L'alcolismo sottovalutato che sta uccidendo l'Italia

Società | 26 dicembre 2018
Condividi su WhatsApp Twitter

E’ stata definita “la più importante ricerca mai realizzata sul fenomeno dell’alcolismo in Italia”. A ragione. A più di trenta anni dal “Primo Rapporto sull’alcolismo in Italia” l’Osservatorio Enpam-Eurispes torna sull’argomento con una indagine capillare, articolata su tre sondaggi tematici distinti ma inseriti in un unico percorso di ricerca. Ed emergono risultati impressionanti. Si intuiva, si temeva. Ma il dato di fatto è che si continua a sottovalutare questa dipendenza. Fateci caso: associamo dipendenza da stupefacenti e ludopatia alle grandi reti criminali e li consideriamo con una maggiore attenzione, con una preoccupazione più palpabile. Per l’alcol no. Il settore – singole infiltrazioni di capitali di riciclaggio a parte e, in alcuni casi, “controllo” a parte – è pulito, costituisce una voce rilevantissima dell’economia nazionale, della produzione, del Pil di tutte le regioni italiane, è un portato storico millenario della nostra cultura. Chi produce vino, liquori, birra non è un criminale come chi produce e traffica droga. Così come chi produce auto non è un criminale perché non è colpa del produttore se dell’auto tu hai la concezione di un bolide da lanciare a 200 chilometri all’ora. L’alcol ci appartiene, fa parte della nostra vita, della nostra normale giornata, della nostra tavola, della nostra alimentazione. Non si può e non si deve proibire. Ma energicamente va alzata la guardia perché – specie per le fasce giovanili della popolazione, per le loro abitudini diurne e soprattutto notturne, per la vocazione di molti di loro allo “sballo” – si è trasformato in un gravissimo problema sociale. Fuori controllo. Tremendo e diffuso quanto sottovalutato. Perché – documenta la ricerca Enpam-Eurispes – in dieci anni in Italia l’alcol è stato all’origine per malattie ed incidenti della morte di 435.000 uomini e donne. Per intenderci e per avere un ordine di grandezza quasi quanto le vittime dell’atroce guerra civile in Siria.

Si è ubriachi e “felici”, si inizia a bere prima, sempre più spesso in maniera eccessiva e lontano dei pasti. Sentenziano i medici: “L’alcol è la sostanza che più dà dipendenza. Il fenomeno è in netta ascesa”.


Chi ha realizzato la ricerca

L’Eurispes opera dal 1982 ed è uno dei più noti istituti di ricerca italiani. L’Enpam è l’ente nazionale di previdenza e assistenza dei medici. La pubblicazione dei dati della ricerca risale a qualche settimana fa. Ha avuto il suo spazio per alcuni giorni negli articoli di giornale e poi i riflettori si sono spenti. Ma noi – appunto perché è una emergenza, un primario “problema sociale” – riporteremo in questo approfondimento in pratica quasi per intero il “Documento di sintesi”, per il quale ringraziamo l’Ufficio Stampa dell’Eurispes. Si tratta di una relazione che, contrariamente a quanto indurrebbe a ritenere il titolo, si caratterizza per essere piuttosto corposa. Sebbene la ricerca analizzi l’ambito nazionale, la sua formula – tre sondaggi in uno, di cui dettaglieremo anche dimensione del campione, numero di intervistati, focus tematico – consente utili distinzioni per macroaree (per quanto ci riguarda più da vicino “Mezzogiorno” ed “Isole”) con una lettura più diretta dei comportamenti nei territori del paese. E non mancano significative differenze nei comportamenti così come nella diffusione del fenomeno.


Principali evidenze e struttura dell’indagine

Iniziamo da una sorta di sommario. L’alcol costituisce il primo fattore di rischio per la salute in Europa dopo il fumo e l’ipertensione. Nei paesi dell’Unione Europea il consumo annuo pro-capite è stimato in 9 litri. L’Italia supera nettamente la media mondiale di un consumatore su tre: il 60 per cento degli italiani, infatti, consuma una o più dosi di alcol al giorno. Nel nostro paese si contano 8,6 milioni di consumatori a rischio, 2,5 milioni dei quali anziani e 1,5 milioni adolescenti. Secondo l’Osservatorio Nazionale Alcol-Cneps dell’Istituto Superiore di Sanità i consumatori “dannosi”, che presentano problemi di salute conseguenti al loro assiduo rapporto con l’alcol, sarebbero circa 700 mila.

