L'affermazione di potenza che spinge l'uomo alla violenza contro le donne

Junior | 26 gennaio 2022
Condividi su WhatsApp Twitter

Ecco le riflessioni degli studenti del Liceo Pacinotti di Fondi sulla videoconferenza del Centro Pio La Torre dedicata alle disuguaglianze di genere e alla pratica della violenza nella società civile e nelle organizzazioni mafiose. Insegnanti Doriana D'Ettorre, Pierina Carta e Pasqualina Corpolongo




Elena Baldassarre 5 B LSA

Il giorno 14 Gennaio 2022 si è tenuta la terza videoconferenza della sedicesima edizione del progetto educativo antimafia del Centro Studi Pio La Torre. Il tema ha riguardato «Le disuguaglianze di genere e la pratica della violenza nella società civile e nelle organizzazioni mafiose». La videoconferenza, moderata da Vito Lo Monaco, presidente del centro, ha visto la partecipazione di tre relatrici: Alessandra Dino, sociologa e Docente UNIPA, Sabrina Garofalo, docente UNICAL e Beatrice Pasciuta, prorettrice dell’ Inclusione Pari Opportunità e Politiche di Genere UNIPA.
La violenza di genere non deve essere inquadrata come un problema che coinvolge solo le donne, ma come una vera e propria questione sociale, che riguarda la violazione dei diritti umani. Basti pensare che, proprio a causa di queste violenze, le donne che “fortunatamente” riescono a sopravvivere, spesso rimangono segnate fisicamente e soprattutto psicologicamente, in quanto costrette a portare per sempre impressa nella loro mente la violenza subita. Tutto ciò porta dunque le donne ad essere private della propria dignità, che spetta per diritto a tutti, indifferentemente dal  proprio sesso. In alcuni casi, queste rimangono private della propria stessa identità, in quanto venendo sfregiate sul proprio viso e sul proprio corpo, finiscono per non essere più riconoscibili, tanto da perdere la caratteristica che più le contraddistingue: la loro femminilità.
Come si può immaginare, alla base della violenza c’è una relazione sbilanciata di potere tra uomini e donne. Le donne, infatti, sono da sempre considerate inferiore all’uomo, a livello sociale, culturale ed economico, e ancora oggi, nonostante il lungo percorso da loro intrapreso per ottenere eguali diritti, si evidenzia ancora un profondo squilibrio. Questo è dovuto specialmente all’idea secondo la quale il corpo femminile sia un oggetto su cui esercitare violenza liberamente e ripetutamente, con la finalità di degradare ed umiliare la donna. Sconcertante, infatti, è che spesso si parla di una violenza eccessiva, che non si limita solo ad uccidere la donna, ma anzi finisce per annientarla completamente. Le caratteristiche della violenza, infatti, sono proprio la brutalità, la ripetitività, la dimensione simbolica e la trasversalità, poiché il fenomeno riguarda tutte le età e classi sociali, ma anche tutte le tipologie di violenza, sia essa economica, fisica e psicologica.
Purtroppo, quando si sente parlare di un singolo caso di femminicidio, si tende spesso a sminuire e a non considerare il fatto che di atti come questi ne accadono in gran numero in Italia. Questo perché le donne vengono uccise prevalentemente per mano di una persona da loro conosciuta e spesso all’interno di una dimensione relazionale. Questo ci fa riflettere su quanto sia difficile fidarsi di qualcuno, anche se a noi molto vicino, e soprattutto su quanto sia difficile sentirsi al sicuro nel luogo in cui si vive, visto che la maggior parte di questi omicidi accadono proprio in un ambiente domestico. Eppure sono proprio sentimenti come l’amore e la passione che spesso sfociano in atti estremi di gelosia e rabbia. Dagli uomini che commettono queste atrocità sentiamo spesso frasi come: “L’amavo così tanto che l’ho ammazzata”, parole che non giustificano assolutamente un tale orrore nei confronti di una donna, ma che purtroppo vengono considerate come un elemento plausibile per non dare aggravanti all’atto commesso. Qualcosa di assurdo, così come il fatto che la cronaca giornalistica spesso fornisce una rappresentazione distorta della realtà, diffondendo solo i casi di violenza che hanno più visibilità, come quelli in cui sono coinvolti giovani donne, forse perché considerate più “ingenue” o “provocatrici”.
Proprio questo è sicuramente un elemento fondamentale alla base della violenza di genere, ovvero la dimensione degli stereotipi e dei pregiudizi. La violenza di genere, infatti, parte proprio dalle discriminazioni che le donne subiscono per il semplice fatto di essere donne. Più precisamente questa parte dalla “socializzazione differenziale”, ovvero il modo in cui donne e uomini vengono istruiti dalla società ad essere tali. Questo si può comprendere molto bene già dal modo in cui i bambini crescono e ricevono dai propri genitori i modelli di comportamento più adatti ad una donna e quelli più adatti ad un uomo. Basti pensare ai giochi che vengono dati ai bambini e quelli dati alle bambine, come per esempio cucine giocattolo e bambolotti. In questo modo la società non fa altro che creare dei veri e propri stereotipi di genere, secondo i quali l’uomo è molto più predisposto ad avere successo nel lavoro per mantenere economicamente la propria famiglia, e la donna è molto più adatta ad occuparsi dei figli e della casa. Questo porta gli uomini a rispettare la cosiddetta “logica dell’essere-apparire”, che gli spinge ad far vedere agli altri di rientrare nel “perfetto” modello maschile, cioè l’uomo che non fa trasparire le proprie debolezze, ma che anzi mette in evidenza la propria virilità e il proprio “diritto” di dominare sulla donna. 
Dunque, cosa si può fare per diminuire la violenza di genere? Vista l’estrema complessità del tema è sicuramente difficile contrastare la violenza, ma non impossibile. Sicuramente non basta affidarsi solo alla legge, ma c’è bisogno di solide politiche sociali ed interventi economici per eliminare le disuguaglianze tra uomo e donna. In particolar modo, però, è fondamentale l’istruzione, attraverso la quale è necessario attuare una vera e propria “rivoluzione culturale”, magari investendo di più nella formazione dei giovani, per poter eliminare gli stereotipi, educando i bambini al rispetto e all’amore per le donne, e rendendo le bambine consapevoli e fiere dell’importanza che rivestono nella società. 

 


TERESA CIMA 5 B LSA

Venerdì 14 gennaio 2022 si è tenuta la terza videoconferenza organizzata dal Centro Studi Pio la Torre, che ha visto l’importante partecipazione di tre essenziali figure femminili, quali Alessandra Dino, sociologa e docente UNIPA, Sabrina Garofalo, docente UNICAL e Beatrice Pasciuta, prorettrice alla Inclusione Pari Opportunità e Politiche di Genere UNIPA. Tutte loro hanno esposto un fenomeno molto complesso quanto costante, che proviene da un duro lavoro di analisi, riflessioni, studi e ricerche: si tratta della tematica della violenza di genere, che coinvolge tutta la società senza distinzioni né di ambienti sociali ed economici né d’età. Purtroppo è di fondamentale importanza esporre questa problematica dinanzi alla situazione epidemiologica che stiamo affrontando, in quanto quest’ultima ha messo in luce tutte le nostre fragilità, accrescendo enormemente le diseguaglianze di genere, ambientali, sociali, politiche e territoriali. Di conseguenza, si è venuto a creare un terreno fertile all’aumento dei casi di violenza di genere esercitati specialmente nei contesti familiari. C’è da tenere conto che questa violenza non è un problema privato che riguarda solo l’ambiente femminile, ma è un problema generale, e per questo, una questione sociale, che va contro ogni diritto umano. Come affermato dalla professoressa Dino, la violenza di genere è contraddistinta da peculiari caratteristiche, come la sua capillarità, la sua ingente diffusione, la sua sistematicità e dimensione strutturale, da cui deriva la sua contraddittorietà e le difficoltà nell’inquadrare il fenomeno nelle sentenze e negli appositi ambienti giuridici. Tuttavia, la violenza di genere più praticata, che registra quotidianamente un gran numero di casi, è il femminicidio, ovvero l’uccisione della donna in quanto donna, mossa principalmente da stereotipi, diseguaglianze e pregiudizi primitivi, difficili da debellare ed eliminare. La violenza contro le donne è un fenomeno largamente utilizzato anche nelle organizzazioni mafiose, nella quale sono ancora più forti gli stereotipi di genere. Nelle mafie il modello maschile è quello dell’uomo forte, virile, sicuro di sé e che presenta una maschilità tossica ed egemonica nei confronti delle donne, le quali assumono lo stereotipo di maternità e fiducia della famiglia. Questi pregiudizi portano a commettere atti gravissimi sulla figura femminile. In particolare, l’analisi effettuata dalla professoressa Garofalo va ad intercettare le azioni condotte dalla ‘ndragheta, caratterizzata dall’essere un’organizzazione criminale a carattere totalitario che rafforza il proprio potere attraverso un controllo capillare e una logica di dominio sui corpi femminili. Tuttavia, il vocabolario crudo e violento seguito dall’organizzazione, è il medesimo che contraddistingue il femminicidio di ogni classe sociale. Le parole inserite in questo vocabolario sono state spiegate dalla professoressa Dino. In primo luogo abbiamo la corporeità, perché è proprio il corpo femminile il luogo su cui viene generata una violenza, che non è occasionale, isolata, dettata da raptus e reazioni impulsive, ma è una violenza continuativa ed eccessiva, con la finalità di degradare, umiliare ed annientare la figura femminile. Ad esempio, sono tanti gli episodi in cui si continua ad infierire contro il corpo della donna, anche se ormai morto, armi che la attraversano più e più volte finché la violenza rabbiosa del partner, dell’ex, o di qualunque uomo in questione non si placa. A ciò si collega il carattere dell’efferatezza, che testimonia la condotta inumana e feroce di chi non ha pietà nell’infliggere gravi sofferenze all’altra persona. Infatti, è proprio la brutalità e la violenza estrema utilizzata a commettere i casi ciò che lascia grande stupore, specialmente se l’atto è commesso dal compagno di vita della vittima, come accade nella maggior parte dei casi. A questo proposito, un carattere essenziale del femminicidio è la sua ricorrenza e ripetitività: sono molteplici i casi che sconvolgono la popolazione e che incutono un senso di turbamento, e talvolta di paura, nelle donne nei confronti di persone a loro vicine. Inoltre, la ripetitività è associata anche ai luoghi del delitto, perché l’omicidio avviene quasi sempre in un contesto intimo, da cui è rilevata una prossimità familiare. Dunque, vi è un’abbondanza di luoghi del crimine comuni, che sono ovviamente le case delle vittime, le case in cui le coppie maturano le proprie storie, le case delle vecchie famiglie unite, ma anche le case spettatrici dei primi casi di violenze. Essendo un fenomeno così regolare, va ad assumere un carattere trasversale, in quanto riguarda tutte le età, tutte le classi sociali, e soprattutto, le varie tipologie di violenza, da quella economica a quella fisica, da quella psicologica a quella sessuale e anche i casi di stalking. Tuttavia, il carattere principale che scatena la violenza contro le donne è il potere. La professoressa Garofalo, mediante il racconto di una tragica storia realmente accaduta ad una povera donna, ci ha spiegato che la violenza nella ‘ndrangheta si traduce proprio in potere e possesso, esattamente come è accaduto a Roberta, morta di stupro una sera in cui passeggiava in un campo di proprietà dell’assassino, il quale ha pensato che dal possesso del terreno derivasse anche il possesso, e dunque il potere, sul corpo della donna. Anche la professoressa Dino ci ha spiegato che alla base della violenza, delle uccisioni e delle tragedie che sentiamo periodicamente ai telegiornali c’è una radicata dimensione e visione squilibrata del potere. Secondo lo stereotipo sempre più comune, che i social hanno promosso ad amplificare, è l’uomo il “sesso forte”, colui che mantiene il suo status di virilità. Tuttavia, io credo che tutti questi episodi, questo continuo sentimento di possesso, di dominio dell’uomo sulla donna, e tutta la presunzione da cui derivano gli stereotipi sono soltanto una corazza che va a nascondere ciò che non ci aspetteremo di un uomo, ovvero la sua fragilità. Il possesso è tutt’altro che amore, è insicurezza, è paura e smania di chiudere in gabbia ciò che non può essere fermato. Solo e soltanto la debolezza dell’uomo si manifesta in una grave aggressività, che non si potrà mai perdonare. A generare l’impulso omicida di un uomo è proprio la sua incapacità a rapportarsi con serenità e senza rabbia alle decisioni di una donna e a gestire le difficoltà delle situazioni. Accettare che la persona che si ha accanto sia una donna così forte da essere capace di non dipendere da nessuno è per molti uomini ancora troppo difficile. Questo avviene perché l’uomo si sente privato dal suo predominio storico dinanzi ad un fenomeno di emancipazione femminile mai visto fino ad ora, in cui le donne sono economicamente autonome, preparate e forti. Ciò è testimoniato dall’abitudine di alcuni uomini a scaricare sulle proprie partner le frustrazioni della loro vita, a prendersela con chi gli sta sempre accanto. Le fragilità psicologiche degli uomini sono spesso celate, mascherate, perché la società e la nostra cultura gli impediscono di dimostrarle. Con questo non voglio dire che la donna non abbia debolezze, perché la fragilità fa parte dell’essere umano. Tuttavia, affermo con la medesima certezza con cui lo narrano i libri di storia, che la donna si è fatta strada da sola, è riuscita a trovare il suo potere in una posizione del tutto sfavorevole, ed è per questo che talvolta non riesce a capire il valore della sua figura nel mondo. È per questo che le donne hanno ancora paura a denunciare, a causa delle minacce fisiche e verbali che le vengono imposte. È per questo che la donna si da la colpa da sola, la colpa di aver scelto l’uomo sbagliato, la colpa ad aver provato un sentimento così forte tanto da abbagliarla. Tuttavia, il fenomeno del femminicidio sarà sempre dominato da questi tipi di stereotipi se mai questi verranno affrontati. Spesse volte le leggi non riescono ad essere necessarie, nonostante cerchino continuamente di sopperire questi squilibri sociali mediante provvedimenti che prevengono violenze. È per questa ragione fondamentale promuovere politiche del lavoro attive e sostenere politiche sociali e culturali. Ancor di più, vi deve essere un intervento composito, che coinvolga ed intervenga su tutti i livelli specifici di violenza. È importante promuovere la cultura all’educazione sentimentale, per tutti i giovani di domani. Le donne hanno bisogno di una forte spinta di coraggio e di autodeterminazione per non avere più paura degli uomini, ma imparare a denunciare e a non sentirsi colpevoli di un processo che distrugge la loro figura.
La parità di genere è, chiaramente, ancora da conquistare. Tuttavia, si deve imparare ad accertarla e a portare rispetto verso il prossimo, al fine di sopperire ogni minimo tentativo di violenza verso una semplice persona, uomo o donna che sia.

