L'esempio della Grecia per l'Europa
Azzardo una previsione: la principale conseguenza della straripante (pur senza conseguire la maggioranza assoluta dei seggi nel Parlamento) vittoria di Alexis Tsipras in Grecia, sarà la crisi definitiva delle politiche di austerità che hanno dominato fin oggi l'orizzonte dell'Europa della moneta unica. Non tanto perché la piccola Grecia (10 milioni di abitanti) sia decisiva nel contesto europeo, quanto perché il successo del quarantenne leader di Syriza si inscrive all'interno di uno scontro già esistente tra paesi debitori e rigoristi. L'inusuale asprezza con cui il governatore della Deutsche Bundesbank Jens Weidmann ha criticato il programma di quantitative easing (cioè l'acquisto di titoli pubblici per immettere liquidità nel sistema, fermare la deflazione e far ripartire l'economia) deciso la scorsa settimana dalla Banca Centrale Europea e l'intimazione ai vincitori delle elezioni greche, ad urne ancora aperte, a rispettare i patti danno la misura del nervosismo degli ambienti finanziari e politici del Nord Europa. Da quando ai Pigs (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) si è aggiunta la Francia, non si è trattato più di punire e convertire alla virtù i mediterranei spreconi, ma di fare i conti con una parte crescente degli stati membri che giudica insostenibili le politiche fin qui praticate dalla Commissione Europea. A quanto sopra, si aggiungerà la crescita costante di movimenti come Podemos che, pur con qualche differenza, si muove in una linea politica sostanzialmente convergente con quella del prossimo governo greco. La Grecia, per la sua debolezza politica e perché colpevole di aver truccato i conti in occasione dell'ingresso nell'euro, era stata oggetto di un esperimento di smantellamento dello stato sociale che doveva essere esemplare, ma si è tradotto in una devastazione economica e sociale pagata dai lavoratori e dalla classe media di quel paese. Le Finanziarie imposte dalla Troika hanno ridotto del 40% il potere d'acquisto dei greci; il reddito medio annuo era di 24.000 euro nel 2008, oggi è sceso a 19.000; i salari pubblici sono calati del 31% rispetto al 2009, quelli privati del 22%; 3,9 milioni di greci sono a rischio povertà, le tasse sono aumentate di nove volte. Una tragedia collettiva, in un paese caratterizzato da un sistema politico gestito da quarantanni da un numero limitato di grandi famiglie, con alti livelli di corruzione, l'incapacità di recuperare risorse attraverso la lotta all'evasione sociale. In tale contesto, l'abilità di Tsipras è stata di affermarsi come un credibile leader federatore di forze tradizionalmente divise, ma la novità di Syriza è rappresentata dall'aver saputo supplire ai vuoti della rappresentanza politica attraverso la costruzione di esperienze concrete di welfare dal basso. Quest'attenzione alla dimensione sociale ha creato una crescente adesione anche di ceti sociali moderati e si è tradotta in un programma di governo che mette ai primi posti interventi sulle condizioni di vita della parte più povera della popolazione: la reintroduzione della tredicesima mensilità per i pensionati, il ripristino dei contratti collettivi di lavoro, l'abolizione delle leggi che hanno consentito i licenziamenti, i buoni pasto, l'elettricità gratuita per le 300.000 famiglie più povere, gli affitti sociali a 3 euro il metro quadro per i senza casa. Insomma, per il nuovo governo, che sarà di coalizione, la priorità sarà mettere la gente di nuovo in condizione di vivere dignitosamente. E su questo si misurerà la capacità del giovane leader di mantenere e consolidare il consenso. Più complessa la questione del debito sovrano e del rapporto con l'Europa. Dei 330 miliardi di euro complessivi del debito greco, il 72% sono in mano ad istituzioni pubbliche non greche (official loans): di questi il 60% è in capo all'EU attraverso i suoi fondi ESF e EMS (il fondo salva-stati), il 12% è del FMI , l'8% è detenuto dalla BCE, il 5% sono altri prestiti il restante 15% sono marketable debt cioè titoli di debito trattabili sul mercato secondario ( Il Sole 24 Ore, 11/12 2014). Insomma, la quota maggioritaria del debito è nelle mani dell'Unione Europea e delle istituzioni finanziarie sovranazionali. Ciò rappresenta al tempo stesso un