L’amore bugiardo di Fincher

Cultura | 2 gennaio 2015
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L’amore bugiardo (2014) di David Fincher. Di dark ladies la letteratura mondiale abbonda e di conseguenza il cinema che con la pagina scritta ha sempre avuto, fin dai primordi, un rapporto strettissimo, quasi consustanziale. Si pensi tra tutte, tanto per restare in Italia, alla diabolica Irene ( straordinaria interpretazione di Dominique Sanda, miglior interpretazione femminile a Cannes nel 1976) de “L’eredità Ferramonti” dal romanzo del dimenticato verista Gaetano Carlo Chelli trasposto in film nel 1976 da un ispirato Bolognini, che s’ingegna a rendere la protagonista ancor più rapace e malvagia di quanto non sia nel racconto di Chelli, quasi un eroina nicciana al di la del bene e del male, alla fine però castigata dalla “giustizia” trionfante di quelle da lei sprezzantemente definite “rispettabili mediocrità”. Il cinema americano, poi, di anime nere è un vero e proprio santuario. Dalla Barbara Stenwich de La fiamma del peccato alla Sharon Stone di Basic Instinct l’impressionante rosario ne sciorina una vera e propria gragnola. Il fascino sinistro del male, spesso celato nelle persone più anonime e banali.                                                                 Così non è, tuttavia, per l’eclettico David Fincher, che spericola da Alien a Benjamin Button fino a Millennium e  Social Netwok, il quale ancora una volta non manca di sorprendere critica e spettatori attingendo abbondante materia di scandalo e preoccupazione da un osannato best-seller di Gilliam Flynn, per disegnare un ritratto a tutto tondo d’una “femmina folle” (il riferimento al film di John Stahl del 1945 non è casuale), che definire satanica accresce la malvagità del Signore delle tenebre, tanto l’incredibile scaltrezza paranoica della protagonista ne spinge le azioni oltre ogni umana pietas e moralità. Incarnazione del male non è, infatti, un’oscura casalinga d’una sperduta provincia americana bensì un’ eroina adorata da milioni di fans più o meno esagitati, l’apparentemente docile e dolcissima scrittrice di successo Amy la quale, mortalmente offesa nell’amor proprio, invece di rassegnarsi (dopo un travolgente incipit d’amour fou) al fallimento del proprio matrimonio (che tutti credono perfetto) con Nick, anch’egli docente e scrittore per quanto mediocre e pressoché sconosciuto, inscena al compimento del quinto anno di stiracchiata vita coniugale una misteriosa scomparsa, ma lasciandosi dietro una serie d’indizi (una vera e propria “caccia al tesoro”, favorendo artatamente la polizia) che fanno credere ad un efferato omicidio compiuto dal maldestro e fedifrago marito, ora odiato.                                                                                   Disseminato di colpi di scena (sono fuori dal comune le capacità della paranoica ma straordinariamente lucida Amy che, compiendo un feroce omicidio e fingendo un rapimento, riesce a trasformare l’apparente disfatta - alla quale sul finire sembra destinata - nel totale trionfo del male) il pur affascinante film di Fincher pare sgorgare da una sorta di puzzle, di  pot-pourri di opere precedenti, un intrigante mélange, un collage di déjà-vu, al centro del quale ad accendere la scintilla della vendetta si trova il motivo più stucchevole e banale, ovvero l’esistenza d’una giuliva amante-allieva del marito, giovane e mediamente cretina (altro immancabile stereotipo). Poi, mentre impazza il colpevolista “grande carnevale” dei media (Billy Wilder docet) orchestrato dall’eccitata conduttrice d’un programma televisivo in cerca di sensazionalismi, dopo aver seguito le tribolazioni di Nick (prima soltanto sospettato e poi accusato dell’omicidio della moglie) nella seconda parte il racconto si sposta sulla nuova vita di Amy  (hitchcockiana donna che visse due volte) rivelandone passo dopo passo il mefistofelico piano per incastrare il marito, tampinandone le mosse successive alla scomparsa (in sovraimpressione appare più volte il numero delle ore poi dei giorni successivi alla sparizione).                                                                                                               Nel pirandelliano carnevale della vita dove tutti mentono e tutti fingono di amarsi, mentre covano in realtà non appalesabile odio profondo e inestinguibile, il thriller di Fincher chiude con la più sconfortante delle conclusioni: il clamoroso fallimento della giustizia umana e quello del rapporto di coppia, simboleggiato da un matrimonio trasformatosi ormai in un incubo senza fine.      Interpreti: Rosamund Pike - Ben Affleck - Missi Pyle - Sela Ward - Neil Patrick Harris - Scoot McNairy - Carrie Coon - Boyd Holbrook - Emily Ratajkowski - Kim Dickens - Tyler Perry - Patrick Fugit - Lee Norris - Kathleen Rose Perkins - Casey Wilson.


Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e libertà (2014) di Ken Loach. Non si arresta la vena creativa del quasi ottantenne Ken Loach, da sempre cantore della classe operaia britannica, strenuo difensore delle libertà democratiche e oppositore d’ogni forma di dispotismo pubblico e privato. Attraverso una lunga filmografia a partire dagli scioccanti “Por Cow” (1967) e “Family Life” (1971) fino alle prove più recenti, il cinema di Loach ha sempre privilegiato la lotta per la libertà e la piena affermazione dell’individuo, anche quando questi temi sembrano celati dalla forma commedia, come nel recente e divertente “La parte degli angeli” (2013) - singolare riscatto sociale d’un piccolo spaccato di umili ed emarginati - che ne rivela l’eclettismo artistico ed al contempo la rara e preziosa coerenza ideologica e morale. Con “Jimmy’s Hall - Una storia d’amore e libertà” Loach torna (dopo “Il vento che accarezza l’erba”, 2005) in una Irlanda apparentemente pacificata degli anni ‘20 post guerra civile tra indipendentisti e repubblicani (dopo che questi ultimi avevano accolto il trattato imposto dalla Gran Bretagna). Personaggio chiave il “ribelle” Jimmy Gralton, tornato dopo dieci anni di esilio, assurto a simbolo strenuamente combattivo d’opposizione contro i ricchi proprietari terrieri e il pericoloso bigottismo della potente Chiesa cattolica, alla fine clamorosamente e vergognosamente espulso dal suo paese (nel quale non tornerà mai più) senza processo. Autodidatta, allevato da una madre colta e tollerante, con Jimmy Gralton e l’allegra sala da ballo da lui ricostruita - da subito divenuta altresì centro di aggregazione culturale e di libero confronto di idee e progetti, non tollerabile nel clima di totale chiusura e di continua repressione delle legittime istanze delle classi meno abbienti - Loach ha impartito senza alcuna iattanza, con il suo stile denso e asciutto, una lezione di storia, riesumando opportunamente una microstoria dimenticata che insegna quanto sia stato faticoso e tormentato il cammino verso l’affermazione dell’emancipazione del mondo (laddove questa si è realizzata) da ogni brutale o subdola forma di tirannide.                                                                                                                                    Interpreti: Barry Ward - Simone Kirby - Andrew Scott - Jim Norton - Brían F. O'Byrne - Francis Magee - Seamus Hughes - Karl Geary - Sorcha Fox - Denise Gough - Martin Lucey - Aisling Franciosi - Seán T. Ó Meallaigh

      

 di Franco La Magna

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