 

GAIA MIIRABELLO 5 B LSA

Come la pratica della violenza si sviluppa nelle organizzazioni mafiose
Venerdì 14 gennaio 2022 si è tenuta la terza conferenza del Progetto Educativo Antimafia promosso dal Centro Pio La Torre, che ha visto proporsi come tema fulcro «le disuguaglianze di genere e la pratica della violenza nella società civile e nelle organizzazioni mafiose». Abbiamo avuto modo di ascoltare gli interessanti interventi di Alessandra Dino, sociologa e Docente UNIPA, Beatrice Pasciuta, prorettrice alla Inclusione Pari Opportunità e Politiche di Genere UNIPA, e Sabrina Garofalo, docente UNICAL. In particolare mi preme soffermarmi sulle parole di quest’ultima relatrice, impegnata al centro di Women's Studies dell'Università della Calabria negli studi sulle dinamiche di genere all'interno dei contesti mafiosi. Nello specifico, oggetto dell’intervento è stata la ricerca condotta in Calabria che ha avuto come soggetti coinvolti donne e uomini legati a contesti di fortissimo controllo territoriale da parte della ‘Ndrangheta, mettendo in luce la trasversalità della violenza, che si traduce in pratiche di relazioni violente. E’ di fatto emerso che l'efferatezza, la ricorrenza, la ripetitività e la necessità di annullare i corpi, di cui si è parlato durante tutta la conferenza, vengono vissuti ancor più nei contesti di stampo mafioso. Coloro che ne fanno parte infatti sono ancora legati ad un'immagine stereotipata dell'essere donna e dell'essere uomo, un uomo che non può provare delle emozioni e che deve mantenere una dimensione virile, rispetto invece ad un'idea di donna che deve portare avanti un sistema di valori e dalla quale ci si aspetta l'assoluta adesione al concetto di onore, legato strettamente al proprio al comportamento. Questa immagine dell’onore lascia intendere una visione connessa alla logica dell’essere e dell’apparire, dove apparire risulta essere più importante di autodeterminare la propria soggettività. La donna assume quasi le stesse caratteristiche di mercificazione di un terreno, come perviene anche dal caso di Roberta Ranzino, giovane ragazza uccisa e stuprata perché il terreno su cui si trovava di passaggio era di proprietà di alcuni uomini che hanno voluto possedere anche il suo corpo.
Molte delle vittime hanno paura di parlare a causa dell’azione vendicativa delle mafie e, rassegnate, scelgono di assumersi la colpa o di rimanere in silenzio. Non sono infatti un mistero i casi di donne che sono state uccise con l'acido muriatico assunto per via orale che, in modo simbolico, rappresenta la conseguenza dell’aver parlato, andando a corrodere tutti gli organi metaforicamente legati alla voce.
E’ necessario dunque offrire una via d’uscita alle vittime, proponendo opportunità e servizi sul territorio, con l’obiettivo di riportare al centro della vita delle donne le parole felicità e, soprattutto, libertà.

 

GIANMARCO PANNOZZO 5B LSA

La videoconferenza, tenutasi il 14 Gennaio 2022, del progetto educativo del centro studi Pio La Torre ha avuto come tema centrale delle discussioni: «Le disuguaglianze di genere e la pratica della violenza nella società civile e nelle organizzazioni mafiose». I relatori che hanno partecipato all’incontro sono stati, Alessandra Dino, sociologa e Docente UNIPA, Sabrina Garofalo, docente UNICAL, Beatrice Pasciuta, prorettrice alla Inclusione Pari Opportunità e Politiche di Genere UNIPA. La conferenza è stata aperta con l’ascolto di un brano di orchestra riguardante le tre cose che Pio La Torre detestava: lo sfruttamento, la mafia e la guerra.
La pandemia, nel corso degli anni, ha messo alla luce le disuguaglianze ambientali, economiche, di genere e le ha fatte crescere. Di pari passo con questa crescita abbiamo visto aumentare il potere del fenomeno mafioso e il concetto della violenza in ambito delle famiglie civili e mafiose. Il problema è difficilmente risolvibile perché non è una violenza solo femminile, ma è proprio una questione sociale che ha a che fare con la violazione dei diritti. Un elemento fondamentale è quello degli stereotipi che rendono complicata la lotta alla violenza perché non si parla solo di una violenza fisica ma anche psicologica e dunque difficile da rinvenire, ed inoltre è trasversale perché comprende tutte le età e le classi sociali. Proprio per queste diverse situazioni nelle quali si può presentare la violenza essa è sempre più complessa. Anche in politica purtroppo fino a qualche anno fa ancora trovavamo una diseguaglianza nei diritti tra uomo e donne, dove la donna veniva ritenuta inferiore contro l’uomo, come se non venisse riconosciuta all’interno degli organi familiari. Per fortuna col nuovo millennio la legislazione si è evoluta ed ormai abbiamo leggi contro lo stalking e il maltrattamento.
All’interno delle organizzazioni mafiose il concetto di violenza si fa sempre più grande perché è sempre stato uno strumento usato e diffuso per ampliare il proprio potere. Un concetto che coincide con quello di violenza è quello dell’onore, il quale è ancora presente ad esempio in contesti di ‘ndrangheta. Quindi ancora oggi nei contesti mafiosi si dà una forte importanza alle aspettative di essere un uomo e di essere una donna, che si lega alla logica essere/apparire purtroppo ancora presente, molte sono state le testimonianze di donne che non potevano incontrare uomini per il rischio di essere notate in pubblico e quindi trovarsi in pericolo in seguito. Molte sono state le testimonianze raccontate in questa videoconferenza che sono la dimostrazione del fatto che la violenza di genere è sfortunatamente costante ogni anno, e a questa violenza la mafia si lega perché essa divora la donna e la sua voce in capitolo, come l’acido. Un ruolo importante lo hanno i giovani perché saranno loro gli uomini di domani e devono riuscire a capire la gravità del fenomeno per poi insegnarlo ai loro prossimi.

 

