L’Europa rilanci gli investimenti per il lavoro
Il 25 maggio voterò per un'Europa che rilanci gli investimenti e affronti il dramma della disoccupazione, lasciandosi finalmente alle spalle le politiche di austerità: per raggiungere tali obiettivi, essenziali per evitare che il continente riprecipiti in un passato fatto di contrapposizioni tra gli stati nazionali, abbiamo bisogno non di meno Europa e tanto meno di uscire dall'euro, ma di istituzioni europee più vicine ai cittadini, capaci di dare risposte alle angosce ed alle domande di senso che attraversano tutti e ciascuno i 28 paesi che compongono l'Unione. Gli avversari principali sono la tempesta populista e l'egoismo nazionale che illudono gli elettori che si possano risolvere problemi tanto complessi attraverso il mero ritorno al passato delle monete nazionali e della chiusura protezionistica verso tutto ciò che è diverso, dai flussi migratori alle minacce alla pace che traspaiono dalla complicatissima situazione ucraina (con il rischio di una guerra alle porte di casa). Poiché vivo la realtà del mio paese, sono consapevole che la campagna elettorale non poteva essere indifferente alla vicenda politica nazionale: ritengo perciò normale che nelle fasi finali lo scontro tenda a concentrarsi in una sorta di sondaggio pro o contro l'operato del governo Renzi e ritengo un atto di coraggio politico che il presidente del Consiglio ci stia “mettendo la faccia”per fermare il tentativo di Grillo e Casaleggio di usare l'appuntamento europeo come trampolino dell'offensiva finalizzata ad aprire la crisi dell'attuale esecutivo, accelerare le dimissioni del presidente della Repubblica e giungere in breve tempo a nuove elezioni. Contro questo disegno l'elettorato di centrosinistra deve mobilitarsi, battendo la tentazione astensionistica, non solo per la vittoria dell'ipotesi di cambiamento democratico rappresentata dal PSE e da Schultz, ma anche per impedire l'apertura di una fase di ingovernabilità in casa nostra che annullerebbe il lavoro positivo, pur con limiti sul versante delle politiche di regolazione del mercato del lavoro, di questi primi mesi del governo Renzi. Di questo avrei voluto sentir parlare, da elettore e da iscritto al PD, nei comizi e nelle iniziative di questa settimana. Con estremo disagio, invece, mi sono trovato assordato da un'incredibile lite su questioni del tutto estranee al programma elettorale del PSE ed alla proposta del partito democratico. Lascio volentieri ad altri disquisire su chi ha inferto il primo colpo; del resto i miei rari lettori conoscono la mia idiosincrasia per l'attitudine del presidente della Regione ad esprimere ogni concetto con toni esagitati e affermazioni evidentemente poco meditate. Tuttavia provo profondo fastidio all'idea che l'appuntamento del 25 maggio venga trasformato in un “referendum tra Crocetta e Fiandaca” . Ho letto “La mafia non ha vinto”: per quanto i miei modesti mezzi culturali mi consentono, ne condivido la tesi di fondo sulla necessità di un profondo rinnovamento delle modalità di lettura del fenomeno mafioso e del modo in cui la politica per le sue funzioni e la magistratura per i compiti che la Costituzione e l'ordinamento le assegnano, sono chiamate ad affrontarlo. Da un pezzo, peraltro, ho maturato la convinzione che l'eccesso di retorica non serve alla comprensione di ciò che oggi è diventata la mafia, dei rapporti che essa ha intessuto con la politica e l'imprenditoria, oggi e non venti anni fa. Su questo terreno c'è un deficit di analisi che le urla e gli insulti non aiutano a superare. Che si apra una discussione all'interno del fronte che combatte la mafia non mi scandalizza, mi pare anzi necessario. Ciò che mi preoccupa è l'intreccio con questioni estranee, come il giudizio sull'attuale governo regionale e con le convulsioni interne del Pd siciliano e la sua irrefrenabile tendenza al suicidio politico. Perciò non mi hanno convinto i toni della risposta del professor Fiandaca, che aveva pienamente il diritto di reagire alle gravi offese, ma ha perso l'occasione di offrire un contributo da par suo ad una riflessione di merito sui rapporti tra la ricostruzione di un tessuto di legalità, che appare ancora una volta fortemente lacerato in tutto il paese, e il ruolo che a tal fine può e deve giocare il Parlamento Europeo. Siamo ormai alla vigilia del 23 maggio: impediamo che divenga un'occasione di divisione e di polemica perché faremmo il gioco di coloro, i nostri veri avversari, che tentano di cancellare il patrimonio di testimonianze e di unità costruito nei ventidue anni che ci separano dalle stragi di Capaci e di via D'Amelio.
Franco Garufi
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