L'assalto dei boss agli imprenditori stroncati dalla crisi
Sono oltre 150 al mese le interdittive antimafia emanate dalle prefetture italiane nei confronti di altrettante imprese nel 2020, con un aumento del 25 per cento rispetto a quelle, già in crescita, dello scorso anno, e più che raddoppiate rispetto al trend del periodo 2014-2019. Questi numeri, aggiornati a fine settembre, indicano come l’assalto delle mafie all’economia legale e ai flussi di denaro pubblico degli aiuti di Stato è un dato certo, una conferma a quanto temuto dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese già all’inizio della crisi economica derivante dal lungo lockdown primaverile. Le mafie, approfittando delle criticità delle imprese per via dell’emergenza Covid, “offrono” il loro “aiuto” non solo alle aziende, ma anche a esercizi commerciali e famiglie in difficoltà, in attesa di potersi accaparrare parte dei fondi pubblici del Recovery fund. Per cercare di evitare l’infiltrazione criminale nell’economia legale, l’intervento tempestivo delle prefetture si serve di questo strumento cautelare e preventivo, appunto l’interdittiva antimafia, che impedisce alle aziende di partecipare ad appalti pubblici e di avere rapporti con la pubblica amministrazione, anche in assenza della contestazione di un reato. Un procedimento che permette di abbattere i tempi lunghi delle indagini aperte sull’infiltrazione delle mafie nell’economia che, come riporta il quotidiano Repubblica, sono oltre tremila. A conferma del rischio concreto dell’interesse delle mafie per i fondi pubblici basti pensare che il numero delle interdittive emesse dalle prefetture dall’inizio dell’anno, per un totale di 1400, ha avuto una forte impennata negli ultimi quattro mesi, in seguito all’afflusso degli aiuti finanziari alle aziende da parte del governo. Il prefetto di Napoli, Marco Valentini, ha firmato ben 35 interdittive in meno di due mesi, le ultime 19 in blocco la scorsa settimana. A Foggia ne sono state emesse 30 negli ultimi sei mesi, 9 anche a Firenze.
I settori più a rischio sono quello turistico-alberghiero, della ristorazione, dell’agroalimentare, della grande distribuzione, dell’edilizia. A questi si è aggiunta la sanità privata, dove la criminalità organizzata cerca di inserirsi nella produzione di attrezzature sanitarie, dei dispositivi di protezione, dei farmaci e perfino dei vaccini. Per quanto riguarda, invece, la distribuzione geografica delle interdittive, il maggior numero si registra nelle regioni a tradizionale insediamento mafioso, quali Calabria, Campania e Sicilia, dove il “welfare criminale” ha da sempre rappresentato una stampella per l’economia locale. Seguono Emilia Romagna e Lombardia, le regioni più ricche del Paese e dunque le più appetibili per i clan. Ciò dimostra come anche il tessuto imprenditoriale sano del Nord è permeabile alle lusinghe delle organizzazioni criminali, come del resto ne sembrano ormai convinti anche gli investigatori.
Come indicato da Repubblica, indice dell’infiltrazione mafiosa nell’economia legale è anche quello dell’aumento dell’autoriciclaggio: in un periodo in cui tutti i reati - compresi quelli finanziari, fallimentari e societari - hanno subito un netto calo a causa del lockdown, il lavaggio di soldi sporchi è aumentato del 25 percento.
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