L’impatto della povertà educativa digitale: riscriviamo il futuro
Nonostante abbiano trascorso oltre un anno davanti agli schermi di pc e tablet, alle prese con la didattica a distanza e con un nuovo tipo di socialità, quasi esclusivamente virtuale, gli studenti e le studentesse in Italia sembrano ancora impreparati per affrontare il mondo digitale. La chiusura e l’apertura a singhiozzo delle scuole, la mancanza di strumenti e di abitazioni idonee a seguire la didattica a distanza hanno contribuito ad aumentare la povertà educativa e la dispersione scolastica, lasciando molti bambini indietro. Secondo i dati Istat (La Spesa per Consumi delle Famiglie 2008-2020), la povertà minorile, in poco più di dieci anni, è aumentata di dieci punti percentuali e ha raggiunto nel 2020 il suo massimo storico degli ultimi 15 anni: 1milione e 346mila minori (il 13,6% dei bambini e degli adolescenti in Italia), ben 209mila in più rispetto all’anno precedente, sono in condizioni di povertà assoluta. Un dato destinato a crescere con la crisi economica generata dal Covid e dovuto, in larga parte, all’aumento consistente del numero di genitori che hanno perso temporaneamente o definitivamente il lavoro, 345.000 durante l’anno trascorso (Istat, 2021), e la conseguente diminuzione delle loro disponibilità economiche. “L’ascensore sociale che fino a qualche anno fa era fermo- afferma Daniela Fatarella, Direttrice Generale di Save the Children- ora sembra addirittura avere invertito la rotta e rischiamo che i nostri ragazzi debbano abdicare al loro domani. Non possiamo permettere che questo accada e per invertire la rotta è necessario partire dal sistema educativo e dalle diseguaglianze che contribuisce a generare”.
Gli studenti, dietro a quegli schermi di tablet e pc, si sono sentiti spesso invisibili al mondo degli adulti e spaesati, non ascoltati e presi in considerazione nelle loro difficoltà e nella frustrazione di non saper immaginare un futuro. Secondo quanto emerge dall’indagine pilota condotta da Save the Children, una percentuale significativa di studenti intervistati, che sono chiamati “nativi digitali”, mostra evidenti lacune nella conoscenza e nell’utilizzo degli strumenti tecnologici, nonostante nell’ultimo anno abbiano vissuto in una «dimensione digitale». Tanto che un quinto dei ragazzi che hanno partecipato alla Rilevazione sulla povertà educativa digitale non è ancora in grado di eseguire semplici operazioni utilizzando gli strumenti informatici, come condividere uno schermo durante una chiamata con Zoom (11%) o scaricare un documento condiviso da un insegnante sulla piattaforma della scuola (29,3%). Si configura dunque una nuova dimensione della povertà educativa, la povertà educativa digitale, cioè la privazione delle opportunità per apprendere, ma anche per sperimentare, per sviluppare e per far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni, attraverso l’utilizzo responsabile, etico e creativo degli strumenti digitali. Dai risultati della ricerca, emerge infatti che circa un quinto (20,1%) dei minori che ha partecipato all’indagine non è in grado di rispondere correttamente a più della metà delle domande proposte per valutare le competenze di base nell’utilizzo degli strumenti digitali, come identificare una password sicura, condividere lo schermo durante una videochiamata (1 su 10), inserire un link in un testo, scaricare un file da una piattaforma della scuola (29,3%), utilizzare un browser per l’attività didattica (32,8%). Un risultato che non dovrebbe stupire se si considera che l’82% dichiara di non aver mai utilizzato prima della pandemia il tablet a scuola, percentuale che si assesta al 32,5% per la lavagna interattiva multimediale (LIM). Tra gli studenti partecipanti allo studio, coloro che dichiarano di non avere a disposizione nessun tablet a casa sono il 30,4%, mentre il 14,2% afferma di non avere un personal computer. Più della metà (54%) vive in abitazioni dove ciascun membro della famiglia ha a disposizione meno di un dispositivo.