MARTINA STRAVATO 5 B LSA

“Per tutte le violenze consumate su di Lei, per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l'ignoranza in cui l'avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato, per tutto questo: in piedi Signori, davanti a una Donna!”
Leggendo questa frase di William Shakespeare ho pensato immediatamente alla conferenza a cui ho assistito, insieme ai miei compagni, riguardo la delicata tematica della violenza di genere, e in modo specifico, di quella nei riguardi del genere femminile.
Come tutti i mesi, infatti, i ragazzi dell’ITI A. Pacinotti di Fondi, con la compresenza di ulteriori scuole, hanno assistito ad una delle numerose conferenze del progetto educativo antimafia promosso dal Centro Studi Pio la Torre e, in quella specifica del 14 gennaio 2022, ci sono stati delle relatrici molto preparate che hanno esposto la tematica da vari punti di vista e portando molti esempi di vere sentenze.
Sicuramente non era possibile iniziare un discorso del genere senza enunciare le conseguenze apportate dalla pandemia in questo contesto dal momento che sono accresciute enormemente le notizie di cronaca nera in questo contesto e, più nello specifico del nostro discorso, anche nell’ambito mafioso e la causa di questo è stata, in modo quasi sicuro, l’obbligo alla condivisione di spazi per interi giorni e, addirittura mesi, da parte di persone che vivevano già una condizione precaria; infatti, come enunciato anche dalla relatrice Alessandra Dino, sociologa e Docente UNIPA, queste donne vengono assassinate nel 90,2% dei casi da uomini conosciuti e la violenza viene consumata all’interno di una dimensione familiare alla vittima.
La prima relatrice a prendere la parola è stata Beatrice Pasciuta, professoressa di giurisprudenza all’Università di Palermo, che ha parlato riguardo analizzando come questo argomento sia estremamente trasversale perché coinvolge tutte le società, senza distinzioni culturali o di provenienza, e di come all’interno dell’università in cui lavora, insieme alla seconda relatrice Alessandra Dino, abbia deciso di creare una struttura che si occupi delle tematiche annesse alle disuguaglianze, in generale, attraverso una serie di azioni mirate ad accrescere la sensibilità all’interno, soprattutto, dei giovani.
La seconda a parlare è stata la professoressa Dino che si è occupata di dare un introduzione alla tematica portando dei significanti esempi presi da alcune sentenze che è riuscita ad analizzare con molte difficoltà nel classificarle , anche da parte del ministero della giustizia perché, in molti casi, questo atto non deriva solo dal privato poiché, se lo inquadriamo solo in questo modo, rischieremo di inquadrarlo come un problema di singole donne ma invece questo dovrebbe essere analizzato come un problema per la società intera che ha a che fare con la violazione dei diritti umani (come stabilito nel 2011 dalle convenzioni di Istanbul e ratificato solo nel 2013 in Italia).
Una problematica molto importante in questo contesto è quella degli stereotipi e dei pregiudizi perché rendono la lotta a questa molto più complicata dal momento che ciò si esprime attraverso la parola ed è difficile modificare il pensiero di una persona per quanto riguarda, per esempio, la corporeità femminile perché, infatti, il loro corpo viene considerato come fosse un luogo in cui esercitare la propria violenza, una violenza che non è occasionale o dettata da un raptus ma anzi, è continuativa con la finalità di degradare e umiliare la donna riducendola a “cosa” ed è lo stesso motivo per cui dopo un omicidio questa venga gettata in un burrone.
Purtroppo, nel caso del nostro paese, questo è intrinseco nella mentalità di molti uomini perché, fino alla soglia del nuovo secolo, era considerato normale picchiare la moglie per “preservare la famiglia” o considerare più grave un adulterio da parte della donna piuttosto che da parte dell’uomo.
Un altro tipo di pregiudizio lo ritroviamo proprio all’interno delle aule del tribunale ed infatti quando la vittima è straniera il giudice è molto più propenso a spingere l’ago verso un assassinio compiuto in relazione al concetto di potere tra uomo e donna oppure, nel caso in cui un assassinio di una straniera avvenga per mano di un italiano, il giudice concede all’uomo delle attenuanti dandogli, in alcuni casi, solo 16 anni di carcere.
I media, in questo contesto, sono importantissimi perché costruisce delle rappresentazioni sociali che porta alla legittimazione del colpevole e alla “vittimizzazione” della vittima, appunto, andando avanti ad acuire gli stereotipi trattando solo i casi che fanno più notizia e trascurando molti dei casi in cui sono le donne anziane ad essere uccise, preferendo le notizie riguardo le giovani, o il fatto che un italiano abbia ucciso una donna, preferendo un omicidio di un italiano per mano di uno straniero.
Successivamente abbiamo assistito all’intervento della professoressa Sabrina Garofalo, docente dell’università della Calabria, che si occupa di studi sulle dinamiche di violenza di genere all’interno di contesti mafioso, nel suo caso specificatamente la ndrangheta, attraverso cui ha capito che anche qui è molto presente il senso dei pregiudizi che modificano il comportamento delle persone: la donna viene stereotipata come una persona da cui ci si aspetta la riproduzione, la fedeltà e l’assoluta adesione al concetto di onore strettamente legato al comportamento dell’uomo che, enfatizzato dai social network, deve seguire l’ideale di uomo che possiede una bella auto e una bella donna.
Parlando proprio della parola “onore” dobbiamo ricordarci che in contesti mafiosi questa è la parola chiave e che non è legato solo al comportamento maschile ma all’intera società e questo lo possiamo facilmente intuire da alcuni casi in cui le figlie vengono repudiate dalla stessa madre perché “meglio una figlia morta che una figlia disonorata”.
È stato molto importante il contribuito della docente Garofalo perché ha permesso una maggiore comprensione di questo fenomeno, estremamente vicino, grazie alla spiegazione di alcune sentenze molto toccanti come quella di Roberta; lei era una giovane ragazza che è stata uccisa nell’estate del 1989 a causa dell’attraversamento di un  per giungere in molto più veloce al mare che ha comportato il suo stupro, così forte da provocarne la morte, e questo solo perché per il proprietario concepiva il corpo di Roberta gli apparteneva come un oggetto che gli apparteneva e, questo concetto, è legato alla signoria territoriale che domina questi territori.
Una caratteristica del femminicidio è l’efferatezza, la ripetitività e la simbolicità che ritroviamo anche nei femminicidi e, per spiegare questo ampio concetto, la professoressa ha portato l’esempio di quest’uomo che, dopo aver accoltellato (attenzione alla scelta di armi molto violente in sé) per ben 60 volte la donna ha continuato con molto entusiasmo anche sul volto (proprio ad annientare completamente la sua essenza).
Legato al concetto di simbolicità, grazie alla testimonianza di Maria Concetta Cacciola, sappiamo che alcune donne sono state suicidate con l’acido muriatico, in contesti di ndrangheta, per ricordare che il movente di quell’assassinio era legato al suo atto di parlare e che, per questo motivo, viene messa a tacere attraverso questo metodo estremo.
La cosa più sconcertante è che la maggioranza degli uomini che attuano questi omicidi non hanno nessuna precedenza penale dello stesso tipo e, ancora meno, sono quelli con problematiche legate alla sanità mentale (solo nell’8% dei casi); nella maggior parte dei casi ciò che fa scattare nell’uomo questo istinto brutale è, per lo più, la gelosia che viene visto come un elemento plausibile affinché non venga data alcuna forma di aggravante per futili motivi in atto di sentenza.
Un modo per contrastare il tutto è, sicuramente, quello di approvare alcune leggi ma, molto spesso, questo non basta perché, come possiamo notare in molte sentenze, le donne vittime di omicidio in molti casi avevano denunciato una violenza da parte del partner mentre nella maggior parte dei casi questo non avviene perché la donna è rassegnata a causa delle manacce fisiche che subisce ogni giorno, anche nei confronti dei familiari, o perché semplicemente se ne colpevolizzano pensando di essere loro la causa di tutto questo dolore.
Alla fine di questo discorso ciò che rimane, quindi, è la consapevolezza del fatto che sia necessario un intervento sociale grazie all’aiuto delle scuole e di università (proprio come attuato dalla professoressa Pasciuta in collaborazione con la professoressa Dino), per cercare di creare nella popolazione più giovane una consapevolezza maggiore riguardo la figura femminile in modo da conquistare, passo dopo passo, il concetto di conoscenza di sé che ci porterà incontro ad un percorso di autodeterminazione della libertà. 


Marco Brizzi, 4 A Lsa Pacinotti Fondi 

Nella terza conferenza del Centro studi Pio La Torre, sono stati trattati temi riguardanti le disuguaglianze di genere e le annesse violenze all’interno della società civile e delle organizzazioni mafiose. Per trattare con dati alla mano queste importanti tematiche sociali, gli organizzatori hanno invitato tre specialiste in materia: Beatrice Pasciuta, nominata prorettrice dell’università di Palermo; Alessandra Dino, sociologa all’università di Palermo; Sabrina Garofalo docente all’università della Calabria.

Oltre alla narrazione oggettiva degli eventi e all’analisi dei dati sui reati, ciò che mi ha colpito maggiormente è stata la descrizione dell’evoluzione legislativa in quest’ambito. Penso che l’intervento di Alessandra Dino sia stato quello più interessante e coinvolgente, perché grazie alle percentuali e ai dati portati come argomentazioni alle sue tesi, è riuscita a smontare pregiudizi e stereotipi che i media tendono ad inculcarci (ne parlerò in seguito).

La parola chiave della conferenza, come ha affermato Alessandra Dino, è la parola “potere”. La preservazione del potere infatti, è esattamente ciò che spinge l’uomo ad adottare comportamenti violenti, o ad avere reazioni sbilanciate. Questa violenza si riversa dunque sul corpo femminile, che diventa un elemento di sfogo, il quale deve essere umiliato e degradato per appagare il desiderio del violento.

Tra le caratteristiche dei femminicidi infatti, ritroviamo questa efferatezza, mista a brutalità, che spinge l’uomo a colpire e percuotere la donna anche quando ormai il corpo è senza vita. La maggior parte dei colpi vengono sferrati sul viso, simbolicamente, dimostrando la volontà di sfigurare.

Ma soffermiamoci sulla parola “femminicidio”. Questa parola era già presente nel vocabolario inglese, sin dal 1848, e si riferiva all’uccisione di una donna in quanto tale, dovuta proprio alla asimmetria di potere già in precedenza accennata.

Alessandra Dino inoltre, fa riferimento all’ordinamento politico italiano e ne descrive la natura sessista, facendo riferimento alle leggi che descrivono le pene per i vari reati di omicidio.

Ad esempio, fino al 1996, la violenza carnale non veniva considerato come un reato contro la persona, bensì contro la moralità pubblica, come se il malessere della donna non avesse alcuna importanza. Altro caso assurdo è quello del reato d’onore, abolito solo nel 1981, che puniva gli uomini che uccidevano per salvaguardare una particolare “forma di onore” con una pena che andava dai tre ai sette anni, una pena praticamente nulla per un omicidio di questo tipo, a prescindere dalle motivazioni che lo causano.

In tempi moderni la legislazione si sta però evolvendo, come nel caso della legge sullo stalking, emanata nel 2009, o quella del 2013 riguardante il divieto di avvicinamento dell’uomo violento all’abitazione della donna.

Come ho detto in precedenza, Alessandra Dino ha inoltre deciso di descrivere i falsi pregiudizi che dominano le nostre opinioni quando ascoltiamo la notizia di un femminicidio. Contrariamente a quanto ci si aspetta infatti, la maggior parte delle uccisioni avvengono all’interno del matrimonio e non dopo una separazione o dopo le serie tensioni che ne potrebbero conseguire. Un’altra falsa opinione è quella che vede l’assassino come un mostro, che ha disturbi psichici o qualche squilibrio comportamentale. Gli uomini coinvolti in femminicidi, invece, sono in moltissimi casi soggetti di cui non si sospetta, sicuramente non è raro trovare assassini con precedenti penali e violenze pregresse, ma è raro anche che si trovino reati specifici dello stesso ambito. Inoltre nel 92% dei casi gli uomini non soffrono di nessuna malattia mentale, solo nell’8% dei casi si parla di persone affette da psicosi.

Argomento importantissimo che viene trattato dall’esperta è quello riguardante il metodo di approccio dei magistrati.

QQQQuando la vittima è straniera ad esempio, il giudice è propenso a guardare il reato nei termini di potere tra un soggetto e l’altro. A dimostrazione di questa sua idea, la sociologa racconta un caso di femminicidio in cui un uomo, frustrato dal tradimento di sua moglie e offeso da una presunta offesa di una prostituta romena (sulla quale però non si hanno prove o testimoni) decise di ucciderla. Il giudice, alla conclusione del processo, utilizzerà la situazione privata dell’assassino come attenuate al reato.

Tutto ciò è assurdo ed ingiusto. Per un atto del genere, la situazione di frustrazione personale non può assolutamente essere ritenuta un’attenuante; un omicidio è un omicidio, e deve essere descritto e punito come tale. Ovviamente esistono altri tipi di attenuanti, ma sicuramente la situazione personale descritta in precedenza non può essere ritenuta una giustificazione.

A proposito di attenuanti e aggravanti, la docente fa riferimento ai casi di gelosia e a quelli riguardanti situazioni economiche. Un femminicidio giustificato con la gelosia non è ritenuto aggravato per futili motivi, mentre se la motivazione che ha spinto a svolgere il gesto si evidenzia in ambito economico, ecco che viene attribuita l’aggravante per futili motivi.

