L'intesa necessaria tra Roma e Palermo sui 50 miliardi di fondi europei da spendere in Sicilia
L'analisi | 26 settembre 2022
Avvertiamo il bisogno, nel giorno primo dell'era Meloni, di una riflessione approfondita e non emotiva sulle conseguenze che le elezioni politiche del 25 settembre produrranno nel complesso della vicenda italiana sul versante interno (crisi energetica, impennata dell'inflazione, questione retributiva, ecc.) e su quello- altrettanto delicato – della collocazione internazionale del nostro paese nel momento forse più tempestoso degli ultimi settantanni. Perciò limiteremo queste note ad alcune considerazioni sulle elezioni per il rinnovo dell'Assemblea regionale siciliana e l'elezione del nuovo presidente della Regione.
Innanzitutto per evidenziare alcuni numeri: per le elezioni nazionali ha votato in Sicilia il 57,35% degli elettori, in sintonia con la crescente tendenza all'astensionismo diffusa a livello nazionale; per le Regionali ha votato invece solo il 48,62% in leggero incremento rispetto al 2017. Altra anomalia: l'indubbio successo del M5S alla Camera dei deputati ed al Senato (30,69% nella circoscrizione Sicilia 1 e 25.98% in quella Sicilia 2), non trova riscontro in un risultato attorno al 15% delle liste per l'ARS. I medesimi elettori avevano in mano le tre schede , ma la metà di essi ha votato in modo diverso per la Regione rispetto alla scelta per il Parlamento nazionale. Il fenomeno è troppo evidente e meriterà di divenire oggetto di un riflessione sulla maniera in cui si forma il consenso elettorale in relazione alle specificità delle singole leggi elettorali (per esempio la presenza del voto di preferenza per l'ARS).
Mentre scriviamo, le ultime proiezioni sullo spoglio delle schede per le Regionali confermano la vittoria del candidato del centrodestra (in Sicilia possiamo ancora chiamarlo così, mentre a livello nazionale è chiaramente la destra a prevalere) Renato Schifani. Tuttavia parrebbe che la distanza tra il presidente e la coalizione che lo sostiene sarebbe di quasi sei punti a suo sfavore. Pressoché la medesima distanza separa- ma in positivo- l'outsider Cateno De Luca dalle liste che lo sostengono.
Se tali dati saranno confermati a conclusione dello scrutinio, la vera novità sarà “Catemoto” che pur non riuscendo a conseguire la vittoria ha comunque scompaginato le coalizioni. Al contrario delle attese, però, il trasferimento di voti non è avvenuto solo a danno del centro destra, ma ha colpito trasversalmente tutti i candidati. Ciò consente a De Luca di conquistare il secondo posto, di entrare in ARS come migliore dei perdenti e si candida a diventare il punto di riferimento di un'opposizione le cui caratteristiche saranno tutte da scoprire. Caterina Chinnici, proposta dal PD e dal movimento Cento passi di Claudio Fava, non è mai stata veramente in partita in parte per la confusione prodotta dalla decisione dei Cinque Stelle di rompere l'alleanza che aveva consentito di svolgere le primarie lo scorso 23 luglio, ma anche- onestamente- per una campagna elettorale che non ha saputo trovare i toni giusti per rivolgersi ai siciliani in un momento in cui sarebbe stato opportuno puntare con decisione alle devastanti crisi economica, e sociale, della stessa istituzione autonomistica da cui l'isola è investita.
Nuccio Di Paola, rappresentante dei Cinque Stelle, è stato oscurato dalle modalità della campagna per le Nazionali condotta da Giuseppe Conte anche in Sicilia. Nelle prime dichiarazioni, a scrutinio ancora in corso, Schifani fornisce le coordinate della sua amministrazione: l'eterno ponte sullo Stretto di Messina, gli investimenti privati, ecc. Niente di nuovo, a dimostrazione che si è trattato di una candidatura di mediazione a fronte della richiesta di Giorgia Meloni di riproporre l'uscente Musumeci e che si profila una presidenza dal profilo basso in una fase invece di estrema complessità.