Attraverso l’analisi e l’incrocio di diverse fonti statistiche Euripes ed Enpam hanno calcolato i decessi causati dall’alcol in Italia negli ultimi 10 anni: 435.000 morti – 296.000 uomini e 139.000 donne - dal 2008 al 2017 per patologie alcol-correlate, incidenti stradali, incidenti sul lavoro, incidenti domestici e omicidi o suicidi legati allo stato di alterazione psico-fisica.

“Con questa indagine, ampia e articolata, abbiamo, a distanza di quasi trenta anni, fatto il punto sulla evoluzione del fenomeno e delle sue derive – spiega il presidente dell’Eurispes Gian Maria Fara – I dati che emergono testimoniano una cresciuta consapevolezza ma anche la necessità di un impegno costante sul piano della prevenzione e del sostegno alle famiglie interessate, così come su quello culturale, della comunicazione e dell’informazione”.

Per il presidente dell’Enpam Alberto Oliveti: “Attraverso i dati della rilevazione ci si rende conto della pericolosità di alcuni fenomeni sociali legati a una cultura dello sballo in via di costante diffusione. Tra questi, il fenomeno dell’”abbuffata alcolica” (binge drinking) tipico della popolazione giovanile tra gli 11 e i 17 anni. Così come la tendenza al primo contatto, sempre più precoce, dei giovani verso l’alcol. L’incidenza di certi comportamenti è sensibilmente influenzata dall’uso massivo delle nuove tecnologie e dai social network. Il medico di medicina generale, che presidia società e territorio capillarmente, può e deve assumersi il ruolo di playmaker”.


Primo sondaggio: “Il consumo di alcol tra i cittadini”

L’indagine è stata realizzata su un campione probabilistico stratificato, attraverso la somministrazione di un questionario a 1.106 cittadini. Il questionario esplorava diverse tematiche: consumo di alcolici; frequenza e modalità; consumo eccessivo; motivazioni; diffusione del problema; alcol e guida; normativa e provvedimenti per il contrasto al fenomeno.


L’alcol come “immagine positiva”. Ubriachi, “felici” e “precoci”

Si beve a qualunque ora, anche con pochi soldi, sempre più lontano dai pasti, e soprattutto tra le fasce più giovani della popolazione. Un quarto degli italiani associa l’alcol a situazioni di convivialità (23,8 per cento), il 17,1 per cento lo accomuna ad una sensazione di piacere, l’11,9 ad un concetto di spensieratezza, un cittadino su dieci al relax. Più contenute le percentuali di chi lo associa ad una immagine non positiva: fuga dai problemi (9,3 per cento), perdita di controllo (9 per cento), pericolo (7,3 per cento).

Il dato relativo alla risposta “convivialità” passa dal 16,5 per cento nella fascia tra i 18-24 anni ad un valore massimo di 26,8 per cento nella fascia dei più anziani. Sono i più giovani invece ad associare all’alcol il concetto di “piacere” più spesso delle persone mature (21,6 per cento contro il 14,3).

Gli uomini più delle donne ritengono che il bere sia un piacere (19,4 per cento contro il 14,8); al contrario, le donne più spesso degli uomini associano all’alcol la perdita di controllo.

Entrando nel merito del consumo di alcol, le risposte raccontano un consumo “normale”, quasi moderato. Oltre la metà degli intervistati dichiara di consumare alcol “qualche volta” (55,7 per cento), il 17,1 lo fa “spesso”, solo il 7,9 per cento “tutti i giorni” e quasi due su dieci non bevono “mai”.

A bere più “spesso” sono i giovani: tre su dieci nella fascia 18-24enni, il 23 per cento tra i 25-34enni. Le differenze tra i due sessi sono sempre più sottili, anche se rimane più alto il numero delle donne astemie (28,1 per cento contro il 10,5).