Questa differenziazione mi sembra totalmente illogica, anzi, penso che i due casi debbano essere trattati in maniera inversa. Mi spiego meglio. Poniamo due casi differenti: nel primo caso abbiamo un uomo che uccide sua moglie dopo aver subito un presunto tradimento, mentre nel secondo caso abbiamo un uomo che rischia di perdere molti dei suoi averi e delle sue risorse economiche successivamente alla separazione con la moglie e, una volta resosi conto di rischiare di cadere in rovina a causa della cattiveria della donna, accecato dalla rabbia decide di ucciderla. Nel primo caso, escludendo la componente ovvia legata alla rabbia, l’uomo compie l’atto per una motivazione: la perdita di dignità e il conseguente odio verso la donna. Oltre alla relazione amorosa e alla “dignità” che pensa di aver perso, l’uomo non ha nessuna privazione in termini di sicurezza, di tranquillità, di salute. Nel secondo caso invece, l’uomo vede togliersi i suoi averi, la sua tranquillità economica, viene pervaso dalla paura di finire in rovina e soprattutto viene accecato da una rabbia differente rispetto al caso precedente: mentre nel caso della relazione amorosa la rabbia scaturisce dalla “dignità” che il soggetto pensa di aver perso, nel secondo caso l’uomo è consapevole di ricevere una vera e propria prepotenza, finalizzata alla sua rovina. Sono dunque convinto che sarebbe molto più corretto catalogare come aggravante per futili motivi la gelosia e la parte economica.

La gelosia inoltre fa parte del classico stereotipo: “la amava così tanto che l’ha uccisa”, oppure di molti altri analoghi. L’amore, invece, non genera mai morte. Le giustificazioni amorose che vengono date sono sempre finalizzate alla motivazione reale: il mantenimento del potere sulla donna.

Ecco che questo concetto di potere alla base della conferenza viene utilizzato come aggancio da Sabrina Garofalo per la descrizione di eventi violenti in ambito mafioso.

Infatti, durante il suo intervento la docente ha descritto numerosi episodi in cui la mafia voleva rendere evidente la sua egemonia sia sui territori sia sulle donne, soprattutto utilizzando elementi simbolici. Ci fu un caso in cui, nella provincia di Cosenza, una ragazza si trovò a passare a piedi all’interno di una proprietà privata e perse la vita a causa di uno stupro da parte dei mafiosi proprietari del terreno. Un altro episodio vide delle ragazze assassinate essendo state costrette a bere dell’acido. Il fine dei mafiosi era quello di distruggere le corde vocali e le bocche delle povere ragazze, strumenti che avevano utilizzato per dire qualcosa che i malavitosi avevano percepito come “mancanze di rispetto”.

Di tutti questi casi, le rappresentazioni mediatiche tendono ad evidenziare solo le dimensioni episodiche piuttosto che sistematiche e, di conseguenza, non ci permettono di avere una percezione totale del fenomeno.

Caratteristica dei femminicidi infatti è la sua trasversalità, la quale però non viene messa in evidenza dai media, i quali tendono a rendere pubblici eventi riguardanti donne giovani oppure assassini stranieri, in quanto risultano essere più notiziabili grazie alla xenofobia che caratterizza la popolazione del nostro Paese.

Nonostante siano molti di più i femminicidi che vedono protagonisti uomini e donne italiani, questi eventi non vengono pubblicati in quanto non attraggono l’attenzione del popolo.

Per avere una prospettiva completa e dettagliata su questa problematica dunque, bisognerebbe osservare fonti più specifiche e non i vari telegiornali che ci indirizzano solo verso determinati avvenimenti.

In conclusione voglio riproporre un quesito importantissimo posto da Alessandra Dino: come si può contrastare questo fenomeno? La mia idea di cambiamento e di risoluzione del problema coincide perfettamente con ciò che la sociologa afferma riguardo la scuola e l’utilizzo della parola. Le leggi, infatti, talvolta non bastano, perciò il passo successivo è agire sulla cultura della popolazione. La scuola deve cercare di educare i ragazzi a principi di uguaglianza e rispetto, distanti dai classici stereotipi di virilità e onore, che hanno per moltissimo tempo caratterizzato in maniera evidente il nostro modo di pensare. La parola e la scuola dovranno quindi porsi alla base di un cambiamento finalizzato ad una riduzione delle disparità culturali, che, consequenzialmente, dovrebbero portare anche ad una riduzione delle disparità sociali ed economiche.


Adelaide Anzelmo 5^A Chimica


Venerdì 14 Gennaio 2022 dalle ore 9:00 alle 11:30 presso la sede del Centro Studi Pio La Torre a Palermo, si è tenuta la videoconferenza del Progetto Educativo Antimafia promosso dal Centro studi Pio La Torre, nella quale è stato trattato il tema riguardante le disuguaglianze di genere e la pratica della violenza nella società civile e nelle organizzazioni mafiose.

Durante la videoconferenza abbiamo assistito ai vari interventi da parte di vari relatori come: Alessandra Dino (sociologa e docente UNIPA), Sabrina Garofalo (docente UNICAL) e Beatrice Pasciuta (prorettrice alla inclusione pari opportunità e politiche di genere UNIPA).

La conferenza si è aperta con una affermazione, ovvero che la pandemia degli ultimi anni ha significativamente aumentato i casi di violenza di genere, in quanto la pandemia Covid-19 stessa e le misure adottate per il contenimento della sua diffusione ad esempio il confinamento tra le mura domestiche possono aver accentuato il rischio di comportamenti violenti, contro le donne affiancate, inoltre, da minori che vivono nelle situazioni di violenza e dalle difficoltà amplificate per i gruppi di popolazione particolarmente vulnerabili, come le donne straniere e con disabilità, o appartenenti a realtà sociali ed economiche svantaggiate. Sono diversi gli scenari possibili: dall’aumento delle vittime della violenza (i nuovi casi), alla recrudescenza della violenza preesistente alla pandemia (la maggiore gravità), all’aumento delle sole richieste di aiuto per violenze insorte in precedenza.

La relatrice Alessandra Dino ha illustrato in modo generale e chiaro le azioni che corrispondono a questi atti di violenza; da quella psicologica e fisica a quella sessuale, dagli atti persecutori del cosiddetto stalking allo stupro, fino al femminicidio, che riguardano un vasto numero di persone discriminate in base al sesso.

È stata posta molto l’attenzione sulla similitudine tra femminicidio e atti mafiosi e su come in tal caso si verificano gli atti di violenza di genere all’interno dei fenomeni mafiosi.

Gli studi dedicati al ruolo della donna nella mafia accompagnati da esempi di storie vere ci rivela come la condizione delle donne all’interno del sistema mafioso oscilli tra complicità, responsabilità e vittimizzazione intesa come subordinazione e sfruttamento.

Sebbene ufficialmente le donne continuino a non far parte dell’organizzazione, a non poter essere formalmente affiliate e a non partecipare ai riti di iniziazione, sono state sempre presenti nelle dinamiche di potere delle organizzazioni mafiose e in molti casi si sono sostituite agli uomini incarnando i medesimi disvalori, tuttavia per quanto riguarda invece la condizione di vittimizzazione, le vittime della mafia non sono solo quelle persone che vengono uccise ma anche quelle donne, sia estranee sia interne alla famiglia mafiosa, che vengono sfruttate dalle associazioni mafiose per soddisfare gli interessi dell’organizzazione stessa e quelle donne nate e cresciute in famiglie mafiose che, nonostante arrivino a ricoprire ruoli di comando, continuano comunque ad essere sottoposte ai maschi della famiglia (padri, mariti, fratelli) anche per quanto riguarda la sfera prettamente privata, e la loro vita personale.

Dalla relatrice S.Garofalo sono stati riportati alcuni esempi di queste donne vittime d questi atti , tra cui Maria Concetta Cocciola, figlia di Michele e nipote diretta del boss Gregorio Bellocco, il capofamiglia di Rosarno, una delle famiglia più potenti.

La donna frequentò a 13 anni Salvatore Figliuzzi, con la quale si sposò qualche anno dopo per entrare a far parte della “’ndrina dei Bellocco”.

Dopo l’arresto di suo marito, la donna fu costretta a vivere una vita senza libertà con i suoi tre figli, infatti elle era costretta dai membri del clan a vivere secondo le loro regole, però la donna cominciò una relazione sentimentale con un uomo conosciuto qualche tempo dopo su internet, non appena si diffuse la notizia, la donna venne picchiata selvaggiamente dal padre e dal fratello per aver “disonorato” la famiglia.

O ancora la storia di Roberta Lanzino 19 anni, quando, sulla strada per il mare, dove si sta recando, in motorino, seguita a breve distanza dai genitori che si fermano per brevi soste impreviste, viene selvaggiamente aggredita, seviziata, violentata e uccisa, per la sola “colpa” di essere donna.

Roberta muore, per un taglio alla gola: le spalline, conficcate nella bocca, certo per attutire il suo urlo di dolore; almeno cinquanta ferite e una caviglia slogata: il suo vano tentativo di sfuggire alla furia delle bestie umane, e sul suo corpo, l’impronta biologica degli assassini, quel liquido seminale, testimonianza di una violenza connotata.

E come loro tante e tante altre sono le donne che ogni giorno possono e vengono uccise per la sola ragione di essere “donne”, e per questo paragonate ad un oggetto, ad una ricchezza materiale, ad un territorio da gestire, e a molte altre cose che rendono questa figura un essere di nessun valore morale.

ll 17 luglio 2019 fu approvato definitivamente dal Senato il cosiddetto Codice Rosso, Legge 19 luglio 2019, n. 69 recante "Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere" in cui la legge ha ritenuto di qualificare come Codice rosso alcuni delitti che, per la loro gravità e la frequenza con cui sfociano in esiti drammatici, necessitano di un intervento immediato delle autorità competenti.

Nonostante questa legge e l’informazione accompagnata alla formazione dei giovani uomini e donne, sono ancora troppe le donne che subiscono violenza.

Spero che in futuro questa tragica parola ovvero femminicidio sia solo un lontano ricordo, perché ciò vorrà dire che non sono più presenti uomini che non sono degni neanche di essere chiamati tali.


Federica Iacozza, Valentina Colantone, Eleonora Forte, Sara Pinto, Lucia Lo Stocco e Arianna Ostacolato.

