normativa d’urgenza (decreti legge)”.
A proposito dell’Ordinamento giudiziario, “le modifiche più urgenti investono:
° la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati;
° il divieto di nomina[re] sulla stampa i magistrati comunque investiti di procedimenti giudiziari;
° la normativa per l’accesso in carriera (esami psicoattitudinali preliminari);
° la modifica delle norme in tema di facoltà libertà provvisoria in presenza dei reati di eversione – anche tentata – nei confronti dello Stato e della Costituzione, nonché di violazione delle norme sull’ordine pubblico, di rapina a mano armata, di sequestro di persona e di violenza in generale”.
Alla voce “Ordinamento del Parlamento” si prevede tra l’altro la “ripartizione di fatto, di competenze fra le due Camere (funzione politica alla Camera dei Deputati e funzione economica al Senato della Repubblica)”.
Nello stesso capitolo tra i “Provvedimenti economico-sociali” ne segnaliamo quattro. Singolari e quanto mai opinabili:
“b1) abolizione della validità legale dei titoli di studio (per sfollare le università e dare il tempo di elaborare una seria riforma della scuola che attui i precetti della Costituzione);
b2) adozione di un orario unico nazionale di 7 ore e 30′ effettive (dalle 8,30 alle 17) salvi i turni necessari per gli impianti a ritmo di 24 ore, obbligatorio per tutte le attività pubbliche e private;
b3) eliminazione delle festività infrasettimanali e dei relativi ponti (salvo 2 giugno – Natale – Capodanno e Ferragosto) da riconcedere in un forfait di 7 giorni aggiuntivi alle ferie annuali di diritto;
b4) obbligo di attuare in ogni azienda ed organo di Stato i turni di festività – anche per sorteggio – in tutti i periodi dell’anno, sia per annualizzare l’attività dell’industria turistica, sia per evitare la “sindrome estiva” che blocca le attività produttive”.
Per l’attuazione dei “Programmi” – si legge nel documento – “pregiudiziale è che oggi ogni attività secondo quanto sub a) e b) trovi protagonista e gestore un Governo deciso ad essere non già autoritario bensì soltanto autorevole e deciso a fare rispettare le leggi esistenti. Così è evidente che le forze dell’ordine possono essere mobilitate per ripulire il paese dai teppisti ordinari e pseudo politici e dalle relative centrali direttive soltanto alla condizione che la Magistratura li processi e condanni rapidamente inviandoli in carceri ove scontino la pena senza fomentare nuove rivolte o condurre una vita comoda. Sotto tale profilo, sembra necessario che alle forze di P.S. sia restituita la facoltà di interrogatorio d’urgenza degli arrestati in presenza dei reati di eversione e tentata eversione dell’ordinamento, nonché di violenza e resistenza alle forze dell’ordine, di violazione della legge sull’ordine pubblico, di sequestro di persona, di rapina a mano armata e di violenza in generale.
Il cuore del “Piano di rinascita democratica”
La ciccia del “Piano” della P2 è tutta nei “Programmi” a breve termine e a medio e lungo termine. Di premierato e autonomia regionale differenziata all’epoca non si parlava. È anche vero che una lettura attenta del punto I dell’ “Ordinamento del Governo” presenta qualche parziale vicinanza ad alcuni tratti del premierato.
Se è così per la “madre di tutte le riforme” del governo Meloni, quella istituzionale, ben più marcata è la connessione quando si affrontano i temi della giustizia e della magistratura. L’attenzione per la magistratura nel documento Gelli c’è tutta. Accurata e particolareggiata. E non mancano inquietanti analogie con le riforme del ministro Carlo Nordio – a cominciare dall’idea dei test psico-attitudinali per i magistrati – e prima ancora della ex ministra Marta Cartabia. Come dire: ancora tanta attualità ad oltre quattro decenni dal ritrovamento del documento.