Tuttavia è la precocità del debutto alcolico l’aspetto più preoccupante che emerge. Il 15,8 per cento ha bevuto il primo bicchiere tra gli 11 e i 13 anni e tra i maschi la percentuale sale al 20,5 per cento. Un terzo della popolazione lo ha fatto tra i 14 e i 17 anni (33,5 per cento). Per due su dieci il debutto è avvenuto tra i 18 e i 20 anni. Il 12,4 per cento ha iniziato a bere dopo i venti anni. Un dato scioccante: ha assunto alcol prima dei 10 anni il 3,8 per cento degli intervistati. Succede in particolare nel Nord-Ovest dove si registra un numero di bevitori precoci superiore alla media che si attesta al 7,6 per cento.


Come cambiano le abitudini. Il “consumo eccessivo”

Negli ultimi tempi è cambiato profondamente il modo di bere: lo si fa sempre più fuori dai pasti, in dosi massicce e in un tempo circoscritto. Oltre tre italiani su dieci bevono alcol quando si trovano “in compagnia” (32,1 per cento); il 23,6 per cento quando “ne ha voglia”; una percentuale quasi analoga lo fa “durante i pasti”; il 21,2 per cento “in occasione di ricorrenze”. La tendenza a bere in compagnia è più accentuata tra i giovani 18-24enni (45 per cento) mentre tra i 25-34enni l’abitudine a bere quando se ne ha voglia raggiunge il 32,7 per cento. Dati spia di abitudini potenzialmente a rischio che caratterizzano più i giovani rispetto agli adulti.

Quasi la metà del campione ammette di bere eccessivamente “ogni tanto” (47,7 per cento), l’11,1 per cento lo fa “spesso”, solo lo 0,7 per cento “tutti i giorni”. Quattro intervistati su dieci dichiarano di non bere mai eccessivamente. Se si confronta questo risultato con i dati del 22esimo Rapporto Italia dell’Eurispes del 2010 emerge un preoccupante aumento del consumo eccessivo. Allora la quota di chi beveva “spesso” era dell’1,6 per cento, la quota di chi eccedeva “qualche volta” si fermava al 33,7. Ed è tra i giovani che la percentuale dei consumatori occasionali cresce ancora rispetto alla media, arrivando al 60 per cento tra i 18-24enni e al 59,2 per cento tra i 25-34enni. Al Nord-Ovest il triste primato del numero più alto di bevitori eccessivi.

Se si analizzano i motivi di chi oltrepassa il limite si scopre che gli eccessi oggi si ricollegano, più spesso che in passato, con gli stati d’animo delle persone e con le loro difficoltà, anche relazionali. Il 28 per cento di chi si trova a bere in modo eccessivo riconosce che lo fa per “piacere” (nel 2010 la quota era del 49,4 per cento); oltre un quarto degli intervistati fa uso eccessivo di sostanze alcoliche per “stare meglio con gli altri”, il 12,1 per cento in più rispetto ad otto anni fa. Il 23,7 per cento dichiara di eccedere per “rilassarsi”, ovvero l’8,8 per cento in più rispetto al 2010. Aumenta anche il numero di chi ritiene che bere sia un modo per “affrontare una situazione complicata” (9,2 per centro contro il 2,6) e di chi lo fa per “reagire a un insuccesso” (2,2 per cento contro l’1,2).

In particolare, sono soprattutto i giovani a ricorrere alle “cure” dell’alcol per affrontare una situazione complicata (l’11,1 per cento tra i 25-34enni, il 9,2 tra i 18-24enni, il 9,1 tra i 35-44enni). Ad apprezzare maggiormente gli effetti di un uso smodato di bevande alcoliche per puro piacere sono gli abitanti del Meridione (31,3 per cento Sud e 31,1 Centro) seguiti dal 28 per cento del Nord-Est, dal 26,6 del Nord-Ovest, per finire con il 20 per cento delle Isole.

Alla domanda “Quante persone conosce che possono essere definite bevitori eccessivi?” il 31,6 per cento risponde “alcune”, il 29,3 “poche”, il 15,8 “nessuna”, il 14,8 “parecchie”, l’8,5 “molte”. Eppure, in una classifica delle sostanze psicotrope capaci di alterare la regolare attività mentale, l’alcol è considerato all’ultimo posto dopo droghe sintetiche (38,5 per cento), cocaina (25,1), fumo (22,1). Solo il 14,3 per cento ritiene, infatti, che l’alcol sia la sostanza più nociva per la salute.


Alcol e guida: “tasso alcolemico”, questo sconosciuto

In Italia l’uso di sostanze alcoliche è tra le prime cause di morte tra i giovanissimi, spesso in seguito ad incidenti stradali.