Giusy Pesce, Roberta Lanzino, Maria Concetta Cacciolla, Anna Cupelloni, Dorjana Cerqueni, Alessandra Zorzin, Sonia Lattari, Giuseppina Di Luca, nomi di donne comuni, tutte ad oggi accumunate da una stessa storia di violenza. Venerdì 14 gennaio, presso la sede del centro studi Pio La Torre a Palermo, si è tenuta la settimanale conferenza del progetto educativo antimafia. E’ Alessandra Dino , a introdurre l'argomento principale della conferenza: le disuguaglianze di genere e violenze nella società odierna. Queste violenze figlie di una società di stampo patriarcale hanno spesso lo scopo di umiliare e degradare la donna. Importante testimonianza è quella di Sabrina Garofalo, del centro women's studies dell'università in Calabria che si occupa principalmente di studi sulla violenza di genere all'interno dei contesti mafiosi. Questa insieme ad altre ricercatrici come Alessia Tuselli, hanno scelto di concentrarsi sullo scambio di soggettività femminile nei contesti ad alto controllo mafioso principalmente relativi alla ndrangheta che è caratterizzata dall'essere un'organizzazione criminale a carattere totalitario che rafforza il suo potere attraverso un controllo minuzioso sia sui corpi che sui territori. Da una ricerca condotta in Calabria e che ha coinvolto uomini e donne legati a contesti di fortissimo controllo territoriale, è emerso come la ndrangheta ha come caratteristica principale oltre al controllo sul territorio anche quello sui corpi femminili, un aspetto appartenente al passato ma ancora di forte attualità. Molti sono stati i nomi citati di uomini e donne che hanno subito violenze, e fortissime le storie raccontate come quella di di Giusy Pesce, donna collaboratrice di giustizia che attualmente vive con un’altra identità, Giusy che ha subito ripetute violenze da parte del compagno, il quale si ribellava nel momento in cui Giusy esprimeva una sua opinione o pensiero personale che andava contro quello di lui, è riuscita a tutelarsi e ritornare a vivere. Di questo tipo di violenze ne esistono in abbondanza, dove purtroppo l’assenza di denunce ha portato ad una violenza che è proseguita nel tempo, da parte di familiari, o proprio da parte del partner, l’uomo o la donna che ci sta accanto, che diventa “carnefice”.

Un altro tipo di violenza di genere è quella accaduta a molte donne come Maria Concetta Cacciolla, le quali sono state uccise facendole ingerire l’acido muriatico. Questo tipo di violenza è praticata soprattutto dai capi di clan mafiosi per cancellare ogni singola traccia delle violenze che hanno commesso. La professoressa successivamente si sofferma su storie dove il potere dell’ Ndrangheta si trasforma in un potete totalizzante sui corpi delle donne. In particolare ci parla di tre casi:

Il caso di Roberta Lanzino, la quale nel 1989 si trovava a passare in un terreno privato nei pressi di Cosenza per raggiungere la località di mare. Fu uccisa dopo ripetute violenze da parte di uomini in possesso di quella proprietà terriera.

I casi di due giovani donne, di 12 e 13 anni, che circa due anni fa subirono uno stupro di gruppo. Entrambe le ragazze si erano innamorate di due ragazzi appartenenti a gruppi mafiosi, i quali utilizzarono questo legame per portarle ai loro rispettivi gruppi dove subirono ripetute violenze.

Come avvengono però violenze sulle donne, così anche negli uomini accade. È il caso di Pino Russo Luzza, il quale si era innamorato di una ragazza, promessa però in sposa ad un uomo mafioso. Per questo suo legame con la donna, il presunto “promesso sposo” insieme al suo gruppo, decisero di ammazzare Pino.

Ciò che la professoressa Garofalo ha cercato di trasmetterci con queste storie è il fatto che molto spesso la potenza mafiosa è in grado di commettere qualsiasi cosa, nel momento in cui loro ritengono che quella determinata cosa, o anche persona come accadde con il caso di Pino Russo, siano di loro proprietà sono disposti a tutto pur di tenersela. Conclude inoltre il discorso affermando che bisogna emergere da queste violenze e che bisogna denunciare e cercare di combatterle da subito. Al giorno d’oggi sono molto importanti l’educazione sentimentale affettiva, relazione tra uomo e donna, e il rispetto di entrambi sessi. Ancora nel XI secolo l’uomo commette violenza verbale e fisica sulla donna. Parlare di tutto questo come una malattia significa dire che abbiamo uomini patologici con comportamenti residuali. I mafiosi non sono malati e neanche gli uomini violenti quindi occorre agire in maniera differente. Oggi le donne possono rendersi fiere di essere riuscite ad arrivare a coprire ruoli importanti a livello politico e sociale, ma hanno davanti un percorso molto lungo e complesso, perché sono condizionate dal genere maschile. Parliamo ancora oggi di disparità salariale nel mondo del lavoro, quindi noi donne non abbiamo purtroppo ancora conquistato totalmente la parità dei sessi che ci dovrebbe essere garantita dalla nascita. Le donne di mafia sono emancipate perché hanno ruoli di comando all’interno delle organizzazioni per delega da parte di un uomo di famiglia o per sostituirlo. In ambito mafioso la valorizzazione della donna è seguita solo per immagine , Quando invece nella realtà non è così. Il potere maschilista si trasforma in una sorta di dominio sul corpo delle donne. L’assenza di educazione affettiva nelle scuole porta alla violenza di genere nella vita di tutti giorni, perché proprio dai più piccoli bisogna partire per insegnare il rispetto. Come sappiamo il senso di possesso che questi uomini provano nei confronti della donna è culturale, e se questo può spaventarci ci dà anche una grande speranza, perché come sappiamo la cultura può sempre essere decostruita.


Arianna Sarcina 5^A Chimica

Venerdì 14 Gennaio 2022, dalle ore 9 alle ore 11.30, presso la sede del Centro Studi Pio La Torre a Palermo, si è tenuta la conferenza del progetto Educativo Antimafia promosso dal centro Studi Pio La Torre.

Il tema affrontato durante la conferenza è stato: “Le disuguaglianze di genere e la pratica della violenza nella società civile e nelle organizzazioni mafiose”.

Sono intervenuti moti relatori, tra cui Alessandra Dino, sociologa e docente universitaria, Sabrina Garofalo, docente universitaria e Beatrice Pasciuta, prorettrice alla Inclusione Pari Opportunità e Politiche di Genere.

Le Nazioni Unite in occasione della Conferenza Mondiale sulla Violenza contro le Donne tenutasi a Vienna nel 1993, definiscono la violenza di genere come ogni atto legato alla differenza di sesso che provochi o possa provocare un danno fisico, sessuale, psicologico o una sofferenza della donna, compresa la minaccia di tali atti, o l’arbitraria privazione della libertà sia nella vita pubblica che nella vita privata.

Per violenza di genere si intende, quindi, la violenza diretta ad una persona sulla base della sua appartenenza, appunto, di genere, ovvero la violenza agita dagli uomini contro le donne proprio perché donne - che siano esse compagne, figlie, sorelle, madri, conoscenti etc. In questo senso la violenza di genere si distingue da altre forme di violenza ed è importante mantenerla concettualmente distinta per comprenderne le origini, le cause e le ripercussioni.

La violenza di genere, però, non deve essere inquadrata come un problema che riguarda le singole donne, ma come una questione sociale che ha a che fare con la violazione dei diritti umani. Essa, nonostante sia molto diffusa, sistematica e capillare, è complicata da inquadrare per la tortuosità delle sue motivazioni.

Dalle differenti classifiche stilate, si può osservare che il corpo femminile viene considerato il luogo in cui esercitare la violenza, che non è occasionale o dettata da reazioni impulsive, ma è una violenza continuativa che ha una finalità di degradare e umiliare la donna per ridurla ad un oggetto.

Le relatrici hanno riportato esempi di varie tipologie di violenza, poiché oltre a quella fisica, c’è quella psicologica ed economica. Un racconto che mi ha fatto riflettere è stato quello di una donna che è stata colpita con sessanta coltellate da suo marito, e nonostante fosse già morta, egli ha continuato a colpirla, dicendo che il suo intento era quello di eliminarne completamente il suo volto.

Il femminicidio ha la stessa valenza culturale, sociale e criminale della mafia. Si deve pretendere dallo Stato lo sforzo dimostrato nel combattere il fenomeno mafioso, perché il femminicidio, inteso in senso ampio, arriva ad ammazzare, nel disinteresse assoluto, più della mafia, uccide la vita e la dignità di intere generazioni, rendendole succubi e incapaci di reagire.

La donna vittima di violenze si trova in un contesto di omertà, rifiuto e negazione identico a quello della mafia, ma è sostanzialmente sola.

Il tema della disuguaglianza di genere è legato al tema mafioso, infatti la relatrice Sabrina Garofalo ci ha parlato proprio della ‘Ndrangheta che rafforza il suo potere attraverso un controllo capillare sui corpi e sui territori.

Purtroppo gli ultimi due femminicidi legati alla ‘Ndrangheta sono avvenuti cinque anni fa, quindi parliamo di situazioni molto recenti.

Il potere della mafia si traduce in potere totalizzante sui corpi delle donne e una storia che mi ha fatto capire ciò, è quella di alcune ragazze di dodici anni che hanno subito stupri di gruppo. Esse si sono innamorate di giovani ragazzi appartenenti o vicini ai gruppi locali di ‘Ndrangheta. I ragazzi hanno utilizzato queste ragazze come merce di scambio, le quali hanno successivamente subito violenze per tre anni da parte di tutti i componenti del branco di cui questi giovani si identificavano come leader. Le giovani ragazze ora sono rassegnate perché hanno paura della vergogna e della ricaduta in tali minacce.

Un altro racconto che voglio riportare è quello di un uomo di nome Pino, il quale si era innamorato di una donna che era promessa sposa ad un altro uomo, per rafforzare i legami tra famiglie mafiose. Pino è stato ucciso e nella sentenza si legge che l’omicida ha detto di averlo ucciso per far capire che come non si guardano le loro donne, non si devono guardare nemmeno i loro territori.

L’accostamento tra femminicidio e fenomeno mafioso deriva dal fatto che entrambi hanno una matrice culturale ed identitaria; ed entrambi riguardano interi ambiti territoriali e sociali. In questi casi la cifra è data da una relazione di sopraffazione e dominio: da parte degli uomini nel femminicidio, e da parte dei clan di uomini nelle associazioni mafiose. Queste relazioni creano una condizione di totale assoggettamento di chi è sottoposto a questo tipo di rapporto gerarchico e di potere. In entrambi i fenomeni quindi c’è la demolizione della natura libera dell’essere umano ed il basare qualsiasi relazione sulla sopraffazione, il potere, e la violenza. Un altro elemento in comune è l’omertà del contesto sociale e culturale, in cui nessuno ha visto, nessuno ha sentito, nessuno ha capito, e tutto tende a minimizzare ed a ridimensionare l’evidenza della sopraffazione e della violenza. Questi sono i connotati comuni, ma ci sono anche delle differenze.

La differenza fondamentale sta nel fatto che la mafia è un fenomeno storico delimitato nel tempo, ha radici più vicine a noi; il femminicidio invece è una realtà storica millenaria. Non ha frontiere, è diffuso più o meno con le stesse modalità in tutto il mondo; non conosce differenze religiose, culturali, etniche, geografiche, economiche. Quindi è molto più facile contrastare la mafia e molto più difficile contrastare la violenza nei confronti delle donne perché tutti noi abbiamo assorbito il sostrato culturale che ne è il fondamento. Questo lo rende un fenomeno invisibile e che permea tutto e tutti, e che quindi è più difficile da identificare e contrastare. 

Spesso si sentono storie di donne, che oltre a subire violenze, si prendono anche le colpe di ciò che è accaduto, perciò secondo me, esse devono fare percorsi di liberazione, di emancipazione e di autodeterminazione.

È importante che ci sia un rapporto di parità tra l’uomo e la donna e ognuno di noi deve essere ricevere un’educazione sin da piccolo, anche a scuola, per individuare le violenza, anche verbale. Secondo me, le donne vittime di continue violenze oltre a denunciare e ad usufruire di uno psicologo, devono rivolgersi ai centri appositi sul territorio, i quali devono essere ampliati perché attualmente ci sono poche case-famiglia che accolgono le donne.