Col senno di poi diventa facile pontificare. Prendiamo il tema, presente nel “Piano”, della soppressione delle Province. Si è rivelata ad esempio in Sicilia un disastro sul piano funzionale, operativo, manutentivo. Delle Regioni si auspica nel “Piano” la riduzione del numero piuttosto che l’introduzione di un rango da mini-stato federale con massiccia autonomia esclusiva in molte materie. Tutte prerogative che renderebbero i presidenti delle Regioni “differenziate” satrapi con poteri enormi nelle mani. Da non crederci ma, almeno in questo, Gelli è persino più saggio e meno stato-sfascista di Matteo Salvini e di tutti coloro che hanno votato la sua riforma sull’autonomia differenziata meglio nota come “SpaccaItalia”.
Le ultime righe della nostra disamina testuale sono dedicate ad un altro settore… sensibile del “Piano”, la stampa. Due, in particolare, i passaggi che nel documento Gelli danno il senso del fastidio che la stampa – “cane da guardia del potere”, come la si definisce nella tradizione anglosassone – comporta in certi ambienti e in certe stanze. Ieri come oggi. Il primo: “b3) nuova legislazione sulla stampa in senso protettivo della dignità del cittadino (sul modello inglese) e stabilendo l’obbligo di pubblicare ogni anno i bilanci nonché le retribuzioni dei giornalisti”. La seconda sottolineatura: “c) Stampa – Abolire tutte le provvidenze agevolative dirette a sanare bilanci deficitari con onere del pubblico erario ed abolire il monopolio Rai-Tv”.
Le riforme del governo Meloni allarmano Bruxelles
Manco a farlo apposta, mentre in Italia si discute animatamente sull’impronta gelliana (o piuttosto una sua lontana e da dimostrare paternità) che sembra pervadere diverse riforme del governo Meloni giunge come un pesante carico da undici a fine luglio il “Rapporto della Commissione europea sull’Italia”. Roba attualissima, non possibili epigoni di un documento di logge segrete della massoneria di 43 anni fa. Di che si tratta?
“Sei raccomandazioni nuove di zecca – scrive Michele Esposito (Ansa, 24 luglio 2024) – un fronte della libertà dei media definito "urgente", i dubbi sulla riforma del premierato e il perdurare di croniche criticità nel campo della giustizia: l'edizione 2024 del Rapporto sullo stato di diritto della Commissione non sorride certo all'Italia.
Nelle 46 pagine del 'Country Report' dedicate all’Italia, Bruxelles fotografa uno status quo con più ombre che luci, ponendo l'accento "sulle diverse sfide che i giornalisti italiani devono affrontare nell'esercizio della loro professione" e sulla "garanzia di indipendenza e di finanziamenti adeguati" che devono caratterizzare il servizio pubblico”.
Nel dettaglio ecco le riserve manifestate dalla Commissione europea. Ancora dall’Ansa: “L’esecutivo Ue raccomanda all'Italia di impegnarsi nella digitalizzazione di tribunali penali e procure, adottare la proposta legislativa in sospeso sui conflitti di interesse e istituire un registro operativo per le lobby, regolamentare le informazioni su finanziamenti a partiti e campagne elettorali, tutelare i giornalisti e garantire l'indipedenza dei media, creare un'istituzione nazionale per i diritti umani in linea con i principi Onu. Ad allarmare particolarmente Palazzo Berlaymont c'è la situazione dei media. Il governo, recita il report, è chiamato a uniformarsi alla direttiva anti-Slapp, ovvero a proteggere i giornalisti dalle cosiddette querele temerarie. Si tratta, assieme al Media Freedom Act, di una delle due misure cardine della Commissione uscente per la libertà di stampa. Ma non è finita qui.
Preoccupano anche "casi di aggressioni fisiche, minacce di morte e altre forme di intimidazione" (l'Ue ne conta 75 nei primi sei mesi del 2024) ai danni dei giornalisti e la decisione di ridurre il canone Rai nell'ultima manovra. Il quadro, insomma, è fosco. E, se comparato con le parole del presidente Sergio Mattarella alla cerimonia del Ventaglio, appare anche di grande attualità. L'analisi dell'Ue sull'Italia si sviluppa su quattro capitoli. In uno di questi, la Commissione esprime più di una riserva sulla riforma del premierato.