L’indagine Eurispes-Enpam ha cercato di capire quanto sia frequente la guida in stato di alterazione. Sei intervistati su dieci dichiarano di non avere mai guidato dopo avere bevuto in modo eccessivo (stesso dato del 2010: 59,9 per cento); il 24,6 per cento afferma di averlo fatto “raramente”; il 14,1 per cento “qualche volta”; l’1,4 per cento ammette di averlo fatto “spesso” (nel 2010 era il 2,2 per cento). Ad avere una maggiore sensibilità sono le donne che nel 71,9 per cento dei casi sostengono di non avere mai guidato in stato di ebrezza contro il 47,9 per cento degli uomini.

Gli automobilisti più attenti alle regole sono quelli del Centro (67,9 per cento). I meno ligi sono gli abitanti del Nord-Ovest che ammettono di aver guidato “spesso” dopo aver bevuto troppo nel 4,4 per cento dei casi.

Ad oltre un quinto del campione (21,4 per cento) è capitato di essere stato fermato alla guida e sottoposto al controllo per alcol e droga. La percentuale è in notevole aumento rispetto al 2010 quando si attestava al 9,2 per cento. Dunque controlli più estesi ed assidui.

Interrogati sul tasso alcolemico consentito dalla legge per guidare, solo un terzo degli intervistati (33,8 per cento) risponde correttamente indicando il limite di 0,5 g/l. Quasi quattro su dieci ammettono di non conoscere la norma (39,6 per cento); l’8,6 per cento sottostima il reale valore indicando 0,2 g/l; un complessivo 18 per cento crede invece che sia ben superiore a quello reale. In sostanza i due terzi degli intervistati non sono in grado di stabilire la quantità di alcol che possono assumere senza compromettere la propria capacità di guida, segnando un passo indietro nella conoscenza rispetto al 2010 quando le risposte corrette rappresentavano il 38,7 per cento. Ad essere più informati sono i giovanissimi, freschi di studio per il conseguimento della patente (42,3 per cento).


La percezione sottovalutata dell’alcol come problema sociale

La maggior parte dei cittadini è consapevole dell’esistenza di un problema sociale legato all’alcol in Italia: secondo un terzo si tratta di un problema “rilevante” (35,4 per cento), un altro 31,1 per cento lo considera un problema “moderato”. Una minoranza sottostima il fenomeno (14,3 per cento) circoscrivendolo a casi isolati mentre quasi un quinto non è in grado di valutare (19,2 per cento).

In occasione del Primo Rapporto sull’alcolismo in Italia, realizzato dall’Eurispes nel 1984, la percezione dell’alcol come problema sociale emergeva in modo nettamente più forte: in quell’occasione il 66 per cento degli interpellati lo riteneva un problema, quasi il doppio rispetto ad oggi.

Analizzando le aree geografiche del paese, salta agli occhi come il Nord-Ovest sia la macroarea che, molto meno del resto d’Italia, percepisce l’alcolismo come un problema (18,2 per cento contro il 33 del Nord-Est, il 47,2 del Centro, il 39,2 del Sud, il 51,2 delle Isole).


La regolamentazione del consumo. Le strategie di contrasto

Secondo il 60 per cento degli italiani il consumo di alcolici deve essere regolato dalla legge. Il 40 per cento la pensa diversamente. La fascia dei 18-24enni è l’unica nella quale prevale il numero di contrari ad una regolamentazione dei consumi.

Quasi un terzo di chi è contrario ritiene che consumare alcolici sia “una scelta individuale” (30,3 per cento), per il 26,2 per cento i problemi “non si risolvono con la legge”, per il 22,9 per cento “informare è meglio che vietare”. Il 19,2 per cento invece ritiene che l’alcol “non sia una piaga sociale”. Infine il 7,7 per cento si dice “contrario per non incrementare la speculazione”. Nel complesso, quindi, prevalgono le risposte che evidenziano l’inefficacia di eventuali provvedimenti legislativi per contrastare il problema.

A chi si è pronunciato a favore della regolamentazione del consumo è stato chiesto quale regola dovrebbe essere adottata. Secondo il 43,7 per cento si dovrebbe consentire di bere sopra i 18 anni; il 28,1 per cento suggerisce una regolamentazione solo per la vendita, il 12,8 per cento opterebbe per l’aumento del prezzo degli alcolici; il 10,7 per cento vorrebbe che la proibizione fosse addirittura estesa a tutti; il 4,7 sarebbe d’accordo con la concessione a bere sopra i 14 anni.