Tutti noi dobbiamo avere consapevolezza e informazione continua, e voglio concludere con una frase che mi ha colpito: "Quella che ci unisce anche oggi è una battaglia di libertà, giustizia e civiltà che non possiamo permetterci di perdere – ha aggiunto la presidente di Palazzo Madama – È da affrontare insieme in difesa di ogni donna costretta a vivere inaccettabili condizioni di paura, pericolo, solitudine o vergogna".


Giulia Di Russo 5^A Chimica

Venerdì 14 Gennaio 2022 dalle ore 9.00 alle ore 11.30 presso la sede del Centro Studi Pio La Torre a Palermo, si è tenuta la conferenza del Progetto Educativo Antimafia promosso dal Centro Pio La Torre. Il tema trattato durante la conferenza è stato: «Le disuguaglianze di genere e la pratica della violenza nella società civile e nelle organizzazioni mafiose».

La violenza di genere è un tipo di violenza fisica, psicologica, sessuale e istituzionale, esercitata contro qualsiasi persona o gruppo di persone sulla base del loro orientamento sessuale, identità di genere, sesso o genere che ha un impatto negativo sulla loro identità e fisico, psicologico o economico.

La violenza di genere si distingue da altre forme di violenza ed è importante mantenerla concettualmente distinta per comprenderne le origini, le cause e le ripercussioni.

Nel cercare di dare un’immagine del fenomeno ci si scontra con una delle sue più gravi caratteristiche: l’abuso viene spesso tenuto nascosto. Di conseguenza, le statistiche hanno difficoltà a raccogliere la reale entità del fenomeno.

Ad oggi, da quel che si sa, il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila).

È importante affrontare l’argomento in quanto si tratta di una tematica trasversale che coinvolge la società senza distinzione di ambienti, di provenienza e di età.

Nella violenza c’è un rapporto sbilanciato di potere tra vittima e persecutore; essa reca con sé la convinzione di una superiorità degli uomini rispetto alle donne, che agiscono per preservare il proprio potere al fine di degradare, umiliare e annientare il corpo della donna. Le ripercussioni che subisce una donna dopo un atto di violenza sono danni al livello fisico, morale e psicologico. Non esistono delle vere cause contingenti, proprio a ribadire l’importanza delle basi culturali della violenza di genere. Nel 28,1% dei casi la donna dichiarato che la lite è stata originata da futili motivi o addirittura da nulla di particolare; un fattore emergente è invece la gelosia del partner e la separazione, che aumenta il senso di frustrazione.

In ambito mafioso si verifica spesso il fenomeno della violenza sulle donne in quanto le criminalità organizzate riescono ad esercitare il potere sia sul territorio che sul corpo. Frequenti sono i delitti d’onore, un reato commesso per vendicare l'onorabilità del proprio nome o della propria famiglia, caratterizzato dalla motivazione soggettiva di chi lo commette, volta a salvaguardare (nella sua intenzione) una particolare forma di onore, o, comunque, di reputazione, con particolare riferimento a taluni ambiti relazionali come ad esempio i rapporti sessuali, matrimoniali o comunque di famiglia.

Sostengo che queste azioni brute da parte della figura maschile, indegna di essere chiamata uomo, derivi dalla mancata realizzazione di se stessi, insoddisfazioni personali. Sono motivi superflui poiché non esiste una giustificazione a questi atti.

È fondamentale trattare e affrontare l’argomento per ricordare la condanna di tutte queste donne le quali poche hanno la forza di parlare e denunciare per amore verso il proprio partner che non ha conto della volontà della donna, che ha diritto a dire di sì e di no a qualsiasi idea o proposta, come qualunque essere umano dotato di diritti e dignità. Più se ne parla e più è si trasmette coraggio alle donne vittime di questa questione con la speranza che riescano a prevenire agendo immediatamente. Prevenzione e coraggio, fondamentali per distruggere un fenomeno la quale sta portando al fallimento della società.


Iannone Chiara Maria 4 A Chimico

La conferenza ha inizio con una canzone che tratta delle tre cose che Pio La Torre non sopportava: lo sfruttamento dell’uomo su un altro uomo, la guerra e la mafia; questa canzone è un inno che introdurrà tutte le iniziative di questo progetto e anche tutte le videoconferenze.

I temi dibattuti in questa conferenza sono: “le disuguaglianze di genere e la pratica della violenza nella società civile e nelle organizzazioni mafiose”.

La pandemia ha messo in luce le nostre fragilità, ha evidenziato le disuguaglianze di genere, quelle ambientali e territoriali; è proprio in questo ambito che è aumentata molto, in modo visibile e non solo attraverso la cronaca, la violenza di genere nella società, nelle famiglie e anche nelle organizzazioni mafiose che ovviamente ci sono sempre state, ma in questo periodo sono più frequenti.

Questa tematica, secondo quanto affermato dalla professoressa Pasciuta, coinvolge tutta la società senza distinzioni di ambienti culturali, di provenienza o di età.

Secondo quanto afferma la redattrice Alessandra Dino, la violenza di genere non è un problema privato, ma una questione sociale che ha proprio a che fare con la violazione dei diritti umani e non riguarda solo il genere femminile. Un elemento fondamentale riguarda la dimensione dei pregiudizi e degli stereotipi che rendono complicata la lotta alla violenza; esiste una violenza simbolica che viene espressa attraverso i pensieri e le parole.

In generale, la violenza di genere va compresa a partire dalle discriminazioni che le donne subiscono per il solo fatto di essere donne; in una relazione di Sabrina Garofalo, viene affermata che alla base della violenza c’è una relazione sbilanciata di potere fondato sulle interpretazioni: da una parte si parla di un riconoscimento che non è garantito dagli assetti sociali e dalla modernizzazione, determinando, dunque, violenza (gli uomini agiscono con violenza per preservare il loro potere) e dall’altra parte, invece, lo si fa perché ci si sente più vulnerabili. Da come si apprende, è difficile definirne le cause specifiche e individuarle.

Un altro elemento è quello della corporeità: il corpo femminile è come se fosse un luogo dove viene esercitata la violenza, che non è occasionale, non è isolata, non è dettata da reazioni impulsive, ma è una violenza continuativa che ha la finalità di degradare e di umiliare la donna riducendola ad una cosa.

Soltanto nel 2013, la legge ha imposto di distinguere in maniera netta gli omicidi che hanno come vittima una donna o un uomo, commessi dall’una o dall’altro.

Il termine “femminicidio” non è una parola nuova: è entrato nel nostro uso comune già nel 1976, davanti al tribunale di Bruxelles e poi nel 1992 venne scritto un libro dove si parlava dell’uccisione di una donna in quanto donna. In Messico esiste una legge che punisce il femminicidio. Un poliziotto, che è stato intervistato, afferma che per fermare una donna non serve una pistola, ma basta anche un semplice coltello da cucina o una corda oppure un appuntamento sbagliato per cui una donna viene massacrata a pietrate, e non solo.

A lungo, il nostro diritto penale è stato sessista, trattando uomini e donne in maniera diversa: prima il patto matrimoniale era un contratto tra padre e sposo, in cui si dava la possibilità di percuotere le donne per preservare la famiglia, più importante della persona stessa. Ci si può rendere conto che la strada da fare è ancora molto lunga: nel 2020 sono state uccise 116 donne. Si nota una drastica diminuzione degli omicidi che hanno come vittime gli uomini e una piccola diminuzione degli omicidi che vedono come vittime le donne.

Infatti, mentre gli omicidi degli uomini diminuiscono, quelli delle donne aumentano; in Italia le donne vengono uccise per il 92,2% dei casi da una persona conosciuta e ciò non accade nel caso in cui le persone in questione sono uomini.

Una domanda ricorrente che è stata posta in questa conferenza è la seguente: “Cosa si può fare?”. A questa domanda non è semplice rispondere: sono necessari interventi economici per eliminare le diseguaglianze, politiche sociali, una formazione che possa sollevare anche gli uomini da questo ruolo stereotipo di pesante e forte che può creare qualche problema e conflitto.

Come afferma Sabrina Garofalo, spesso ci sono storie di donne che si sentono rassegnate, che hanno paura e si vergognano; ragazze che si incolpano, giustificando tali situazioni con frasi del tipo: “perché sono andata io”, “perché mi sono innamorata”, “perché ho ceduto al primo incontro”. Tutti questi elementi si intersecano con quelli della violenza mafiosa: si parla di violenza fondativa del potere mafioso che è spesso silente, in una sorta di ammaestramento collettivo soprattutto nelle relazioni generazionali all’interno di queste famiglie che si traducono in potere sui corpi che si interseca con questa idea di maschile, di mascolinità egemonica, di femminilità legate ai contesti di ndrangheta dove il dominio sui corpi e sul territorio vanno di pari passo.

Il femminicidio è la massima forma di violenza nei confronti della donna: è il punto di arrivo che parte da situazioni diverse come lo stalking, la violenza sessuale, gli stupri e la privazione di libertà in generale.

A parer mio, amare è dare tutto sé stesso alla persona amata e questo potrebbe richiedere sacrifici e sofferenza. Ciò non ha importanza, perché amare qualcuno significa pensare non al proprio bene ma al suo. Spesso ci si illude, contro ogni parere di terze persone, che ciò che si riceve sia amore; invece alcune persone ci dedicano attenzioni, ci fanno regali, solo per avere qualcosa in cambio. Quando però si rendono conto che siamo persone, con sentimenti e bisogno d'amore e che non sempre siamo disposte a dare quello che loro pretendono in cambio, allora scatta quel modo di agire di chi è convinto di possedere e di poter disporre di ciò che si possiede a proprio piacimento, con le buone o con le cattive come fossimo oggetti. E se un oggetto non funziona lo si picchia per vedere se funziona e poi lo si uccide se non dovesse più fare quello che vogliono che faccia.

Questo discorso vale per entrambi i sessi ma che il femminicidio sia ben più diffuso del maschicidio è dovuto al fatto che in una società ancora profondamente maschilista è l'uomo che si sente dalla parte forte e la donna che deve "scappare ".

Tutti dicono che la donna deve essere protetta, ma da chi o cosa deve essere protetta se il primo a privarla di ogni libertà (di espressione, di vivere) è l’uomo stesso?


CARACUZZI VALENTINA, CAPUANO CHRISTIAN RAOUL, PETRILLO ELENA, PANNOZZO ANDREA, TODISCO NICOLE, TRANQUILLI EDOARDO E TOMA GEORGIANA LARISA.

