L’illegalità che domina sui campi siciliani

Economia | 16 febbraio 2015
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Nonostante la crisi, che ha devastato l’economia siciliana e nazionale, il settore agroindustrialimentare è quello che le ha resistito di più. In Sicilia, nel 2013 rispetto al 2012, l’industria ha perso ben 10,5 % di Valore Aggiunto, mentre l’agricoltura solo il 2,6%, con 108 mila addetti e 2,5 miliardi euro di VA prodotto. Allora tutto bene? Per niente! La crisi ha fatto lievitare tutte le patologie del sistema economico e sociale come ha documentato il recente Rapporto dell’Osservatorio sui Fondi europei, promosso dal Centro studi La Torre. Infatti, sono cresciute le povertà sociali, il peso e la rete transnazionale dell’economia illegale e criminale. In questo quadro, il sommerso in agricoltura, del quale fa parte il lavoro nero, ha assunto nuove forme all’interno delle quali il sistema mafioso è prosperato. A fronte di una flessione dei consumi rilevata nel primo semestre del 2014, nella quale è significativa quella degli acquisti alimentari delle famiglie, l’Istat segnala la contemporanea flessione dei prezzi alla produzione e l’aumento dei prezzi al consumo col concorso dell’intermediazione speculativa, parassitaria e mafiosa. Sono confermati nella filiera dal produttore al consumatore tutti gli storici intrecci perversi, ai quali non sono estranei i sistemi mafiosi, come dimostrato dalle vicende giudiziarie che hanno investito alcuni Centri commerciali agroalimentari del paese, il mercato di Fondi (Lt), quello di Giugliano (Na), o dalle polemiche su quelli di Vittoria e Gela in Sicilia. A tal proposito, l’Osservatorio Placido Rizzotto della Cgil ha rilevato che” il settore primario è ancora quello dove è più rilevante la percentuale di VA prodotta dal sommerso pari al 36% dell’intera economia del settore”. Basta analizzare il controllo del sistema di trasporto su ruota, il funzionamento dei grandi mercati alla produzione, compreso quello di Vittoria (ufficialmente 400 milioni euro di fatturato annuo), dove prevalgono figure ambivalenti di concessionari che sono anche commercianti e produttori agricoli avendo investito le loro plusvalenze nell’acquisto delle aziende dismesse dagli antichi coltivatori.

Il Rapporto, realizzato in stretta collaborazione con la Flai siciliana, denuncia e documenta quanto siano estesi, con la crisi, lavoro nero e le nuove forme illegali del mercato nell’agricoltura siciliana. Deve far riflettere tutti, forze sociali e politiche, governi locali, regionali e nazionali, la nascita di forme moderne di caporalato e di sfruttamento dei nuovi immigrati presenti nei centri di accoglienza presenti i Sicilia. Le piaghe del sommerso e del lavoro nero nell’agricoltura siciliana ci sono sempre state, ma non era organizzato da caporali come avviene oggi usando anche la tratta dei nuovi schiavi del ventunesimo secolo ospitati presso il Cara di Mineo, i cui proprietari e gestori sono stati lambiti dall’indagine Mafia Capitale.  Il sindacato documenta tutta la sua azione di contrasto del caporalato che fornisce manodopera servile a basso prezzo (la metà di quello di piazza) ai commercianti che hanno comprato le arance all’albero o a proprietari agricoli di pochi scrupoli. In questi circuiti trova spazio il ricatto sessuale verso le immigrate e la prostituzione. Tutto ciò offende la dignità di quella gente sfortunata e tradisce lo storico spirito d’accoglienza e d’inclusione dei siciliani. Quello che preoccupa è la difficoltà di coinvolgere l’intera società nella battaglia dei diritti dei lavoratori agricoli, italiani e immigrati, sostenuta dal sindacato. La rappresentanza politica democratica che storicamente ha tratto dalle campagne linfa e valori per costruire una moderna democrazia, non è molto presente. Oggi, nell’area serricola, orticola e agrumicola della Sicilia, tra le più importante d’Italia, si è indebolito il tessuto cooperativo democratico, migliaia di piccoli produttori i cui nonni da braccianti erano diventati contadini imprenditori, sono ritornati a fare i braccianti o altri mestieri, mentre si fa sempre più stringente il confronto con la globalizzazione dei mercati, la contraffazione dei prodotti spacciati per siciliani ( vedi il tarocco spagnolo, il pomodorino magrebino, i carciofi egiziani importati da qualche grossista di Catania ecc. ecc.), fenomeni nei quali sono pienamente operativi i sistemi mafiosi.

Tutto ciò condiziona lo sviluppo, la crescita e la democrazia.

Per questo motivo nessun sincero democratico può sentirsi offeso perché si rendono pubbliche tali patologie sociali ed economiche soprattutto in quelle aree- ragusane, siracusane, catanesi- dove sono nate a cavallo tra l’ottocento e il novecento, assieme ai Fasci siciliani e al movimento socialista, le prime “leghe di miglioramento dei contadini”. Sono gli stessi territori dove i contadini, sospinti dalle avversità atmosferiche, hanno inventato la coltivazione degli ortaggi in serra e costruito organizzazioni cooperative democratiche che hanno saputo contenere la presenza della mafia nel mercato del lavoro e della produzione. La loro volontà creativa di un nuovo sistema produttivo era supportata dalla coscienza politica democratica che da quell’energia seppe trarre la stimolo per spingere in avanti il Paese.

Il caporalato segnala un passo indietro che va fermato con una presa di coscienza collettiva del pericolo dell’indebolimento dei diritti non solo per i lavoratori agricoli. Il caporalato è ormai un reato punito, ma ciò non basta a prevenirlo e garantire il rispetto della dignità della persona e della legalità per tutti, europei e immigrati. Al rispetto di questa va subordinato l’accesso alle agevolazioni pubbliche, come chiesto dal sindacato e annunciato anche dall’assessore regionale all’agricoltura che ipotizza una premialità per le aziende agricole che adottano i protocolli di legalità.  All’Expò 2015 presentiamo tra i frutti della Sicilia anche quelli della sua lunga battaglia contro le mafie e ingiustizia sociale!

 di Vito Lo Monaco

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