L'alternativa grillina riempie i vuoti dello sfacelo Pd

Politica | 16 giugno 2015
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Anche Venezia, dopo la Liguria, è persa; Felice Casson, candidato sindaco del centro sinistra , è stato sconfitto dall'imprenditore  Brugnaro  rappresentante di una coalizione tra centrodestra, Lega e liste civiche. Matera ed Arezzo vanno al centro destra,  Mantova, Lecco e Trani al centrosinistra  I dati dell'affluenza mostrano un calo di circa quindici punti rispetto al primo turno, con una percentuale ormai inferiore al 50%. I ballottaggi confermano e rendono più chiare le tendenze emerse il 31 maggio. Resta, inoltre, ancora da comprendere ciò che succederà in Campania in seguito all'elezione di Vincenzo De Luca, soggetto ai rigori della legge Severino.  L'attenzione nei prossimi giorni tornerà a concentrarsi sulle conseguenze del voto per  le sorti del governo Renzi e per lo scontro interno al PD.   Nel frattempo, l'atteggiamento ingiustificabile delle regioni gestite dal centrodestra sta facendo emergere per intero le difficoltà italiane riguardo alla vicenda degli immigrati e lo squagliamento politico dell'Unione Europea che si rivela incapace di affrontare un'emergenza ogni giorno più grave. L'Italia sembra improvvisamente ri-precipitata in un clima di polemica politica accesa, mentre appare sempre più evidente il “riposizionamento” di qualche grande quotidiano nei confronti del giovane presidente del Consiglio. Quanto è avvenuto in sette regioni, in aree metropolitane come Venezia,  in una ventina di comuni capoluogo sparsi per l'Italia e in cinquantatré comuni siciliani peserà in modo significativo nelle scelte  che il Governo nazionale sarà chiamato a fare nelle prossime settimane; ma anche in Sicilia le ripercussioni si faranno sentire e peseranno anche sulle prospettive del governo regionale. Parto dall'isola che ha  subito anch'essa una netta flessione della di votanti: nei due capoluoghi chiamati alle urne, gli esiti sono diversi. Ad Agrigento, la confusa vicenda delle primarie del centro sinistra ha reso scorrevole già al primo turno la strada all'ex sindaco di Porto Empedocle e deputato regionale dell'Ud Lello Firetto. Il mancato trascinamento delle liste, che comporta  la modifica di fatto della platea elettorale ha prodotto risultati inattesi al secondo turno. La sorpresa più eclatante è arrivata dalla patria di Crocetta, dove il sindaco uscente  Angelo Fasulo è stato battuto dal candidato del M5S Domenico Messinese; medesima la situazione ad Augusta dove la “grillina” Maria Concetta di Pietro è diventata sindaco.  In qualche comune minore, ad esempio Pietraperzia il candidato pentastellato era stato eletto sindaco già al primo turno. L'isola conferma dunque il trend di consolidamento del movimento di Beppe Grillo che, come vedremo, ha caratterizzato questo turno elettorale.

In Sicilia volge al tramonto l'epoca dei maggiorenti che hanno fatto la storia di un pezzo della sinistra ed in particolare del PD. La sconfitta di Mirello Crisafulli ad Enna va aldilà delle cause che l'hanno determinata, soprattutto  per il valore simbolico assunto da una candidatura tenacemente ricercata e per lo schieramento trasversale che si è creato nel capoluogo della Sicilia interna per contrastare quella che sembrava una consolidata egemonia politica.  I ballottaggi nell'isola non lasciano adito a dubbi: vincono i grillini che confermano l'incremento dei processi di radicamento nel territorio. Clamoroso il risultato di Gela, dove lo scontro ha chiamato in causa direttamente Rosario Crocetta, ex sindaco della città ed attuale presidente della Regione.  Se si astrae da questi tre fatti eccezionali, i Democratici in Sicilia non hanno ragione di lamentarsi con i successi di Alberto Di Girolamo a Marsala e di Calanna a Bronte, nel regno dell'ex senatore Firrarrello e del sottosegretario Castiglione. Negli altri comuni, specie in quelli minori, hanno prevalso candidati legati a liste civiche locali, in diversi casi con la presenza attiva del PD. Il Movimento Cinque Stelle governa ora un capoluogo di provincia e alcuni importanti centri con popolazione superiore a cinquantamila abitanti: frutto di iniziativa politica, ma anche verosimilmente della crisi di fiducia dell'elettorato nelle forze politiche  tradizionali.