III Conferenza del progetto educativo antimafia Pio la Torre 2021-2022

Il 14 gennaio si è svolta la terza videoconferenza del progetto educativo antimafia promosso dal Centro Studi Pio La torre. Durante quest’evento i relatori tra cui: Alessandra Dino (sociologa e docente dell’Università di Palermo), Sabrina Garofalo (dovente dell’Università di Palermo) e Beatrice Pasciuta (prorettrice alla Inclusione Pari Opportunità e Politiche di Genere dell’Università di Palermo) hanno esposto e discusso un tema molto attuale e molto sentito soprattutto da noi giovani ovvero:<< Le disuguaglianze di genere e la pratica della violenza nella società civile e nelle organizzazioni mafiose >>. Il tutto moderato da Vito lo Monaco presidente del Centro Studi Pio La Torre. Queste sono le nostre riflessioni riguardo la conferenza a cui abbiamo assistito: il tema affrontato è appunto la violenza di genere, tema importante e spesso discusso ultimamente. La violenza di genere va compresa soprattutto davanti alle discriminazioni e alle violenze. Il potere è un mezzo con la quale si sfocia a ciò, ma le diverse interpretazioni sono difficili e complicate, perché spesso chi fa abuso di potere lo fa perché vulnerabile o perché vuole affermare la sua supremazia. Un altro importante punto è la corporeità, il corpo della donna viene visto come un luogo sul quale esercitare la violenza e viene ridotto a cosa. Davanti a queste affermazioni siamo rimasti scioccati da come si possa arrivare a una cosa del genere, così inammissibile e crudele. Ci si adopera comunque a studiare questo problema attraverso dati statistici che però sono insufficienti. Con l’introduzione del significato del termine femminicidio riflettiamo sull’importanza di questo fenomeno e con i racconti letti dalla relatrice ci immergiamo completamente nelle brutalità che commette il genere umano, soprattutto nei confronti delle donne che vengono ancora viste come il sesso inferiore e sono proprio loro che ancora oggi nonostante i notevoli passi avanti, subiscono molte violenze. Con il passare del tempo possiamo vedere una notevole diminuzione degli omicidi che coinvolgono gli uomini e una leggera diminuzione negli omicidi che coinvolgono le donne, ma se guardiamo i grafici che testimoniamo ciò, possiamo vedere che in Italia in realtà non è così, perché la percentuale di omicidi che coinvolgono le donne in realtà non è diminuita. Le donne in genere vengono uccise da uomini conosciuti, mentre per gli uomini non è così e questo ci ha lasciato ancora più esterrefatti. La relatrice Beatrice Pasciuta elenca i principali motivi che scaturiscono l’omicidio della compagna all’ interno di una relazione, ma la cosa su cui vogliamo soffermarci riguarda un’affermazione che la relatrice ha detto: la maggior parte delle volte, colui che compie questo tipo di omicidio non ha precedenti penali, bensì è una persona normale che però in quel momento, preso dalla gelosia o come dice, dall’eccessivo amore verso la partner, arriva a prendere questa decisione estrema”. Questo per dire che comunque chiunque potrebbe essere capace di fare una cosa del genere, anche la persona dalla quale non ci si aspetta una reazione così violenta.

Inoltre, per quanto riguarda le condanne, la relatrice spiega come i giudici siano più “buoni” quando al processo si trovano davanti persone straniere; dato al quanto scioccante visto che l’articolo 3 della nostra Costituzione afferma che ogni cittadino è uguale davanti la legge. Sabrina Garofalo, professoressa dell'Università della Calabria dove si occupa con i suoi colleghi di violenza di genere, in particolare di studi sulla dinamica di genere all'interno dei contesti mafiosi, ci spiega come, ancora oggi la donna sia legata ad un'immagine stereotipata dell'essere donna, ma anche come l’uomo sia legato ad un’altra immagine stereotipata basata sulla mascolinità “egemonica”, immagini di mascolinità tossiche che includono, per esempio, una totale amputazione di sentimenti, di emozioni da parte dell’uomo. Una donna invece deve portare avanti un sistema di valori legati alla sfera della riproduzione, dalla essa infatti ci si aspetta l'assoluta adesione ad un concetto di onore che è legato esclusivamente al comportamento delle donne, e quindi ne consegue un controllo dei corpi di quest’ultime, un concetto importante se si parla di violenza di genere. Continua poi spiegando come il controllo sui corpi, sui desideri, sulle passioni delle giovani donne ma anche di giovani uomini è immerso in questa logica tra l'essere e l'apparire, dove l'apparire, quindi far vedere agli altri di essere una donna d'onore o di essere un uomo d'onore, è più forte del principio di autodeterminazione delle soggettività. Queste immagini sono la causa di una trasversalità della violenza, che si traduce in pratiche di relazioni violente, nelle quali è fondamentale trovare la forza per testimoniare questo tipo di relazioni, in modo da trovare una via d’uscita in questi contesti dove le parole chiave sono paura” e violenza”. La professoressa Garofalo, ci racconta, poi, la storia di come alcune donne sono state spinte a bere acido muriatico. Le mafie si nutrono spesso dell'immaginaria, infatti, anche in questo caso, se una donna parla, fanno sì che l'acido corroda assolutamente tutto ciò che è la sua voce, quindi tutti gli organi legati alla voce”, simbolicamente parlando. Fa l’esempio della storia di Maria Concetta Cacciola, nata in una famiglia di mafia, e costretta a sposarsi con Salvatore Figliuzzi all’età di 13 anni. Maria ha vissuto una vita di violenza e ha deciso di condannare pubblicamente queste azioni subite nella mafia, così l'11 maggio 2011, all'età di 31 anni, ha deciso di confessare tutto pur sapendo cosa avrebbe dovuto affrontare. Dopo quella storica giornata, Maria è stata richiamata più volte in caserma per raccontare la sua storia, ed è stata portata anche via da Rosarno, dove ha vissuto (perché suo padre, Michele Cacciola è il boss di Rosano). Da questo momento comincerà ad essere protetta e scortata. Maria torna a Rosarno perché voleva stare con i suoi figli, però viene ingannata, e il 20 agosto 2011 è stata trovata morta: ha ingerito acido muriatico. Iniziò un'indagine più precisa e pochi anni dopo furono arrestati tutti i suoi familiari, più Vittorio Pisani, divenuto poi collaboratore giudiziario, e Gregorio Cacciola, i due avvocati che costrinsero la donna al ritiro. Maria ha avuto la forza e il coraggio di non tacere, di parlare di ciò che ha sofferto, e grazie a lei e alle tante donne che, come lei, hanno avuto il coraggio di raccontare le loro storie, combattere la mafia è ancora un processo vivo e potente. Con questa storia si è quindi dimostrato che dalla limitazione della libertà, al controllo totale sui corpi fino appunto al femminicidio specifico, che avviene anche nei contesti mafiosi, ritroviamo i fili conduttori dei concetti legati alla violenza di genere. Sabrina Garofalo successivamente ci racconta come il potere della ndrangheta si traduce in potere totale e totalizzante sui corpi delle donne. Una di queste storie è quella che riguarda Roberta Lanzino, una ragazza che stava attraversando nel 1989 un paese della provincia di Cosenza; un terreno di proprietà di alcune persone per raggiungere una località di mare. Era sola in quel momento e muore purtroppo di stupro perché da quello che emerge dalle indagini, quel terreno era di proprietà di alcuni uomini che con molta probabilità, chi ha pensato di possedere quelle terre ha anche pensato di possedere il corpo di Roberta. Da questo episodio in poi sono nati quindi i primi percorsi contro la violenza sulle donne. Ci sono purtroppo però ben altre due storie di queste donne, parliamo di ragazze sui 12-13 anni. Sono storie di stupri di gruppo che sono tutte accomunate da 3 elementi: queste donne si innamorano di ragazzi appartenenti o vicini ai poteri locali di ndrangheta, quindi contesti ad altissimo controllo ndranghetista. Si innamorano di questi uomini, i quali utilizzano questo legame come merce di scambio. Di conseguenza subiscono violenza sessuale di gruppo da parte di tutti gli altri componenti del branco, dove purtoppo hanno un arco temporale di 3 anni. Questo perché da quello che emerge dalle sentenze dagli atti di questi processi è che queste donne sono rassegnate in quanto hanno paura della vergogna, delle minacce e preferiscono prendersi la colpa. In questi contesti tutto ciò che è legato alla violenza di genere, si interseca con quelle che sono gli elementi della violenza mafiosa.; violenza fondativa del potere mafioso che è spesso taciuta in una sorta di ammaestramento collettivo. La relatrice poi ha sottolineato l’importanza della legge 69, che ha come scopo quella di tutelare le vittime di violenza domestica e di genere, emanata soltanto il 19 luglio del 2019 nonostante le aggressioni fisiche e psicologiche sono fin da sempre esistite non solo in Italia ma in tutto il mondo. Ma essa sembra non bastare perché attualmente la Sicilia è la regione italiana con più denunce riguardanti le violenze e il revenge-porn che sono arrivati purtroppo a livelli massimi. Attualmente la partecipazione delle donne nelle organizzazioni mafiose ha assunto un carattere di fondamentale importanza, infatti svolgono compiti criminali in prima persona come ad esempio custodiscono armi, droga e denaro oppure fanno da messaggero, permettendo così la circolazione di informazioni tra una un’associazione mafiosa e un’altra. La motivazione principale che spinge una donna ad essere parte attiva di queste attività è molte volte l’assenza della figura maschile causata dal suo arresto o morte. Ci si avvia verso la chiusura della conferenza e l’ultima relatrice ad intervenire è la professoressa Pasciuto, insegnante di storia del diritto, la quale afferma che il diritto e tutto ciò che ha a che fare con quest’ultimo è fortemente maschilista, le donne difficilmente trovano spazio in questo mondo e ciò influenza secondo la professoressa la percezione che si ha nei confronti della violenza sulle donne durante un processo. Riferendosi poi ad una domanda che le è stata posta ricorda l’importanza dell’educazione, unico strumento per abbattere pregiudizi e stereotipi, educazione che va data alle nuove generazioni ma anche e soprattutto alle vecchie che sono quelle che, come nel caso di genitori e insegnanti, devono tramandarla. La professoressa infine sottolinea l’importanza di strutture che aiutino le donne in difficoltà. Si è dunque giunti alla conclusione e ci si dà appuntamento alla prossima conferenza che si terrà il 18 febbraio e tratterà dell’evoluzione della mafia nel ventunesimo secolo. Ringraziamo come di rito il centro studi Pio La Torre per averci dato la possibilità di assistere a questa conferenza così importante e vicina ai temi che affrontiamo solitamente e così vicini alla società.


Valerio Mongia; Beatrice Stapane 5°ABA

Nella terza conferenza del progetto educativo antimafia si è trattato l’attuale tema delle disuguaglianze, in particolare la violenza di genere, all’interno delle famiglie e nella società che in questo periodo della pandemia si sono accentuate.

La prima relatrice della conferenza è stata Alessandra Dino sociologa e Docente UNIPA, la quale nel suo discorso ha decritto quello che rappresenta la violenza di genere e la disuguaglianza.

Quando si parla di violenza di genere si riscontra difficoltà nel classificare questa violenza, tanto che in un report del ministero della giustizia non si è riuscito a classificare le motivazioni, i moventi, che la scatenano, inoltre i dati statistici a riguardo sono pochi e difficilmente comparabili perché raccolti con modalità differenti.

Per combattere questo fenomeno è importante inquadrarlo non come un problema appartenente alla sola sfera femminile, ma piuttosto come una questione sociale. D’altro canto alcuni elementi come gli stereotipi e i pregiudizi non fanno altro che alimentare il fenomeno della disuguaglianza e quindi di una violenza simbolica che si esprime con parole e pensieri.

Il significato della parola femminicidio indica una qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte. Alla base di ciò non c’è altro che uno sbilancio di potere, da una parte si parla di un riconoscimento che non viene più garantito dagli assetti sociali e dalla modernizzazione (l’uomo usa la violenza per preservare il proprio potere), dall’altra la violenza viene manifesta perché ci si sente più vulnerabili.

La relatrice nel suo discorso ha riportato alcune dichiarazioni da parte dei protagonisti del femminicidio che lo hanno descritto in prima persona, ad esempio sono sconcertanti le parole di un medico legale la quale descrive il fatto come un vero e proprio accanimento come a volere punire la donna di qualcosa che non doveva fare, racconta di una donna colpita con 60 coltellate nonostante fosse già morta lui la continuava a colpire con un certo automatismo. Quando parliamo di violenza è importante nominare la sua trasversalità, infatti essa non si rivela solo dal punto di vista fisco ma si può avere anche una violenza economica oppure una violenza psicologia che interessano tutte le età e tutte le classi sociali.