Più di otto italiani su dieci ritengono che lo Stato negli anni abbia fatto poco per contrastare l’alcolismo. Secondo un quinto degli intervistati occorrerebbe una maggiore strategia di sensibilizzazione (19,7 per cento), per un altro quinto più informazione a livello scolastico (18,3 per cento), per il 15,3 per cento sarebbe necessario puntare maggiormente sulla prevenzione. Per un altro 15,4 per cento lo Stato dovrebbe risolvere le cause sociali che portano all’abuso di alcol. Secondo il 14,6 per cento serve una regolamentazione per la vendita degli alcolici. Il 6,2 per cento ritiene che si debbano creare più centri di assistenza e recupero.

Negli anni si è più volte discusso e ragionato sui provvedimenti presi per contrastare il consumo eccessivo, attraverso il divieto di vendita di alcolici da asporto dopo le 22.00 e la somministrazione dopo le 2.00 di notte. Ebbene, i favorevoli prevalgono sui contrari (57,3 per cento contro 28,3): il 35,4 per cento è “abbastanza d’accordo”, il 21,9 “molto”, il 18,6 “poco”, il 9,7 “per niente”, il 14,4 non sa pronunciarsi. Il numero dei favorevoli aumenta con l’innalzarsi dell’età.

Misure di contrasto. Otto cittadini su dieci sono favorevoli a proibire la pubblicità di alcolici vicino le scuole (79,8 per cento); sette su dieci proibirebbero la pubblicità in tv durante la fascia protetta; il 67,5 per cento approverebbe le tanto discusse “etichette shock” sulle bottiglie; il 52,4 imporrebbe un prezzo minimo; il 51,4 proibirebbe la vendita a prezzi ridotti.


Secondo sondaggio: il consumo di alcolici tra i ragazzi

Il campione – 2.259 questionari considerati validi - era composto da ragazzi e ragazze di seconda e terza media e dei cinque anni delle scuole superiori. Indagate: abitudini di consumo; opinioni circa i rischi e i danni connessi al consumo e all’abuso; motivazioni che spingono i giovani a bere; rischi connessi alla guida in stato di alterazione.

La netta maggioranza dei ragazzi beve alcolici (61,7 per cento): oltre la metà lo fa “qualche volta” (51,6 per cento), l’8,2 per cento “spesso”, solo l’1,9 per cento “tutti i giorni”. Tra gli 11-14enni prevalgono coloro che non bevono mai (64,8 per cento), tre su dieci lo fanno “qualche volta”. La situazione si capovolge tra i 15-18enni: il 65,1 per cento beve “qualche volta” e solo due su dieci sono astemi. La quota di ragazzi che non bevono mai risulta più elevata tra chi è nato all’estero (44,1 per cento contro 37,9).

Si inizia a consumare alcolici sempre più presto. Più della metà dei ragazzi che ha confessato di fare uso di alcol ha bevuto il primo bicchiere tra gli 11 e i 14 anni (52,8 per cento), il 26,9 per cento dai quindici anni in su, quasi due su dieci addirittura prima degli 11 anni (18,4 per cento).

Maschi più precoci rispetto alle femmine: per oltre un quinto l’iniziazione è avvenuta prima degli 11 anni (21,9 per cento). Tra i nati all’estero la percentuale di chi ha iniziato prima degli 11 anni sale al 28,4 per cento. In tutte le aree geografiche la fascia d’età d’esordio più citata è quella tra 11 e 14 anni.


Cosa si beve e quando: ovunque, a qualunque ora, fuori da casa

La birra è in cima alla classifica del consumo tra i giovanissimi. Solo il 12,2 per cento afferma di non berla “mai”. Il 21,2 lo fa “spesso”. Seguono cocktail e aperitivi, in terza posizione il vino, infine shottini e superalcolici. L’area che registra la quota più alta di ragazzi che, sia pure con frequenza diversa, consumano tutti i tipi di alcolici è il Nord-Est. Medesima tendenza nelle Isole, ad eccezione del vino.

