L’assalto a Capitol Hill nell’America di Trump, così prevale l'odio

Politica | 9 gennaio 2021
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Sull’assalto al Campidoglio di Washington di mercoledì 6 gennaio da parte degli squadristi trumpiani – atto eversivo destinato ad avere spazio di rilievo nei libri di storia – si è detto e scritto tutto. Chi semina vento raccoglie tempesta. Sono più di quattro anni che – anche su queste pagine – scriviamo che Donald Trump è stato il peggiore Presidente degli Stati Uniti. Un narcisista patologico incontrollabile, un mentitore seriale che si costruisce le sue bugie, finisce per credervi egli stesso, le instilla agli altri. Un pericolo pubblico.

Ora – bandierine senza dignità – anche i politici di destra italiani con piroette da clown, balbettante ipocrisia, doppiezza e imbarazzo – provano a prendere le distanze da “The Donald”. Fino a ieri hanno stravisto per lui e ne hanno fatto un modello da seguire ed ammirare. I quotidiani di destra italiani, maestri di titoli violenti e ad effetto, per quattro e passa anni hanno tifato senza ritegno e discernimento critico per Trump. Ora provano a rifarsi una verginità: forse hanno finalmente capito di chi si erano innamorati. Si sono resi conto di quanto valeva l’ennesimo “uomo della provvidenza” che periodicamente sale alla ribalta e riavvolge all’indietro il nastro della storia, fa fare un gran passo indietro che ritarda ed inverte di decenni l’avanzata e la stabilità di conquiste non scontate, che vanno sempre difese. Si chiamano progresso civile, diritti, democrazia. Pentimento o tatticismo che sia, il “ripensamento” su figure tanto impresentabili giunge comunque in ritardo e sa tanto di faticosa ammissione di aver puntato su un cavallo mille volte sbagliato. Come anche un bambino avrebbe intuito già ai tempi della campagna elettorale del 2016 vinta da Trump. Solo ora tanti sepolcri imbiancati l’hanno finalmente capito.

A proposito di commenti e prese di posizione sugli avvenimenti di Washington, non ci hanno per niente impressionato le parole del Presidente del Consiglio italiano e del Ministro degli Affari Esteri italiano. Timide e generiche, omertose a proposito delle responsabilità politiche e personali di Trump nella vicenda. Ben più esplicite e coraggiose, al contrario e a dimostrazione di stature politiche ben diverse, quelle da Berlino della Cancelliere tedesca e del suo Ministro degli Esteri così come del Presidente francese.

Ma torniamo ai fatti di Washington, alla profanazione di uno dei più antichi templi della democrazia mondiale, ai cinque morti ed alla trentina di feriti fra dimostranti e (inefficace ed arrendevole) polizia. I fatti dimostrano che nel 2020 e 2021 il Presidente in carica degli Stati Uniti – come un dittatore alla Lukashenko in Bielorussia o un dittatore in decine di instabili repubblichette africane o sudamericane – si è persino inventato nel suo paese (democrazia dalla fine del ‘700) brogli elettorali inesistenti. Gli Stati Uniti che bacchettano da decenni se non secoli il mondo sciacquandosi la bocca con la difesa della democrazia e dei diritti umani – al punto di usarli come strumenti della loro ingerenza in altri paesi – sono stati ridotti dal popolo di Trump a repubblica delle banane. Dove facinorosi, esaltati, supporter, uomini armati assaltano il Congresso. Ossia il Parlamento federale. Chissà come si saranno sbellicati dalle risate il dittatore cinese Xi Jinping, il dittatore russo Vladimir Putin, il dittatore nordcoreano Kim Jong-un a vedere quelle scene alla tv. Persino Erdogan dalla Turchia si è sentito in dovere – lui! – di scrivere l’ormai irrinunciabile tweet di prassi per ammonire che così non si fa. Patetico vedere gli Stati Uniti ridotti a questo livello di scadimento.

Nel secolo scorso gli “ismi” (comunismo, fascismo, nazismo) hanno purtroppo avuto origine nel continente europeo. Nel Ventunesimo secolo sarebbe opportuno che l’Unione Europea e il Regno Unito – comunque ben più affidabili degli Usa di Trump in termini di civiltà, diritti, democrazia – così come fecero gli americani nella Seconda guerra mondiale contro nazismo e fascismo e poi con il Piano Marshall – “aiutino” gli Stati Uniti a liberarsi dai loro demoni e dall’eredità del trumpismo. Suprematisti bianchi, neonazisti, gruppi che vagheggiano una seconda Guerra civile di Secessione, estremisti, negazionisti, miliziani, gruppi armati, populisti, sovranisti, razzisti, simpatizzanti del Ku Klux Klan, personaggi con le rotelle palesemente fuori posto ma influentissimi sui social: eccoli le schiere ma anche gli epigoni e gli eredi di Donald Trump. Sapientemente caricati dalle dichiarazioni, dalle prese di posizione, dai comizi del loro impresentabile Presidente. Un Presidente – va sottolineato – che non ha mai saputo parlare all’intero paese ma solo ai suoi scherani.

