L’estinzione delle librerie in Sicilia, un piccolo comune su tre è senza

Cultura | 5 gennaio 2017
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Sono un esercito: circa

13milioni di italiani che vivono in

comuni che sono sprovvisti di

una libreria. Il dato, allarmante

eppure non sorprendente, è emerso

da una recente analisi dell’Ufficio

studi dell'Associazione Italiana

Editori (AIE) presentato a dicembre

durante Più libri più liberi,

la Fiera nazionale della piccola

e media editoria.

L’indagine evidenzia come il

21,1% della popolazione residente

in comuni con più di 10mila abitanti

non ha una libreria vicino

(sono esclusi i comuni dove possono

esserci cartolibrerie, edicole-

negozio, centro commerciale

con librerie come bacino di attrazione

del comune). Per dirla in un

altro modo esistono oggi in Italia

ben 687 Comuni sopra i 10mila

abitanti, l’8,6% del totale, che non

hanno una libreria. Nelle Isole e

nel Sud la percentuale di assenza

di librerie si alza: il 15,1% dei Comuni

delle Isole (+10mila ab.) delle

Isole e ben il 33,3% di quelli del sud

(+ di 1 su 3!) è senza librerie. Un dato

vero, però, anche per il Nord

est, in cui il 20,5% (1 su 5!) è senza

librerie. E se vogliamo aggiungere

anche i carichi, il gioco è presto

fatto. Nei paesi e nelle città dove le

librerie esistono, incontrano non

poche difficoltà; e le chiusure di

attività, schiacciate da mercato

non brillante, affitti alti e concorrenza

di librerie online (per non

parlare del disinteresse verso il libro),

sono all’ordine del giorno.

Di più: la situazione sul fronte

delle biblioteche scolastiche è ancora

più fosca: circa mezzo milione

(486.928) di ragazzi frequenta

scuole senza biblioteche scolastiche.

Sono 262mila nella scuola

primaria, 147mila nella secondaria

di primo grado e 77mila nella

secondaria di secondo grado. Circa

3,5milioni di studenti frequenta

scuole con un patrimonio librario

inferiore alla media, con conseguente

e ridotta possibilità di

scegliere cosa leggere. Purtroppo

i numeri, oltre ad essere problematici,

inducono anche serie considerazioni.

È provata, per esempio,

la correlazione tra assenza di

librerie e indici di lettura. Spiega il

responsabile dell’Ufficio studi

Aie, Giovanni Peresson: «Nelle

aree metropolitane e centri urbani

maggiori (+50.000 abitanti) dove

il tessuto di librerie, ma anche

di servizi bibliotecari, è più fitto e

solido, gli abitanti residenti che si

dichiarano lettori di libri sono, rispettivamente,

il 51,1% e il 44,4%.

Già nelle periferie delle aree urbane

questo valore scende al

42,8% (nonostante la relativa facilità

di spostamenti verso le aree

centrali della città). Poi l’indice di

lettura cala al calare della dimensione

del centro urbano: 38,1% nei

comuni tra 10-50mila abitanti;

39% in quelli da 2-10mila; fino al

35,4% nei comuni (e sono tanti) fino

a 2mila residenti. E non è un caso

che le perdite maggiori di lettori

negli ultimi 5 anni sia avvenute

nei piccoli centri (-15,3%, rispetto

a una perdita media nazionale del

-9,1%). Mentre nelle aree metropolitane

questo calo si è arrestato

al -3,1% ma per risalire al -5,1% nelle

periferie».

Dove ci sono libri lì vivono le

idee, libere e in movimento. E prospera

anche il Pil.

Un’indagine ormai diventata

un classico per la realtà italiana

mostrava già 10 anni fa, che se le regioni

del Sud avessero avuto nel

1973 gli stessi indici di lettura delle

regioni del Nord, il loro Pil nella

metà del decennio scorso sarebbe

stato di 20 punti percentuali più alto.

Altre indagini ci dicono che il

37% di dirigenti, professionisti,

quadri intermedi non legge nessun

libro. La lettura è un fenomeno

strettamente correlato con lo

sviluppo economico e democratico

di una nazione. Il che significa

che i Paesi più avanzati e le società

più aperte domandano naturalmente

più libri. L’assenza di «infrastrutture

culturali», nella quali

il cittadino può prendere visione

di un’offerta ampia e profonda come

possono essere le librerie, le

biblioteche di pubblica lettura, le

biblioteche scolastiche (luoghi

che non possono essere sostiuiti

in alcun modo da un tablet o uno

smartphone) rappresenta uno

snodo che le politiche culturali del

Paese dovrà saper decidere di affrontare

nei prossimi anni. «Sono

dati che fanno riflettere e che sottolineano

quanto lavoro ci sia ancora

da fare» ha spiegato Patricia

Navarra durante l’incontro romano.

«Esiste infatti una stretta correlazione

tra cultura e sviluppo

economico e le linee guida di Confindustria

sono indirizzate a evidenziare

questo aspetto. Come

Gruppo Tecnico Cultura e Sviluppo

di Confindustria stiamo lavorando

per esempio nel cercare

di ridurre la distanze che esistono

tra il centro e le periferie delle città

e per mettere in luce le best practices

che si sviluppano nel nostro

Paese, così da farle diventare un

esempio per le altre realtà».(il Sole 24 Ore)

 di Stefano Salis

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