Schifani troverà a Roma un governo dello stesso segno politico, con una larga maggioranza in entrambe le Camere e impegnato a realizzare le aspettative delle grandi regioni settentrionali sull'introduzione di un'autonomia differenziata che sarebbe comunque penalizzante per il Meridione.
In tale contesto, il nuovo presidente si troverà a far i conti con la necessità non più rinviabile di mettere mano alla rivisitazione dell'autonomia speciale la quale, se non verrà posta in sintonia con le novità intervenute nel rapporto con lo Stato e con l'Unione Europea, rischia di perdere del tutto la funzione di progresso che ha esercitato per un tratto dei settantasei anni dalla nascita; funzione che oggi appare del tutto scomparsa dalla coscienza politica dei siciliani.
Da questo punto di vista, la totale assenza nelle prime dichiarazioni del neo eletto di alcun cenno alla riforma della Regione e le poche e inadeguate parole pronunciate sul pubblico impiego inducono seri elementi di preoccupazione. Musumeci, dal 2017, si è confrontato con governi nazionali di diverso colore politico sempre tenendo fermo il rapporto politico con la Meloni- alla quale è legato da antica comune militanza nella destra neofascista prima della finiana svolta di Fiuggi- e di volta in volta ha scaricato più o meno polemicamente le sue insufficienze ed i suoi fallimenti sugli Esecutivi romani.
A Schifani un simile giochino verrà assai difficile da praticare. Fratelli d'Italia, che è il vero vincitore delle elezioni politiche, ha alle spalle una cultura decisamente centralista e non è scontato il tipo di rapporto che si instaurerà nei fatti col sistema delle autonomie regionali. In teoria per il nuovo inquilino di palazzo d'Orleans l'interlocuzione con Roma dovrebbe essere più semplice: non è tuttavia scontato in un momento in cui in Sicilia arriveranno risorse pubbliche per 50 miliardi di euro tra PNRR e fondi strutturali europei. I problemi sono molti: dagli appetiti mafiosi, all'arretratezza dell'amministrazione regionale, agli interessi contraddittori che potranno emergere tra i vari livelli di governo. Non sarà comunque una navigazione facile quella dell'ex presidente del Senato. tra un oppositore folkloristico ma efficace nell'azione come De Luca ed un governo nazionale di destra-centro tutto da scoprire e che verosimilmente non si limiterà ad amministrare l'eredità del vecchio berlusconismo.
di Franco Garufi
Innanzitutto per evidenziare alcuni numeri: per le elezioni nazionali ha votato in Sicilia il 57,35% degli elettori, in sintonia con la crescente tendenza all'astensionismo diffusa a livello nazionale; per le Regionali ha votato invece solo il 48,62% in leggero incremento rispetto al 2017. Altra anomalia: l'indubbio successo del M5S alla Camera dei deputati ed al Senato (30,69% nella circoscrizione Sicilia 1 e 25.98% in quella Sicilia 2), non trova riscontro in un risultato attorno al 15% delle liste per l'ARS. I medesimi elettori avevano in mano le tre schede , ma la metà di essi ha votato in modo diverso per la Regione rispetto alla scelta per il Parlamento nazionale. Il fenomeno è troppo evidente e meriterà di divenire oggetto di un riflessione sulla maniera in cui si forma il consenso elettorale in relazione alle specificità delle singole leggi elettorali (per esempio la presenza del voto di preferenza per l'ARS).
Mentre scriviamo, le ultime proiezioni sullo spoglio delle schede per le Regionali confermano la vittoria del candidato del centrodestra (in Sicilia possiamo ancora chiamarlo così, mentre a livello nazionale è chiaramente la destra a prevalere) Renato Schifani. Tuttavia parrebbe che la distanza tra il presidente e la coalizione che lo sostiene sarebbe di quasi sei punti a suo sfavore. Pressoché la medesima distanza separa- ma in positivo- l'outsider Cateno De Luca dalle liste che lo sostengono.