Con questa riforma non sarebbe possibile per il presidente della Repubblica trovare una maggioranza alternativa e/o nominare una persona esterna al Parlamento come primo ministro", viene spiegato nel report che registra "le preoccupazioni" degli stakeholders per il sistema di pesi e contrappesi istituzionali. Allo stesso modo, anche lo stop all'abuso di ufficio approvato in via definita nei giorni scorsi non rasserena Bruxelles. La misura "limita la portata del reato di traffico d'influenza e potrebbe avere implicazioni per l'investigazione di frodi e corruzione", è il richiamo dell'Ue. Non meno severa è la fotografia dello stato di salute del dibattito pubblico in Italia
"Attacchi verbali e violenze riducono lo spazio civico", sottolinea il report, secondo il quale ad essere nel mirino sono manifestanti e operatori delle organizzazioni umanitarie”.
A stretto giro arriva replica di Palazzo Chigi. Ancora dall’Ansa: "In merito al Rapporto 2024 sullo stato di diritto nell'Unione europea pubblicato oggi dalla Commissione europea, si ricorda che si tratta di un esercizio periodico che viene condotto ogni anno e che non riguarda solo l'Italia ma tutti e Ventisette gli Stati membri, per ciascuno dei quali viene redatto uno specifico "capitolo-Paese". Lo ricordano fonti di governo, sottolineando che "si tratta di un'attività che la Commissione europea svolge in costante dialogo con i Governi degli Stati membri" e che "il Governo italiano sostiene ed incoraggia questo esercizio annuale che costituisce un utile strumento per monitorare il rispetto dei principi dello stato di diritto all'interno dell'Unione europea".
"Come negli anni precedenti, anche per il 2024 il Governo italiano ha attivamente collaborato alla stesura del rapporto e ha più volte interloquito con la Commissione affinché il documento fosse il più completo ed accurato possibile", spiegano ancora le stesse fonti di governo.
"Per quanto riguarda l'Italia in particolare, il rapporto contiene ampi riconoscimenti sull'efficacia del nostro sistema giudiziario, sui progressi ottenuti in termini di lotta alla corruzione e sul rispetto del pluralismo e della libertà dei mezzi d'informazione. In merito agli accenti critici contenuti nel documento, per molti di essi si tratta di osservazioni già note poiché contenute nei rapporti degli anni precedenti. A questo proposito si ricorda che cinque delle sei raccomandazioni contenute nel Rapporto 2024 sono esattamente identiche a quelle contenute nei Rapporti 2022 e 2023. (…)”.
A questa replica a caldo fa seguito una stizzita risposta da Pechino, dove era in visita ufficiale, di Giorgia Meloni il 28 luglio. Nella quale si osserva che vi è “un distorto uso politico nella relazione sullo stato di diritto dell’Unione europea che viene pubblicata ogni anno dal 2020”.
“Cara Ursula – scrive la premier – le raccomandazioni finali nei confronti dell’Italia non si discostano particolarmente da quelle degli anni precedenti” ma “per la prima volta” c’è un “tentativo di attacco al governo italiano” [quando si afferma] che “in Italia sono a rischio lo stato di diritto” e “la libertà di informazione”, specie in Rai”.
Ad alimentare il consueto vittimismo da autodichiarata “underdog” della Presidente del Consiglio non possono che essere i partiti dell’opposizione che non fanno il bene dell’Italia e certa stampa nazionale sulla stessa linea. Solito copione. Niente di nuovo sotto il sole.
“Piano di rinascita democratica” e polemiche sulla strage di Bologna
Non è finita. Il 2 agosto, 44° anniversario della strage fascista alla stazione di Bologna, è l’occasione per un duro scambio di dichiarazioni tra Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione che raggruppa i familiari degli 85 morti e 200 feriti, e la presidente del Consiglio. Dal palco Bolognesi chiama più volte in causa Meloni e il suo esecutivo. Uno dei temi, non l’unico, è il mancato riconoscimento della matrice fascista dell’attentato.
