L’allarme della Dna: totale compenetrazione tra Is e Mafie

Società | 3 marzo 2016
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 È «totale la compenetrazione tra il terrorismo internazionale e le mafie»: le indagini finora svolte sulle attività dello Stato Islamico e dei suoi affiliati nel nostro Paese «confermano l'intreccio tra criminalità organizzata di tipo mafioso e terrorismo internazionale». Il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, che oggi con la presidente della Commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi ha presentato la Relazione annuale sulle attività svolte dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, parla senza possibilità di fraintendimenti: l'Is «è uno Stato-mafia, perchè, assieme al radicalismo ideologico e alla violenza terroristica, esprime anche imprenditorialità criminale e dominio territoriale con proiezioni transnazionali». Di qui non solo l'ammissione che in Italia «il pericolo terrorismo è elevato», ma anche l'importanza di analizzare operazioni finanziarie sospette e rafforzare la cooperazione internazionale.  «Bisogna stabilizzare la situazione in Siria e pacificare la Libia, altrimenti la questione migranti non si risolverà mai», aggiunge Roberti. La Dna suggerisce anche di estendere la misura della sorveglianza speciale a coloro che dichiarano pubblicamente, su internet, la loro adesione ai proclami fondamentalisti, di apologia del «Califfato» e di incitamento all'esecuzione di atti di terrorismo.  Roberti si sofferma poi sul traffico di droga, «il problema dei problemi, prima fonte di profitto e di riciclaggio». «Servono operazioni sotto copertura e i gestori di telefonia devono aprire sedi legali in Italia: tutto questo aiuterebbe l'azione di contrasto, soprattutto rispetto allo spaccio di droga che muove nel mondo 560 miliardi di dollari, in Italia 35-40 miliardi l'anno», sostiene il procuratore.  Altra richiesta avanzata, questa volta alla politica, è di «inserire la corruzione come aggravante del reato di associazione di tipo mafioso (416 bis) quando si evidenzi che l'associazione mafiosa utilizzi la corruzione come modalità di manifestazione della sua capacità di controllo». Una proposta, questa, a cui guardano con interesse diverse forze politiche: «va condivisa l'idea di prevedere un'aggravante al reato associativo del 416bis in sede di approvazione del testo unico di riforma al Senato», dice il senatore Pd Giuseppe Lumia, ed anche il senatore M5S Mario Michele Giarrusso chiede che il Parlamento «si muova immediatamente in tal senso». Per il Pd Davide Mattiello dal procuratore Roberti «sono arrivati forti stimoli alla politica perchè migliori gli strumenti a disposizione di chi fa le indagini».  La presidente della Commissione parlamentare antimafia, Rosy Bindi, coglie invece un'altra richiesta arrivata dalla Dia: ovvero che il reato di associazione mafiosa diventi come il terrorismo un reato contro lo Stato. «Le mafie rappresentano un vero e proprio attacco alla persona, allo Stato, alla democrazia», osserva Bindi. Mafie che, come rileva la Relazione della Dia, «oggi sparano meno ma sono sempre vitali e, soprattutto, fanno più affari di ieri».  «Sul piano, poi, della penetrazione negli apparati pubblici - spiega la relazione - un numero sempre crescente di amministratori (e fra queste quelli di città capoluogo di provincia e di grandi metropoli come Roma), magistrati, politici, sono risultati collusi. La penetrazione all'interno di appalti e servizi pubblici appare non solo aumentata quantitativamente, ma anche modificata qualitativamente. Ed infatti, sul piano della sua estensione il fenomeno nel corso del tempo, si sta allargando sempre più». Infine, da Bindi e Roberti, la richiesta che «il contrasto alle mafie diventi una priorità dello Stato», e un appello al Governo per risolvere i gravi problemi di organici, «soprattutto in Calabria». 


MIGLIORA COORDINAMENTO PIÙ INCHIESTE IN SICILIA 


Aumentano, nell'ultimo anno, le inchieste per associazione mafiosa in procedimenti contro noti (passate da 53 a 71), che hanno ribaltato il «trend» degli anni precedenti e sono state accompagnate dalla riduzione ancora più rilevante delle iscrizioni nei confronti di ignoti (da 29 a 2). Il dato emerge dalla relazione annuale della Direzione nazionale antimafia.  In notevole crescita anche le iscrizioni per reati con aggravante mafiosa, passate dalle 167 dello scorso anno alle 196 attuali (delle quali 89 riferite a noti e 107 ad ignoti). «Conseguenza diretta - scrive la Dna - del migliore coordinamento a livello giudiziario delle indagini è costituito dai numerosi arresti eseguiti per reati di mafia che hanno proseguito ed incrementato l'opera di disarticolazione dell'organizzazione e, soprattutto, stroncato sul nascere taluni segnalati tentativi di ricostituzione delle sue strutture di vertice». 


CATTURA MESSINA DENARO È PRIORITÀ ASSOLUTA ù


«Matteo Messina Denaro, storico latitante, capo indiscusso delle famiglie mafiose del trapanese, estende la propria influenza ben al di là dei territori indicati. Il suo arresto non può che costituire una priorità assoluta». Lo dice la Direzione nazionale antimafia nella sua annuale relazione. La Dna ritiene che, «nella situazione di difficoltà di Cosa Nostra, il venir meno anche di questo punto di riferimento, potrebbe costituire, anche in termini simbolici, così importanti in questi luoghi, un danno enorme per l'organizzazione».  In questo contesto «la cattura della totalità dei grandi latitanti di mafia palermitani - si legge nella relazione - ha certo costituito un segnale fortissimo della capacità dello Stato di opporsi a Cosa nostra demolendo il luogo comune della impunibilità di alcuni mafiosi e la conseguente loro autorevolezza e prestigio criminale; in ciò risiede la speciale importanza, a Palermo e in tutta la Sicilia occidentale, di tale attività investigativa».