Se tali dati saranno confermati a conclusione dello scrutinio, la vera novità sarà “Catemoto” che pur non riuscendo a conseguire la vittoria ha comunque scompaginato le coalizioni. Al contrario delle attese, però, il trasferimento di voti non è avvenuto solo a danno del centro destra, ma ha colpito trasversalmente tutti i candidati. Ciò consente a De Luca di conquistare il secondo posto, di entrare in ARS come migliore dei perdenti e si candida a diventare il punto di riferimento di un'opposizione le cui caratteristiche saranno tutte da scoprire. Caterina Chinnici, proposta dal PD e dal movimento Cento passi di Claudio Fava, non è mai stata veramente in partita in parte per la confusione prodotta dalla decisione dei Cinque Stelle di rompere l'alleanza che aveva consentito di svolgere le primarie lo scorso 23 luglio, ma anche- onestamente- per una campagna elettorale che non ha saputo trovare i toni giusti per rivolgersi ai siciliani in un momento in cui sarebbe stato opportuno puntare con decisione alle devastanti crisi economica, e sociale, della stessa istituzione autonomistica da cui l'isola è investita.
Nuccio Di Paola, rappresentante dei Cinque Stelle, è stato oscurato dalle modalità della campagna per le Nazionali condotta da Giuseppe Conte anche in Sicilia. Nelle prime dichiarazioni, a scrutinio ancora in corso, Schifani fornisce le coordinate della sua amministrazione: l'eterno ponte sullo Stretto di Messina, gli investimenti privati, ecc. Niente di nuovo, a dimostrazione che si è trattato di una candidatura di mediazione a fronte della richiesta di Giorgia Meloni di riproporre l'uscente Musumeci e che si profila una presidenza dal profilo basso in una fase invece di estrema complessità.
Schifani troverà a Roma un governo dello stesso segno politico, con una larga maggioranza in entrambe le Camere e impegnato a realizzare le aspettative delle grandi regioni settentrionali sull'introduzione di un'autonomia differenziata che sarebbe comunque penalizzante per il Meridione.
In tale contesto, il nuovo presidente si troverà a far i conti con la necessità non più rinviabile di mettere mano alla rivisitazione dell'autonomia speciale la quale, se non verrà posta in sintonia con le novità intervenute nel rapporto con lo Stato e con l'Unione Europea, rischia di perdere del tutto la funzione di progresso che ha esercitato per un tratto dei settantasei anni dalla nascita; funzione che oggi appare del tutto scomparsa dalla coscienza politica dei siciliani.
Da questo punto di vista, la totale assenza nelle prime dichiarazioni del neo eletto di alcun cenno alla riforma della Regione e le poche e inadeguate parole pronunciate sul pubblico impiego inducono seri elementi di preoccupazione. Musumeci, dal 2017, si è confrontato con governi nazionali di diverso colore politico sempre tenendo fermo il rapporto politico con la Meloni- alla quale è legato da antica comune militanza nella destra neofascista prima della finiana svolta di Fiuggi- e di volta in volta ha scaricato più o meno polemicamente le sue insufficienze ed i suoi fallimenti sugli Esecutivi romani.
A Schifani un simile giochino verrà assai difficile da praticare. Fratelli d'Italia, che è il vero vincitore delle elezioni politiche, ha alle spalle una cultura decisamente centralista e non è scontato il tipo di rapporto che si instaurerà nei fatti col sistema delle autonomie regionali. In teoria per il nuovo inquilino di palazzo d'Orleans l'interlocuzione con Roma dovrebbe essere più semplice: non è tuttavia scontato in un momento in cui in Sicilia arriveranno risorse pubbliche per 50 miliardi di euro tra PNRR e fondi strutturali europei. I problemi sono molti: dagli appetiti mafiosi, all'arretratezza dell'amministrazione regionale, agli interessi contraddittori che potranno emergere tra i vari livelli di governo. Non sarà comunque una navigazione facile quella dell'ex presidente del Senato. tra un oppositore folkloristico ma efficace nell'azione come De Luca ed un governo nazionale di destra-centro tutto da scoprire e che verosimilmente non si limiterà ad amministrare l'eredità del vecchio berlusconismo.
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