Dichiara Bolognesi: “Il nostro manifesto quest’anno è molto sintetico: ‘Conosciamo la verità e abbiamo le prove’. Non abbiamo esagerato. Gli ultimi due processi, il processo d’appello su Cavallini e il processo d’appello sui mandanti, hanno a questo punto certificato che la strage è stata organizzata e finanziata dai vertici della loggia massonica P2, che è stata protetta dal punto di vista organizzativo e organizzata in maniera molto attenta da parte dei nostri servizi segreti, i servizi segreti italiani, in gran parte iscritti alla loggia massonica P2, ed eseguita da terroristi fascisti”. Questa è la verità del retro, di tutto quello che ci stava dietro la strage. Questa diventa probabilmente la lettura della strategia della tensione. Credo che questo sia un passo eccezionale per potere conoscere fino in fondo la storia criminale e politica del nostro paese.
Lascia sgomento nel momento in cui vedi che, dopo la strage del 1980, abbiamo avuto un presidente del Consiglio che era membro della loggia massonica P2 e che addirittura a questo membro della P2 hanno intitolato un aeroporto.
Dopo 44 anni dalla strage di Bologna portano avanti leggi che sono punti focali del “Piano di rinascita democratica” che voleva la loggia massonica P2. Chi è al governo non ha compreso bene le verità processuali che stanno venendo fuori. Credo che questa sia una lacuna notevole per la nostra democrazia" (“Strage Bologna, Bolognesi: fu finanziata dai vertici della P2”, Askanews 2 agosto 2024).
E il presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della strage così conclude: “Noi vogliamo dire una cosa forte e chiara: il tentativo di riscrivere la storia repubblicana cancellando le responsabilità del mondo neofascista nello stragismo non passerà, troverà la nostra ferma opposizione”. (Andreina Baccaro – Silvia Maria Dubois “Strage di Bologna, la commemorazione del 2 agosto 1980”. Corriere della Sera (Edizione di Bologna”, 2 agosto 2024)
Comunicato a muso duro della Presidenza del Consiglio: “La strage di Bologna è uno degli eventi più drammatici della storia nazionale. Il 2 agosto del 1980 il terrorismo, che le sentenze attribuiscono a esponenti di organizzazioni neofasciste, ha colpito con tutta la sua ferocia la Nazione e 44 anni dopo quel terribile attentato l'Italia intera si stringe ancora una volta alla città di Bologna e ai famigliari delle vittime.
“Ci uniamo al loro dolore e alla loro richiesta di giustizia. A loro va, inoltre, il ringraziamento per la tenacia e la determinazione che hanno messo al servizio della ricerca della verità. Arrivare alla verità sulle stragi che hanno insanguinato l’Italia nel Dopoguerra passa anche dal lavoro che questo Governo, insieme a tutte le Amministrazioni dello Stato e nel solco dei Governi precedenti, sta portando avanti con il versamento degli atti declassificati all’Archivio centrale dello Stato.
“Allo stesso tempo, sono profondamente e personalmente colpita dagli attacchi ingiustificati e fuori misura che sono stati rivolti, in questa giornata di commemorazione, alla sottoscritta e al Governo. Sostenere che le "radici di quell'attentato oggi figurano a pieno titolo nella destra di governo", o che la riforma della giustizia varata da questo governo sia ispirata dai progetti della loggia massonica P2, è molto grave. Ed è pericoloso, anche per l'incolumità personale di chi, democraticamente eletto dai cittadini, cerca solo di fare del suo meglio per il bene di questa Nazione”. (Presidenza del Consiglio “Dichiarazione del Presidente Meloni in occasione del 44° anniversario della strage di Bologna”. www.governo.it, 2 agosto 2024).
Notato il sottile distinguo contenuto nella dichiarazione diramata da Palazzo Chigi? Il terrorismo che ha colpito i 2 agosto 1980 nel capoluogo emiliano non è, senza se e senza ma, terrorismo neofascista ma “terrorismo, che le sentenze attribuiscono a esponenti di organizzazioni neofasciste”. Quasi che siano le sentenze a prendersi la responsabilità di queste conclusioni e non la realtà dei fatti.