Per i più giovani il consumo è quasi sempre disgiunto dai pasti e dalla tavola. Si tratta di un consumo non abituale, sempre più legato a momenti di divertimento. Il 47,7 per cento beve “in occasione di feste e ricorrenze”, il 30,9 associa il bere allo stare “in compagnia”, il 16,2 lo fa quando “ne ha voglia”. Solo il 5,2 “durante i pasti”. A conferma della tendenza, il pub (28,6 per cento) così come la discoteca (21,4 per cento) sono i luoghi dove più spesso capita di farsi un bicchiere, due su dieci bevono a tavola, il 17,4 all’aperto, il 13,1 al ristorante o in pizzeria. Prevale dunque nettamente il consumo extra-casalingo, indipendentemente dal pasto. Un comportamento più accentuato tra le ragazze che tra i ragazzi.

Il Nord-Ovest è l’area in cui i giovani bevono più spesso a tavola a casa (26,4 per cento); nelle Isole si registra il picco di consumi al pub (39,4 per cento); al Centro la percentuale più alta riguarda la discoteca (30 per cento); al Nord e al Sud si consuma all’aperto con frequenza superiore alla media (22,7 per cento e 22,3).


Perché si beve? Parola d’ordine: sballo. La vendita ai minori

Sette ragazzi su dieci rispondono che queste bevande “piacciono”, oltre un quinto evidenzia che “aiutano a divertirsi” (21,6 per cento), il 4 per cento confessa che servono a “dimenticare i problemi”, il 3,2 se ne esce con un “lo fanno tutti”.

Quando si passa ad indagare comportamenti spia di una tendenza all’eccesso, balza agli occhi che un terzo degli intervistati afferma di aver giocato con gli amici a chi beve di più e una identica percentuale rivela di aver visto un amico o un conoscente riprendersi o lasciarsi riprendere con lo smartphone mentre beveva.

Ai giovani studenti è stato chiesto se ritengono che ubriacarsi nella fine settimana sia un comportamento pericoloso per la salute. Ebbene, il 70,4 per cento ne riconosce la pericolosità (“abbastanza” per il 46,1 per cento, “molto” per il 24,3). Ma è ancora elevato il numero dei ragazzi che lo ritiene “poco” (23,1 per cento) o “per niente” (6,5) pericoloso.

A mettere ordine nell’opinione degli stessi giovanissimi, il “limite” si oltrepassa per diversi motivi: ci si ubriaca per “sentirsi più grandi” (42 per cento), perché “lo fanno tutti” (18,4 per cento), perché “è una cosa piacevole” (14,3 per cento), per “fare qualcosa di proibito” (10,2 per cento), per “rilassarsi” e socializzare (8,3), per “fare una nuova esperienza” (6,8).

In Italia vendita e somministrazione ai minori di 18 anni sono vietate. La legge obbliga a chiedere un documento d’identità al momento dell’acquisto. Ma le risposte al riguardo sono sconvolgenti. Se il 45,6 per cento non ha mai acquistato bevande alcoliche, il restante 54,4 per cento lo ha fatto. Di questi ultimi il 21,7 per cento dichiara che non è mai stato chiesto loro il documento d’identità. Al 16,4 per cento è stato chiesto “raramente”. Ad uno su dieci “qualche volta”. Solo al 5,9 per cento “spesso”. Un dato sconcertante: il 30,8 per cento degli 11-14enni ha acquistato alcol e a un quinto di costoro non è mai stata chiesta la carta d’identità.

Le regioni dove il documento al momento dell’acquisto viene richiesto con meno frequenza sono quelle del Sud e del Centro.


Alcol e guida: il 30 per cento dei giovanissimi ha viaggiato con chi ha bevuto

“Ti è mai capitato di metterti alla guida di un motorino o di un’auto all’uscita di un locale dopo aver bevuto alcolici?”. La risposta appare confortante: nove su dieci dichiarano di non averlo mai fatto, il 4,8 per cento afferma di averlo fatto “raramente”, solo il 2,4 per cento “qualche volta” e “spesso”. Tuttavia i risultati cambiano quando ai ragazzi viene chiesto se sono saliti su un’auto o un motorino di amici, come passeggeri, con il guidatore che aveva bevuto. In questo caso la risposta negativa si restringe al 62,3 per cento. Ad un quinto è accaduto “raramente”, al 13,3 per cento “qualche volta”, al 4 per cento “spesso”. Sono proprio i giovanissimi studenti tra gli 11 e i 14 anni ad ammettere con maggiore frequenza (30 per cento) di aver viaggiato su di un mezzo guidato da qualcuno che aveva bevuto.