Dall’analisi svolta sul campione emerge che la condizione socioeconomica delle famiglie ha un peso preponderante sul livello di competenze alfabetiche digitali: maggiore il titolo di studio della madre o del padre, minore l’incidenza della povertà educativa legata alle competenze digitali necessarie per effettuare operazioni di base con gli strumenti tecnologici. Le famiglie più svantaggiate dal punto di vista socioeconomico sono anche quelle dove minore è la presenza di strumenti quali tablet e personal computer. La povertà educativa digitale colpisce tuttavia tutti i bambini e ragazzi e non ci sono differenze socio-economiche che tengano riguardo la loro capacità di conoscere e applicare le “regole” relative alla vita nel mondo virtuale e la capacità di districarsi tra opportunità e pericoli della rete.
Dalla ricerca pilota emerge infatti che una quota considerevole degli studenti che hanno partecipato allo studio non conosce le regole relative all’utilizzo della propria immagine da parte dei social, o all’età minima per avere un profilo, non è in grado di eseguire semplici passaggi per rendere il proprio profilo social accessibile soltanto agli amici, di far fronte all’uso improprio della propria immagine da parte di altri. Più della metà non conosce le implicazioni legali relative alla condivisione di contenuti offensivi sui social o non è in grado di reagire in modo corretto di fronte all’uso improprio delle immagini altrui. Infine, quasi la metà degli studenti non è in grado di riconoscere una fake news. “Vogliamo una tabella di marcia del Piano Next Generation che parta dai territori privi di servizi per l’infanzia e per le famiglie– ha dichiarato Raffaela Milano, direttrice dei programmi Italia-Europa di Save the Children - e chiediamo che i ragazzi e le ragazze, rimasti troppo a lungo invisibili durante la crisi, siano protagonisti della ripartenza, con l’apertura di spazi di partecipazione e di dialogo con le istituzioni ad ogni livello”.
In occasione del rilancio della campagna Riscriviamo il Futuro e del nuovo rapporto di ricerca, Save the Children ha elaborato il nuovo strumento AbCD - Autovalutazione di base delle Competenze Digitali, in collaborazione con il Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media all’Innovazione e alla Tecnologia (CREMIT) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e della Prof.ssa Monica Pratesi, Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa. L’obiettivo è stato quello di misurare l’assenza, da parte dei minori, delle competenze di base per ciascuna delle quattro dimensioni della povertà educativa digitale, quali: apprendere per comprendere (afferente cioè alla conoscenza degli strumenti e delle applicazioni, le loro caratteristiche e funzionalità), apprendere per essere (relativa alla capacità di costruirsi un’identità digitale, del limite che c’è tra spazio pubblico e privato e delle conseguenze delle proprie azioni digitali nei confronti di se stessi e del proprio benessere), per vivere assieme (cioè di comprendere, accettare e rispettare la diversità delle identità, degli stili di vita, delle culture altrui nel mondo digitale e prevenire discriminazioni, intolleranza e cyberbullismo) e, infine, per vivere una vita attiva ed autonoma (legata all’accesso ad una conoscenza vasta e globale e alle opportunità di partecipazione attiva nel mondo digitale). Così come la povertà educativa è fortemente condizionata dalla povertà materiale, anche la povertà educativa digitale ne è una conseguenza diretta. I minori che provengono da famiglie svantaggiate, dal punto di vista economico e sociale, generalmente hanno maggiori probabilità di non raggiungere il livello minimo di competenze ad esempio in matematica, scienze e lettura, di non svolgere attività culturale, ricreativa, sportiva, ed essere a rischio di abbandono scolastico. Allo stesso modo, la mancanza di strumenti tecnologici, ha aggravato le difficoltà che in questi mesi i bambini e ragazzi che provengono da famiglie in condizioni di vulnerabilità, hanno dovuto affrontare durante questo periodo di “vita e socialità virtuale”.
Melania Federico
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