L'Inferno raccontato non banalizza Dante
Il fascino senza tempo della Commedia in versione originale non teme rivali, pur non accessibile a tutti e spesso limitato solo all'esperienza scolastica. Chi l'ha detto, però, che anche un rifacimento romanzesco in linguaggio contemporaneo non possa essere una lettura bella e interessante? Il dantista Francesco Fioretti, abruzzese ma di origini siciliane grazie alla famiglia materna, ha trasformato in prosa la prima cantica dell'Alighieri, l'Inferno, e certamente completerà l'opera con Purgatorio e Paradiso. Il risultato è largamente piacevole e per nulla superficiale.
A tre quarti di millennio dalla nascita del poeta fiorentino (ricorrenza non sfuggita a molti editori, come Guanda che farà correre “Come donna innamorata” di Marco Santagata per il premio Strega), il romanzo “La selva oscura” (318 pagine, 17 euro) di Francesco Fioretti – rappresentato da Walkabout Literary Agency e già autore di thriller danteschi per Newton Compton – pubblicato da Rizzoli, è una piacevole sorpresa. Nella convinzione che le terzine originali saranno anche difficili, ma sono... imbattibili.
L'inferno e il viaggio metafisico di Dante scortato da Virgilio, nella versione di Fioretti, non sono una semplificazione e una banalizzazione del testo trecentesco che, pur essendo complesso, ha tutti gli ingredienti per essere popolare, a cominciare da un'ambientazione fantastica, da un protagonista unico – colmo di fascino, amarezze e tormenti, perseguitato da nemici, innamorato di un ideale, la bellissima Beatrice – e da personaggi non meno intriganti, peccatori di ogni risma, dannati di più o meno chiara fama, che sfilano lungo le pagine.
Il libro di Fioretti amplia talvolta efficacemente l'estrema sintesi del testo poetico, eccede in qualche descrizione pulp; è ammirevole (e si vede) il lavoro dello studioso, che dà una dettagliata cornice storica agli eventi narrati; il romanzo, pur non annoiando, non sempre riesce a tenere altissima la tensione del testo originale e ha comunque qualche scivolone, certi passaggi poco coraggiosi e irrorati di politically correct, che lo stesso autore ammette nella postfazione, dove spiega come e perché ha sfumato riferimenti a Maometto e ai sodomiti. Nessuno è perfetto, insomma...
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