 

 

 

 Il PD ha vinto dove si è presentato unito e ha saputo costruire alleanze larghe, come a Carini con Giovì Monteleone e a Villabate con l'ex presidente della Corte d'Appello di  Palermo Vincenzo Oliveri.   Il centro destra va indietro, ma, a differenza del resto d'Italia, non si sono ribaltati i suoi equilibri interni: le incursioni di  Matteo Salvini in diversi comuni siciliani, sempre fortemente contestate, non  hanno perciò prodotto i frutti sperati. Per tentare di individuare le tendenze di fondo che emergono dal dato elettorale delle regionali, faccio riferimento alle analisi formulate da alcuni centri di ricerca all'indomani del 31 maggio.  Innanzitutto il peso dell'astensionismo: ha votato il 53,90%  rispetto al 64,13% del 2010. Si tratta di un dato omogeneo in tutte le regioni che ha una componente strutturale relativa all' insoddisfazione per l'offerta politica presente e una di carattere congiunturale connessa a diverse ragioni, tra cui soprattutto la preoccupazione per l'assenza di risposte valide al perdurare della crisi economica.  La disaffezione al voto è un fenomeno da anni in crescita (vedi Roberto D'Alimonte), ma è risultata particolarmente accentuata dal clima di scontro che ha caratterizzato la campagna elettorale, non ultima l'esplosione della questione degli “impresentabili” e la crescente ostilità di massa verso provvedimenti legislativi come la riforma della scuola. Non a caso, in Umbria e in Campania la distanza in termini di voti assoluti tra il presidente eletto e il miglior perdente si è drasticamente accorciata. La seconda considerazione è che tutti i partiti hanno perso voti (anche considerando il ruolo di liste civiche e liste “del presidente”), con l'eccezione della Lega Nord.  L'Istituto Cattaneo di Bologna ha fatto- a tal proposito- un raffronto tra i voti ottenuti dai quattro principali partiti (PD, Lega, M5S, FI) rispetto alle Politiche del 2013 ed alle Europee del 2014.  Il PD ha perso in tutto 2.143.003 sul 2014 e 1.083.557 sul 2013. Il M5S cala di 1.956.613 rispetto al 2013 e di 893.441 sul 2014; FI cede sul 2013 1.929.827 voti e sul 2014 840.148. La Lega è l'unica  in controtendenza e   guadagna 402.584 voti rispetto a due anni fa e 256.803 sull'anno scorso, prendendo voti non solo a FI, ma anche al PD e al M5S. In conclusione, a me pare che tre siano le indicazioni che, al netto delle polemiche politiche di giornata, è possibile trarre da queste sulla elezioni. La prima: è finita la luna di miele di  Matteo Renzi con il suo elettorato. Il  presidente-segretario ha aperto troppi fronti e i casi della  Liguria e di Venezia rappresentano un serio segnale d'allarme che farebbe bene a non sottovalutare. L'armistizio con le minoranze concluso nell'ultima  Direzione del PD, all'indomani del primo turno elettorale,  non riesce a celare il permanere di opzioni diverse sulla fase e che la logica dei regolamenti dei conti finirebbe per fare precipitare la situazione. La seconda considerazione è che i Cinque Stelle  si sono ormai radicati nel territorio, trasformandosi da movimento in forza politica organizzata. Resta difficile definire le caratteristiche e le connotazioni valoriali di un movimento dichiaratamente post ideologico; ciò rende complicato predire come si muoveranno gli eletti nelle istituzioni regionali e locali. Infine, il centrodestra si avvia verso un  periodo estremamente travagliato, nel corso del quale il tramonto di Berlusconi (che non sarà frenato dal “miracolato” Toti) correrà in parallelo con l'ascesa di Salvini. Il pericolo è che la proposta di cui è portatore l'erede di Bossi sposti  su posizioni radicalmente“lepeniste” quello schieramento politico; altro che “destra repubblicana”, come si è in passato auspicato negli ambienti conservatori. Se l'offerta politica italiano si strutturerà in un partito “personale”come rischia di diventare il Pd renziano e in due poli antisistema assai confusi sul terreno delle idee e dei valori e connotati solo dai “No” (all'euro, agli immigrati, e così via ), la democrazia italiana correrà il pericolo di isterilirsi.  Alfredo Reichlin, novantenne erede della tradizione del Pci ha scritto ne “La mia Italia”  (  libro che affronta in termini coraggiosamente critici anche  le contraddizioni e i limiti del partito e del suo gruppo dirigente)  che la questione cruciale oggi “è cos'è e a cosa serve un partito in un momento della storia il cui interrogativo centrale è come si ricostruisce una società che non si riduca esclusivamente ad una somma di individui”. Tale è la dimensione dei problemi che abbiamo di fronte e che la sinistra italiana ed europea non sembrano capaci di affrontare. Non ho l'impressione che iniziative come quella di “Coalizione sociale” siano destinate a modificare la situazione: non si vedono alle porte né Syriza (le percentuali dei voti delle liste che in Liguria hanno appoggiato Pastorino lo testimoniano) né Podemos (che nello scorso fine settimana ha visto insediarsi le nuove sindachesse di Madrid e Barcellona), esperienze di massa che nascono entrambe non dalla sommatoria tra gruppi dirigenti ma dalla diffusione di processi reali dal basso. Il tema di una sinistra capace di governare l'Italia in una prospettiva europea di crescita e di ampliamento della democrazia e dei diritti sociali e civili è ancora tutto da svolgere. In mancanza di una prospettiva soddisfacente la gente, per parafrasare un'espressione resa famosa  nel 1989 nei giorni finali della Germania dell'Est, “vota con i piedi”; cioè- nel caso italiano- sceglie di non partecipare alle elezioni perché non ha più fiducia nella capacità della politica di risolvere i problemi reali. Sono i sintomi più gravi della crisi che rischia di  fare della democrazia  un vuoto simulacro, con gli immensi rischi che ne conseguirebbero.

 di Franco Garufi

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