In molti denotano di non essere pienamente consapevoli dei rischi che il consumo comporta per la guida. Per tre su dieci la sicurezza è garantita solo se non si bevono alcolici mentre quattro su dieci ritengono che un solo bicchiere non comporti rischi. Per il 13,9 per cento non è rischioso guidare con 2-3 bicchieri, per il 2,5 per cento persino dopo 4-5 bicchieri. La legge non stabilisce il numero di bicchieri ma il tasso alcolemico da non superare (0,5 g/l) che può essere influenzato da vari fattori ma che può essere facilmente superato dopo uno o due bicchieri a seconda del grado alcolico.

Il 36 per cento dei ragazzi è convinto che la legge vieti di mettersi alla guida dopo aver bevuto qualsiasi tipo di bevanda alcolica, il 27,7 afferma che è consentito bere un bicchiere, il 5,4 che non si può guidare dopo 2-3 bicchieri, l’1,9 per cento che il limite sia di 4-5 bicchieri. Tre giovani su dieci non hanno saputo indicare una risposta. Dati alla mano, quasi i tre quarti degli intervistati hanno risposto in modo non corretto.

Alla domanda “Sei d’accordo con i provvedimenti che proibiscono la vendita di alcol da asporto dopo le 22.00 e la somministrazione di alcol dopo le 2.00 di notte?” rispondono affermativamente il 52,1 per cento: il 28 per cento “abbastanza” e il 24,1 “molto”. Coloro che non sono d’accordo, invece, considerandoli una limitazione della libertà, sono il 31,6 per cento ripartiti tra chi è “poco d’accordo” (17,7 per cento) e chi lo è “per niente” (13,9).


Terzo sondaggio: gli effetti sulla salute. La parola ai medici

Considerati validi e analizzati 507 questionari. I temi: l’impatto sulla salute e il confronto con le altre sostanze psicoattive; diffusione dei problemi legati al consumo di alcol e identikit dei consumatori a rischio; evoluzione del fenomeno nell’ultimo decennio; cause e motivazioni; strategie di contrasto.

Su dieci medici intervistati nove sostengono che l’alcol è la sostanza psicotropa più diffusa e quella che miete il maggior numero di vittime in termini di dipendenza rispetto a fumo, droghe sintetiche, cocaina. La frequenza dei pazienti che presentano problemi alcolcorrelati è preoccupante: poco meno della metà dei medici intervistati (48,5 per cento) ha rivelato di avere incontrato persone con questo profilo “qualche volta”; più di tre su dieci (31,6) “spesso”. Come è intuibile, a visitare pazienti non in grado di gestire un uso responsabile di sostanze alcoliche sono, in quantità leggermente superiore, i medici delle strutture pubbliche rispetto a quelli delle private.

Problemi riscontrati con maggiore frequenza: patologie legate al consumo eccessivo (53,8 per cento), problemi psicologici legati alla dipendenza da alcol (22,3 per cento), incidenti dovuti alla guida in stato di ebrezza (13,4), problemi legati al bere compulsivo quali coma etilico e intossicazione da alcol (9,9), incidenti sul lavoro dovuti allo stato di ebrezza (0,6).


Identikit dell’alcolista: segni particolari “nessuno”

Se si prova a tracciare un profilo delle vittime del consumo di alcol emerge una trasversalità drammatica rispetto ad età e condizioni sociali. Secondo i medici intervistati si tratta per il 59,8 per cento dei casi di persone adulte, per il 17,6 per cento di giovani tra i 18 e i 30 anni, per il 2 per cento di adolescenti e per un altro 2 per cento di anziani. Ma per il 18,6 per cento degli intervistati “non ci sono differenze tra fasce d’età”.

Così come il consumo eccessivo non appartiene ad una particolare tipologia di paziente ma “attraversa” l’intera società: secondo quattro medici su dieci queste persone non appartengono a nessuna categoria in particolare; per poco più di tre su dieci si tratta di persone che stanno vivendo un periodo di difficoltà o depressione; per il 23,5 per cento di soggetti socialmente inseriti. Solo per il 5,3 per cento si tratta di senza fissa dimora o sbandati.

