L'inattualità dell'ideologia revisionista

Politica | 17 marzo 2015
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E' il festival della demagogia. Il presidente scarica la volontà di non trattare con i sindacati sull'assessore al Bilancio "forestiero", il giovane sottosegretario si arma di ramazza ma sponsorizza l'ingresso nel partito piglia-tutti di un buon numero di coloro che hanno contribuito ad accumulare l'immondizia, i sindaci annunciano che scriveranno sulle lenzuola i nomi dei responsabili dello sfascio, che, manco a dirlo, sono sempre "gli altri".

 Nel frattempo al centro dello scontro sociale è lo sciopero dei regionali, che hanno certamente ragione sul terreno delle corrette relazioni sindacali, ma notoriamente non rappresentano la categoria più povera e disagiata della nostra derelitta Sicilia. Come sottrarsi al senso di nausea e di sconforto per una situazione degenerata nella quale sembra essere scomparso il merito delle questioni? Chi può parlare ai cinquecentomila giovani siciliani che non studiano e non lavorano, la percentuale di NEET più alta di tutta Italia? Come si passa dalla propaganda del reddito minimo garantito che costerebbe miliardi di euro, a provvedimenti seri e realizzabili che consentano alle 260.000 famiglie che nell'isola sono alla povertà assoluta di non restare soli davanti alla miseria, in attesa della palingenesi promessa?

Come si affronta il tema della dilagante corruzione, evitando l'atteggiamento dei sepolcri imbiancati quando scoppia l'ennesimo scandalo annunciato? Quale risposta si dà alle poche imprese siciliane che nel pieno della crisi stanno stringendo i denti e continuano coraggiosamente a confrontarsi con il mercato? Quale prospettive di lavoro produttivo si offrono ai disoccupati? E in quali settori? Bisognerebbe avere un progetto di governo che non si limitasse alle denunce ed alla ripetizione ossessiva del "mantra" di una rivoluzione immaginata, ma ritrovasse lo spirito innovativo che aveva segnato l'inizio di questa legislatura assembleare e che si è smarrito nei meandri di una gestione improntata a "tirare a campare", per parafrasare la buonanima di Andreotti.

Nel balletto dei posizionamenti, è la politica che manca in Sicilia; la politica come progetto di governo, come agire quotidiano per la realizzazione di fini collettivi, come faticosa costruzione di proposte capaci di offrire alla nostra terra una prospettiva di crescita qualitativamente diversa dal destino di mercato di consumo e dalla dipendenza dalla spesa regionale. Tale era tradizionalmente la funzione dei partiti politici; ma la pletora di piccole e grandi formazioni politiche nate in questi anni altro non sono che mere aggregazioni elettorali o grancassa per il leader. I politologi ci hanno spiegato che il "partito leggero" è la naturale conseguenze della fine delle ideologie e delle grandi formazioni di massa che ne custodivano l'identità, ma nella nostra ridente isola siamo ben oltre: siamo al partito pret-a portèr, a seconda delle necessità tattiche della giornata. In questo contesto pascono e crescono l'antipolitica, la crisi di partecipazione democratica, l'approccio clientelare al "potente".

Chi pensi di supplire a questo vuoto rivendicando la piena attuazione di uno Statuto speciale scritto nel 1946 non ha capito quanto nel frattempo il mondo è cambiato e fino a che punto l'ideologia "riparazionista " sia un vecchio arnese del ceto politico, ormai estranea al sentire della nostra gente. Bisogna confrontarsi con un paese in cui crescono diseguaglianze ed ingiustizie sociali e con un'Europa che è chiamata a costruire rapidamente nuove politiche di sviluppo, se non vuole condannarsi alla marginalità. La sfida dell'oggi- se davvero si avrà un barlume di ripresa per quanto debole essa potrà essere - è collocare le scelte siciliane all'interno di una grande battaglia politica perché il Mezzogiorno diventi il luogo strategicamente centrale delle politiche di sviluppo del paese, per quanto riguarda la conoscenza,l'innovazione tecnologica l'industria e la logistica.

Per far questo, è indispensabile che ciascuno si assuma le proprie responsabilità, fermando l'indegno scaricabarile sulla pelle dei siciliani cui stiamo assistendo Altrimenti, ci attende l'agonia della Sicilia- che sarà assai dolorosa- con la "politica"che continuerà a rimirarsi l'ombelico, mentre il cadavere di quella che fu l'istituzione gloriosa dell'autonomia regionale infetterà l'intera società siciliana. Solo l'indignazione ci salverà.

 di Franco Garufi

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