L’autunno, l’inverno e due nemici che si amano
Se in un romanzo ci sono due gatti che si chiamano Franny e Zooey e una citazione da Yehoshua Kenaz, uno degli autori israeliani di punta – pubblicato meritoriamente in Italia da Giuntina – ebbene quel romanzo merita di essere letto. È “Borderlife” (373 pagine, 16.90), scritto da Dorit Rabinyan, tradotto da Elena Loewenthal, edito da Longanesi; un altro titolo possibile? “Nemici. Una storia d’amore”, come un vecchio romanzo di Isaac Singer.
Spogliando il libro della Rabinyan dell’aura di caso internazionale, che ha ricevuto elogi da grandissime firme ed è stato pressoché censurato in patria nelle scuole superiori, sfrondandolo da ogni polemica (gli attacchi all’autrice sono arrivati dall’estrema destra e dall’estrema sinistra, in Israele…) o dalla banale idea di una semplice provocazione, resta un volume che è contemporaneamente una storia d’amore (in parte ispirata a un’esperienza personale dell’autrice) e un romanzo politico, in un dosaggio sapiente, senza che nessuna delle due anime prevalga sull’altra.
C’è un confine che separa due innamorati in un autunno e in un inverno newyorchese all’inizio del terzo millennio, l’estate – vissuta nelle rispettive terre d’origini – li allontanerà. L’israeliana Liat e il palestinese Hilmi si scoprono anime gemelle, figli delle stesse latitudini, ma sanno che la loro storia ha una data di… scadenza. È un amore impossibile, destinato forzatamente all’epilogo perché l’isrealiana Liat, traduttrice di Tel Aviv e il palestinese Hilmi, pittore di Ramallah, vengono da due mondi diversi che, quando non si odiano, si guardano in cagnesco, immersi come sono in una guerra infinita: sono simili, i due innamorati, e si riconoscono nell’algida Grande Mela, si vivono appassionatamente, fanno i conti con i pregiudizi, vivono sulla pelle gli stereotipi e certi ricordi che sembrano allontanarli, e resistono fin quando possono. È un amore a tempo («un amore arabo segreto» per Liat, che Hilmi chiama Bazi), sanno che non avrà seguito quando torneranno nelle loro terre e nell’ambito delle rispettive famiglie, specie quando finiranno i mesi della borsa di studio di Liat. Anche se il finale non è pervaso di speranza, tutt’altro, c’è una frase di Hilmi che dà la misura, poetica e politica, del romanzo: «Un giorno il mare sarà di tutti e impareremo a nuotarci insieme».
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