Quest’ultima categoria di pazienti si rivolge alle strutture di aiuto pubblico, dividendosi tra l’11 per cento di coloro che cercano aiuto negli ospedali e il 3,9 per cento di coloro che sono utenti delle Asl. Le persone in stato di temporanea depressione si rivolgono principalmente alle Asl (35,4 per cento), ai Sert (33,3 per cento) mentre uno su quattro preferisce le cure degli ospedali e delle cliniche specializzate. I soggetti socialmente inseriti invece si orientano principalmente verso le Asl (27,6 per cento) e le cliniche specializzate (25 per cento) a cui seguono gli ospedali (22 per cento). Infine le persone indicate come non appartenenti ad alcuna categoria si rivolgono nel 66,7 per cento dei casi al Sert, nella metà dei casi alle cliniche specializzate, nel 41,5 per cento dei casi agli ospedali e per un terzo ai Sert.

Quello che è assolutamente certo per i medici interpellati è che nell’ultimo decennio i problemi legati al consumo di alcol sono aumentati. Lo sostiene il 67,3 per cento degli intervistati. L’aumento riguarda principalmente il Mezzogiorno.


Le nuove tendenze

Le nuove tendenze rilevate dai medici tracciano un panorama inedito del consumo: si inizia a bere più precocemente (93,7 per cento), le donne bevono più che in passato (93,3 per cento), si beve di più lontano dai pasti (90,5 per cento), si bevono più superalcolici (78,5 per cento) si associa più spesso il consumo di alcol a quello della droga (73,2 per cento), sono più frequenti gli episodi di ubriacatura (71,4 per cento).

Il fenomeno della dipendenza ha molteplici origini, sulle quali i medici hanno opinioni diverse. Ma ce ne è una che li accomuna quasi tutti: la scarsissima correlazione tra emarginazione sociale e alcolismo. Infatti, solo il 5,3 per cento dei medici ritiene che la mancata inclusione sociale sia all'origine della dipendenza. Gli altri professionisti si dividono tra un 26,2 per cento che ricerca la causa nell’abitudine ad un consumo sregolato, un 23,1 per cento che considera depressione e ansia tra le principali cause, un 23,5 per cento secondo il quale l’alcol viene usato come “stimolante”, un 21,9 che vi legge una forma di imitazione di modelli scorretti. In buona sostanza per oltre sette medici su dieci le motivazioni al bere non sono legate a problemi, disagi o stati d’animo negativi ma piuttosto alla ricerca di divertimento e di sballo. Un approccio a cui contribuirebbero i media con i loro messaggi. Secondo il 64,7 per cento dei medici intervistati l’immagine dell’alcol veicolata dai media favorirebbe la diffusione di modelli di consumo pericolosi. Solo secondo il 5,1 per cento degli interpellati non ci sarebbe correlazione.


Cosa si fa per arginare il problema? Le “strutture insufficienti” e il ruolo della scuola

Per oltre la metà dei medici intervistati i reparti ospedalieri e le strutture mediche dedicati alla cura e al sostegno dei pazienti con problemi legati all’alcol sono “scarsi” (53,8 per cento). Per il 29 per cento sono “insufficienti”; per il 16,2 per cento sono invece “sufficienti” e solo l’1 per cento ritiene che siano “ampiamente sufficienti”. Coloro che danno un giudizio negativo sono concentrati in Sicilia e Sardegna.

Per la maggioranza degli intervistati non sono sufficienti nemmeno le campagne di sensibilizzazione e informazione promosse dallo Stato, strumento apprezzato dai medici e che dovrebbe essere più diffuso. Nel dettaglio quasi nove su dieci ritengono le campagne “insufficienti”.

Il 51,3 per cento dei medici ritiene che debba essere la scuola ad educare. L’altra metà si divide tra chi ritiene le campagne di sensibilizzazione un ottimo strumento (16,6 per cento), chi chiede di modificare l’immagine che pubblicità e media diffondono (9,9 per cento), chi ritiene che sia necessario promuovere servizi di consulenza dedicati, chi vorrebbe una regolamentazione più restrittiva per la vendita (7,5 per cento), chi vede la soluzione nell’incremento di centri di assistenza e recupero (6 per cento).

 di Pino Scorciapino

Ultimi articoli

« Articoli precedenti