 

BOSS SCARCERATI TORNANO AI VERTICI DEI CLAN 


L'organizzazione mafiosa Cosa nostra è forte e non si arrende, anche grazie al ritorno al potere degli scarcerati che vanno a sostituire i boss di grosso calibro, mantenendo comunque gli equilibri all'interno delle famiglie mafiose. Lo dice la Direzione nazionale antimafia nella sua relazione annuale, chiedendosi se «il legislatore non debba approntare, per le ipotesi accertate di reiterazione, un meccanismo sanzionatorio particolarmente rigoroso per escludere per un non breve periodo di tempo dal circuito criminale quegli appartenenti all'organizzazione mafiosa che dopo una prima condanna, tornino a delinquere reiterando in tal modo la capacità criminale propria e dell'organizzazione».  La Dna osserva, infatti, che Cosa nostra «ha attraversato e superato, sia pure non senza conseguenze sulla sua operatività, il difficile momento storico dovuto alla fruttuosa opera di contrasto dello Stato ed aver recuperato un suo equilibrio. Una tale pervicace ostinazione di Cosa Nostra impone che non vi sia alcun calo di tensione nella lotta al fenomeno mafioso e che l'azione di contrasto sia massimamente tempestiva e serrata. Il fattore tempo, in questa materia, ha una importanza determinante». 


COSA NOSTRA TENTA DI RICOSTRUIRE LA COMMISSIONE PALERMO 


«Le indagini su Cosa nostra dimostrano il continuo e costante tentativo di ristrutturare e fare risorgere le strutture centrali di governo dell'organizzazione criminale, in particolare la commissione provinciale di Cosa nostra di Palermo, quale indispensabile organo di direzione dell'intera organizzazione mafiosa». Lo scrive la Direzione nazionale antimafia nella sua relazione annuale. La Dna conferma che «la città di Palermo è e rimane il luogo in cui l'organizzazione criminale esprime al massimo la propria vitalità sia sul piano decisionale (soprattutto) sia sul piano operativo, dando concreta attuazione alle linee strategiche in relazione alle mutevoli esigenze imposte dall'attività di repressione continuamente svolta dall'autorità giudiziaria e dalla polizia giudiziaria».  A tenere in vita Cosa nostra è soprattutto il «rispetto delle regole» sia sotto il profilo delle affiliazioni dei nuovi componenti, che di quelle che regolano la gestione dei territori. «Le indagini - prosegue la Dna - confermano anche la costante fibrillazione dell'organizzazione che oggettivamente versa in una situazione di crisi. Va segnalato che l'assenza, in Cosa Nostra palermitana, di personaggi di particolare carisma criminale in libertà, non ha riproposto la violenta contrapposizione interna tra famiglie e mandamenti del passato. Allo stato deve piuttosto registrarsi una cooperazione di tipo orizzontale tra le famiglie mafiose della città di Palermo, volta a garantire la continuità della vita dell'organizzazione ed i suoi affari. Tra questi in particolare devono segnalarsi un rinnovato interesse per il traffico di stupefacenti e per la gestione dei 'giochì, sia di natura legale che illegale».


FORTE INTERESSE PER GIOCHI ONLINE E VIDEOPOKER 


L'interesse manifestato dalla camorra verso i giochi online e in particolare il videopoker «è stato ampiamente esplorato specie con riferimento al coinvolgimento della maggior parte dei clan napoletani e campani nelle attività delle medesime famiglie di imprenditori». Lo segnala la relazione 2015 della Dna, sottolineando come un altro settore da tempo eletto dalle organizzazioni camorristiche «a uno degli ambiti entro i quali appare più conveniente reinvestire profitti criminosi è quello delle agenzie di scommesse che - per la sua peculiare ramificazione territoriale, che può corrispondere alla dislocazione delle singole agenzie di una determinata società di raccolta di scommesse sportive, oltre che per la stretta relazione con il gioco on-line, per sua natura, dematerializzato - spesso implica il coinvolgimento di più di un sodalizio criminale. Su questo terreno - precisa la Dna - spesso si formano e consolidano alleanze o, viceversa, si consumano sanguinose rotture». 


IN LOMBARDIA PRESENTE BORGHESIA MAFIOSA


Tra le condizioni di contesto che hanno consentito il radicamento della 'ndrangheta in Lombardia «vi è la disponibilità del mondo imprenditoriale, politico e delle professioni (cioè il cosiddetto capitale sociale della 'ndrangheta) ad entrare in rapporti di reciproca convenienza con l'organizzazione». A scriverlo è la Direzione nazionale antimafia nella sua relazione annuale che prende in esame il periodo dal primo luglio 2014 al 20 giugno 2015. Per la Direzione nazionale antimafia, «tali rapporti si possono ricondurre alla nozione di 'amicizia strumentalè caratterizzata da scambio di risorse tra 'gli amicì, continuità nello scambio e dalla natura aperta di tale amicizia, nel senso che ciascuno di loro agisce come 'pontè per altri 'amicì». Le indagini hanno quasi sempre riscontrato la presenza di figure «riconducibili al paradigma della 'borghesia mafiosà, canali di collegamento tra la società civile e la 'ndrangheta e nessuna categoria professionale è esente da questa considerazione: forze di polizia, magistrati, avvocati, imprenditori, medici, appartenenti a livelli apicali della pubblica amministrazione, politici». 



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