vantaggio, perché non sono nella partita i grandi fondi speculativi internazionali che furono all'origine della crisi, ma uno handicap perché qualunque operazione di riduzione del debito greco dovrà essere pagata dagli altri paesi europei, compresi Spagna; Francia ed Italia. Solo per rendersi conto della differenza, nel 2014 la percentuale del nostro debito pubblico (che ammonta a 2.089 miliardi di euro) detenuta da non italiani è del 30,5%. Ciò rende l'Italia meno esposta alla speculazione internazionale, ma al tempo stesso costituisce uno dei motivi che ne fanno un paese ormai da anni bloccato dall'assenza di sviluppo e dalla presenza di un risparmio finanziario alto, ma che resta congelato e non produce alcun effetto benefico sull'economia reale. Tornando alla Grecia, la rapidità con cui si sta formando il governo Tsipras consentirà già nei prossimi giorni di capire l'evoluzione del confronto con le istituzioni europee ma anche con gli altri stati membri dell'area mediterranea e, naturalmente, con la Germania. Nulla è scontato, ma la partita si presenta comunque di grande interesse, anche se resto convinto che peseranno più le conseguenze politiche che quelle finanziarie, dato il limitato peso relativo di Atene nel sistema economico dei 19 paesi dell'area euro. Anche in questa bella giornata, tuttavia, una nube nera turba l'azzurro del cielo sopra il Partenone: Alba Dorata, il partito neonaziasta, pur non crescendo in voti e perdendo un seggio, diventa la terza forza politica greca. E' un brutto segno; attenzione a non sottovalutarlo nella comprensibile soddisfazione di queste ore.
Franco Garufi
Oggi Atene, a maggio Londra e a fine anno Madrid
Bruxelles guarda con il fiato sospeso al calendario dei principali appuntamenti elettorali del 2015, dopo la vittoria alle elezioni greche di Syriza. Alexis Tsipras, leader del partito della sinistra anti-austerità, fiero oppositore delle politiche volute da Angela Merkel, ha già avvertito che non rispetterà gli impegni con la Troika Ue-Bce-Fmi, allarmando l'Europa. La vittoria di Syriza genera preoccupazione tra i fautori del rigore, preoccupati dal fatto che la sinistra greca possa mandare Atene al fallimento e farla uscire dall'Eurozona. Ipotesi smentita dallo stesso Tsipras, che pensa che si possa arrivare ad un accordo anche senza l'odiato Memorandum, dopo l'apertura mostrata dalla Bce per un acquisto 'condizionatò dei titoli greci.
Dopo Atene l'Unione europea sarà di nuovo sulle montagne russe il 7 maggio, con le elezioni generali in Gran Bretagna. Sebbene il risultato elettorale si annunci «imprevedibile», come sottolineano da più parti numerosi osservatori, il partito euroscettico guidato da Nigel Farage, che ha fatto di immigrazione e uscita dall'Unione il suo cavallo di battaglia, punta a fare man bassa di seggi, marciando alla conquista di Westminster. Una presenza massiccia di rappresentanti dell'Ukip in Parlamento potrebbe accelerare, o comunque dare un segnale sulla cosiddetta «Brexit», ovvero l'uscita della Gran Bretagna dell'Unione europea, ipotesi che il premier conservatore David Cameron ha promesso comunque di verificare con un referendum nel 2017, in caso di rielezione.
A dicembre, a tenere col fiato sospeso, saranno infine le elezioni in Spagna, dove i sondaggi vedono in testa gli 'indignatì del ciclone Podemos, guidati da Pablo Iglesias, che vogliono spazzar via l'alternativa socialisti-popolari. Il partito che si sta già affermando come principale alternativa al governo conservatore di Mariano Rajoy (e anche ai socialisti), si è rafforzato dopo l'esplosione di alcuni casi di corruzione che hanno visto coinvolti, come in passato i socialisti, diversi esponenti del Partido popular. Come Syriza, Podemos fa parte del Gruppo della Sinistra unitaria europea (Gue-Ngl) al Parlamento di Strasburgo, e si contrappone all'ordine liberale che forma l'ossatura dell'Unione europea, così come l'abbiamo conosciuta fino ad oggi. Il partito di Iglesias, che idealmente forma già un asse con quello di Tsipras, è infatti favorevole a nazionalizzare i settori strategici dell'economia, contro la liberalizzazione del mercato del lavoro fatta in Spagna sia tanto dal socialista Zapatero quanto dal popolare Rajoy.
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