Come controreplica Bolognesi, “la Meloni fa la vittima con le vittime”.
L’eredità di Gelli e il suo “Piano” continuano ad essere ancora presenti – e con quale veemenza divisiva! – nel dibattito politico italiano.
Conclusioni. Il nodo “riforma della giustizia”
L’ ampio esercizio che ci ha occupato ci induce ad una conclusione. Non esiste una derivazione diretta tra “Piano” P2 e riforme del governo in carica. Non può esistere. Tuttavia l’uno e le altre presentano in molti casi assonanze di intenti. E qualche misura prevista nel primo viene riprodotta pari pari nelle seconde, ad esempio in tema di selezione dei magistrati e di separazione delle carriere. Come argomentato dai magistrati Di Matteo e Scarpinato, si tratta di vicinanze e sovrapposizioni a cui non è estranea la comune matrice ideologica conservatrice. Tendente a un più marcato autoritarismo rispetto alla situazione esistente che si intende modificare. Entrambi – “Piano” e attuali riforme – puntano a una decisa preminenza del potere esecutivo rispetto ad altri poteri dello Stato (Legislativo, Magistratura e, prima ancora, Presidenza della Repubblica). Il dato di fatto inoppugnabile è che in certi ambienti non è finita l’ossessione che vede la “politica subordinata alla magistratura”. E pertanto non può finire l’ossessione di volere mettere la museruola al potere giudiziario. O di volerlo in qualche modo addomesticato. Né è finita la voglia (non dichiarata) di una sostanziale impunità della politica.
Una osservazione difficilmente contestabile: esiste un punto di maggiore attacco che sembra accomunare – pur con diverse sfumature e in epoche e società molto diverse – “Piano” Gelli, riforme dei governi Berlusconi, riforme del governo Meloni. È l’attacco alla magistratura o, per dirla in altri termini, la non celata, quasi dommatica, certezza della preminenza del potere politico sul potere giudiziario. Senza se e senza ma, sempre e comunque. Questo motto di famiglia porta i governi di centro-destra a varare impianti normativi finalizzati ad accentuare il controllo del potere esecutivo sul potere giudiziario spacciandolo per “riforma della giustizia”. Ma è evidente che si tratti di una riforma assai parziale della giustizia. Strumentale e funzionale al connaturato disegno strategico che poco sembra interessarsi di ben più radicati problemi della giustizia in Italia. Né peraltro compagini governative di differente ispirazione si sono dannate l’anima per dedicarvisi con l’impegno che il cimento richiede. Quali siano le vere riforme di cui necessita la giustizia lo sappiamo tutti. Dalle pene inadeguate e spesso discutibili alle condizioni disumane nelle carceri. Dai suicidi in cella e tra le file della polizia penitenziaria che sembrano aver introdotto in Italia una “pena di morte occulta” alla lunghezza insopportabile dei procedimenti giudiziari. Dalla corruzione dilagante alle sentenze tanto scriteriate nelle motivazioni da disamorare i cittadini di quel po’ di fiducia nella giustizia che ancora si ostinano a coltivare. Dai reati ormai perseguibili solo con querela di parte, come i borseggi, diffusissimi, ad alcuni reati ai quali le norme vigenti del codice penale fanno un baffo. Penosamente inadeguate come sono per contrastarne la dilagante diffusione. Come nel caso dei femminicidi, degli incendi dolosi appiccati da criminali nei boschi e nelle campagne, delle responsabilità di chi nei luoghi di lavoro non fa niente per prevenire incidenti e una strage di morti a migliaia l’anno. L’elenco potrebbe continuare.
Reati – femminicidi, incendi appiccati, prevenzione morti sul lavoro – che faremmo bene a normare in modo organico, con interventi efficienti e tempestivi, ricorrendo ad appositi codici specifici. Come esiste il codice degli appalti o dei contratti pubblici o del turismo o del terzo settore e via discorrendo dovrebbero esistere codici specifici per questi reati.
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