Consentiteci una autocitazione. Nel 2018 avevamo scritto in un libro, pubblicato l’anno successivo: “Politica del Presidente degli Stati Uniti sull’immigrazione. Si separano i figli bambini dai genitori che tentano di entrare illegalmente negli Usa. Si segregano i bambini in gabbie, come animali in uno zoo. Chiamiamo le cose con il loro nome: non vi pare che questa condotta dell’Amministrazione Trump sia nazismo?”. Per oltre due anni ci siamo chiesti se con quell’aggettivo – “nazista” – non avevamo forse ecceduto. Ebbene, quanto accaduto il 6 gennaio a Washington conferma che con Trump l’America è scivolata in una china autoritaria e violenta, aggressiva e razzista in modo definitivo dopo tanti segnali che avevano preceduto quell’assalto. In un disordine internazionale in cui direzioni di marcia ed alleanze si scompongono in una liquidità permanente rimane una sola certezza: esistono solo due gruppi di paesi. Due scelte di campo. Due sistemi politici statuali. Da una parte i paesi democratici. Gruppo al quale apparteniamo e dobbiamo continuare ad appartenere, che ha il suo riferimento nei principi dell’Unione Europea e nel Regno Unito, fresco fuoriuscito dalla UE. Stecca la presenza degli attuali leader di Ungheria e Polonia ma i principi comuni restano saldi. Del gruppi fanno parte anche il Giappone ed altri paesi asiatici e dell’Oceania. Più sparuta la rappresentanza in America latina dove comunque esistono democrazie. Anche il Canada fa parte del gruppo. Dall’altra parte stanno i paesi autocratici. I paesi autocratici sono tutti quelli – dalla Cina alla Russia, dagli Stati Uniti di Trump alla Turchia, dall’Iran alla Corea del Nord, dall’Egitto all’Arabia Saudita e l’elenco potrebbe continuare, è lunghissimo – nei quali chi è al timone, anche se più o meno regolarmente eletto, è un leader autoritario, non genuinamente democratico. Un leader che con la sua asservita corte persegue una politica di potenza aggressiva e debordante nella sua sfera di influenza geografica e nell’area del vicinato, punta ad un riarmo sfrenato, quasi sempre si dota o si vorrebbe dotare di armamento nucleare, sconosce in politica interna diritti umani, libertà di stampa, rispetto delle minoranze, politiche di inclusione per gli immigrati. La democrazia è di tutt’altra specie, di tutt’altra pasta.

A Joe Biden il compito arduo di ripristinare negli Usa regole democratiche essenziali. E riunificare un paese spaccato, incattivito, dove “ognuno è qualcuno da odiare - di cui Trump è stato lo psicopatico regista - per parafrasare e negativizzare l’espressione ricorrente nel mondo cattolico “ognuno è qualcuno da amare”.

Gli Stati Uniti non abiureranno mai al loro ruolo di superpotenza globale. Non desisteranno dalla loro attuale rotta di collisione con la Cina che li sta sorpassando. Ma, almeno in politica interna, che tornino ad essere un riferimento per importanti ideali, per principi democratici. Tornino ad essere quella democrazia che – pur con tutte le sue contraddizioni, i difetti sociali, le marcate disuguaglianze economiche e razziali – fino al 2016 conoscevamo. Con la quale gli altri paesi, a partire dagli alleati storici, potevano dialogare. Dialogo e cooperazione pur nella consapevolezza della posizione sempre dominante degli Usa in qualsiasi colloquio. Una sorta di ingombrante elefante sempre pronto a caricare, d’accordo. Ma almeno una grande nazione di riferimento nel non troppo affollato club dei sistemi democratici e non un paese nel quale i sostenitori del presidente uscente, che si è fatto un film tutto suo sulla sconfitta elettorale subita, hanno ridotto il Parlamento ad un “bivacco di manipoli”.

Quello che sconcerta è che probabilmente se nel 2020 non avesse fatto la sua devastante irruzione il Covid, sul quale Trump ha commesso tutti gli errori e le sottovalutazioni possibili, “The Donald” avrebbe finito per succedere a se stesso con il secondo mandato. Sono in molti osservatori ad esserne convinti. A dimostrazione di come la cosiddetta “pancia del paese” sia stata talmente catechizzata e insieme intercettata da aver stabilito un legame diretto, ben poco mediato dalle istituzioni, con il suo osannato quanto pericoloso capopopolo.

 di Pino Scorciapino

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