La legislatura si è evoluta in materia con l’introduzione di varie normative come quella del 2009 che introduce il reato di stalking e di maltrattamento, nel 2013, invece, una legge introduce vari provvedimenti tra cui ad esempio l’allontanamento o divieto di avvicinamento alla casa della donna da parte dell’uomo violento.

Concludendo la sua discussione la relatrice cerca di rispondere alla ricorrente domanda: “Cosa si può fare ?”, ella fa notare che ad un problema complesso non si può che rispondere in maniera complessa… la violenza di genere si può contrastare ricorrendo alle leggi, che da sole però non bastano, si è visto che denunciano un numero molto ridotto di donne e oltre tutto le poche donne che lo fanno alla fine è probabile che vengano uccise lo stesso. Occorrono quindi: delle politiche sociali, interventi economici per eliminare la diseguaglianza e occorre anche, dal punto di vista delle scuole e delle università, una formazione che possa decostruire gli stereotipi e sollevare l’uomo da questo ruolo stereotipato di figura forte e virile.

Dunque la parola può diventare un “arma di pacificazione”, parlare delle donne uccise dagli uomini e parlare di violenza significa ripensare il rapporto tra uomo e donna, superare la disparità implica una rivoluzione culturale ed implica anche un modo diverso di parlare della violenza contro le donne. Solo in questo quadro è possibile ipotizzare degli spazi più poveri di violenza e che consentano il reciproco riconoscimento di uomini e donne e quindi di una collaborazione priva di violenze.

La conferenza continua con l’intervento della relatrice Sabrina Garofalo, docente dell’Università della Calabria. Nella sua università ci si occupa molto sullo studio della violenza di genere, in particolare nelle dinamiche di genere all’interno dei contesti mafiosi. Interviene dicendo che si sta parlando di un fenomeno decisamente complesso, in questi anni lei, insieme ad altre ricercatrici si sono rese conto di come la trasversalità della violenza fosse ancora più presente in tutte le storie delle donne che hanno incontrato. La ripetitività, la necessità di annullare i corpi, vengono subiti ancor più nei contesti di tipo mafioso, nello specifico in base alla ricerca condotta in Calabria che ha avuto come soggettività coinvolte donne e uomini legati a contesti di fortissimo controllo territoriale da parte della ndrangheta, caratterizzata brevemente dall’essere un organizzazione criminale a carattere totalitario che rafforza il potere attraverso un controllo capillare sui corpi e sui territori.

Nella ndrangheta questo elemento tra il territorio e il corpo è ancora più forte nell’analisi delle storie che abbiamo incontrato, ancor più nella ndrangheta si vivono delle specifiche forme. Questo si può notare dalle testimonianze di controllo proprio sui corpi femminili in un contesto che vede una dialettica costante tra gli elementi tradizionali ancora molto forti ed elementi legati alla modernità.

Un concetto che arriva di pari passo con quello di violenza è quello dell’onore che viene formalmente stabilito e poi soltanto pochi anni fa non più in vigore come legge nazionale, ma vediamo in realtà che nelle storie che hanno avuto luogo in Calabria e anche nei contesti di ndrangheta negli ultimi 30 anni, che non è una prossimità soltanto geografica, ma si parla di storie che coinvolgono giovani donne e giovani uomini, quindi non si tratta di un fenomeno lontano ma invece sì parla di storie che hanno avuto luogo e che stanno avendo luogo negli ultimi anni. Un esempio a cui si può fare riferimento sono i femminicidi legati alla ndrangheta o comunque donne scomparse in cui queste storie sono soltanto venute fuori 5 anni fa. Questo ci fa capire che è un elemento temporale molto recente, ancora oggi un modello maschile basato su un’idea di maschilità egemonica o maschilità tossica e che comunque hanno un enfasi su alcuni aspetti legati alla completa amputazione di sentimenti, a una dimensione virile, ad una relazione sessuale la quale decostruisce anche l’idea di un uomo che può provare delle emozioni e dei sentimenti, rispetto invece ad un’idea di donna che deve comunque portare avanti un sistema di valori culturali legati in ogni caso alla sfera della riproduzione dalla quale ci si aspetta la completa fedeltà e quindi l’assoluta adesione ad un concetto di onore legato strettamente al proprio comportamento delle donne, e soprattutto poi si traduce nel controllo dei corpi di queste donne: quindi la capacità di sorvegliare, di controllare, di dominare il corpo di esse.

Un altro elemento importante nel momento in cui si analizza il concetto di onore mettendolo in dialogo con quello della violenza di genere nelle relazioni, è che molto spesso tali pratiche sono legate alla logica di essere e apparire ovvero il controllo sui corpi, il controllo sui desideri, sulle passioni soprattutto delle giovani donne. E ancor più dei giovani uomini è immerso in questa logica e dialettica tra l’essere e apparire laddove l’apparire, cioè far vedere agli altri di essere una donna d’onore o di essere un uomo d’onore, è più forte di tutto ciò che rappresenta il principio di autodeterminazione delle soggettività. In questi contesti tutto ciò che sono elementi legati alla violenza di genere si intersecano con quelle che sono gli elementi propri della violenza mafiosa.

Stanno iniziando dei percorsi innovativi perché quello che è necessario fare oggi è trovare nuovi percorsi per accompagnare queste donne, per avviare un percorso per se stesse prima ancora di denunciare.


Sofia Popolla 5^C LSA I.T.I. A. Pacinotti


LA VIOLENZA DI GENERE


Nella conferenza di Venerdì 14 Gennaio 2022 è stato affrontato un tema importantissimo e che purtroppo, al giorno d’oggi, caratterizza ancora la nostra realtà: le disuguaglianze di genere e la pratica della violenza nella società civile e nelle organizzazioni mafiose.

L’incontro si è dimostrato avvincente in quanto gli interventi da parte dei relatori abbiano messo in evidenza storie realmente accadute, in grado di segnare il nostro animo e che davvero possono farci comprendere l’atrocità e la sofferenza provate dai protagonisti dei racconti.

Quando si utilizza il termine “violenza” non si fa riferimento soltanto a quella fisica, bensì a tutte le tipologie esistenti. È stato particolarmente interessante riflettere su un aspetto sottolineato dalla conferenza: l’uomo, il mafioso diventa violento nei confronti dell’altro genere, nel momento in cui si percepisce la donna come un solo oggetto, di proprietà privata, e che si può maneggiare come meglio si crede. Dunque, è stato possibile osservare come in particolar modo i mafiosi, siano molto possessivi nei confronti delle proprie donne, tanto da essere disposti ad uccidere.

L’errore consiste proprio in questo: iniziare a percepire il rapporto in maniera violenta, possessiva, autoritaria, conduce l’uomo a trasformare queste ideologie nella realtà, e il paradosso raggiunge l’apice nel momento in cui quest’ultimo è convinto che la violenza sia un’arma di protezione per la sua donna.

È importante sottolineare che non esiste solamente la violenza sulle donne, ma esistono casi in cui sono gli uomini ad essere maltrattati, dunque, ogni tipo di violenza di genere deve essere repressa ed eliminata. Naturalmente, si presta molta più attenzione a quella esercitata nei confronti del genere femminile, in quanto i casi registrati di quest’ultima siano di gran lunga superiori a quelli contrari.


cosa fa percepire all’uomo di essere superiore alla donna?


Rispondere a questa domanda risulta molto difficile, ma ritengo fortemente che sono frequenti alcuni atteggiamenti negli uomini che dimostrano la loro convinzione di superiorità nei confronti del genere femminile, lo stesso genere che li ha creati.

Il primo è sicuramente che l’uomo si sente più forte da un punto di vista fisico nei confronti della donna e dunque, mostra tutta la sua superiorità utilizzando la forza su un essere più debole, simbolo di frustrazione, povertà interiore e debolezza caratteriale. Il possedimento del corpo della donna è giustificato da questa superiorità fisica, poiché essa, da essere impotente, non può ribellarsi al suo uomo.

Altri aspetti, ma non meno importanti, che influenzano il sentimento di superiorità dell’uomo sono la cultura e le tradizioni passate, i cui postumi interagiscono e caratterizzano la realtà odierna. Senza andare troppo indietro nel tempo è possibile rimarcare, in un passato recente, una struttura gerarchia all’interno della famiglia stessa, caratterizzata dall’autorità paterna e dalla sottomissione della donna; pensiero fortemente radicato all’interno della società e che segna ancora il presente.

Se invece si procede ancora a ritroso nel tempo è possibile osservare come nel Medioevo, la donna venisse considerata strega e responsabile del peccato: l’uomo in assenza di quest’ultima risultava perfetto, ed era proprio la figura femminile ad avvicinarlo al demonio.

Anche nella letteratura possiamo incontrare figure misogine come Boccaccio, Goldoni, Verga e tantissimi altri che sicuramente hanno influenzato il pensiero comune, ritenendo la donna solamente come una tentazione, senza neppur riferirsi alla sua bellezza o sensualità.

Questo ci dimostra come ogni azione del presente sia frutto di un percorso e di una storia passata contraddistinta anche da errori che risultano difficili da rimuovere. Infatti, vengono registrate ancora troppe aggressioni nei confronti della donna, sia in circostanze mafiose che in situazioni quotidiane.


cosa si può fare?

Innanzitutto, risulta fondamentale ampliare il numero di centri in cui le donne possano trovare rifugio, ma è altrettanto importante intraprendere una giusta condotta fin dall’inizio: la donna non deve mai rassegnarsi, addossarsi colpe che non ha e deve essere in grado di riconoscere che quando un amore si trasforma in possessione non potrà mai, o quasi, essere curato.

Altro aspetto che raramente viene menzionato, fa riferimento all’esistenza di centri appositi anche per gli uomini, in cui questi ultimi vengono aiutati a risolvere i loro problemi a livello psicologico.

Infine, è fondamentale che le donne denuncino le loro storie alle autorità o che si confidino con un’amica, un parente, un vicino di casa, in grado di intervenire immediatamente nella situazione.


riflessione finale


Sostengo vivamente che per trovare una soluzione a questo problema si debba iniziare dall’educazione e imbattersi molto nelle scuole e nei luoghi frequentati dai giovani, poiché oltre a ricordare con la storia e a cercare di limitare i danni nel presente, bisogna investire sul futuro e sperare in un feedback positivo.

È inaccettabile nel 2022 affrontare discorsi di donne uccise, violentate, maltrattate, e ricevere risposte quali “ma come era vestita?”, “ma lei cosa faceva però?”; nessun alibi potrà mai giustificare o essere paragonato alla vita di una persona.

Gli uomini, i mafiosi violenti esisteranno sempre, dunque ogni singola persona, deve rappresentare la salvezza per le donne che cadono nelle loro trappole, mostrandosi pronta e vigile ad intervenire in caso di sospetto.

La storia deve essere ricostruita da capo facendo comprendere all’uomo che se ha un compito nei confronti della donna, è quello di proteggerla dal pericolo e di aiutarla a realizzare tutti i suoi sogni, condividendo con lei la libertà e la felicità.

Vorrei concludere riportando una frase famosissima che al meglio sintetizza la mia riflessione:


La donna uscì dalla costola dell’uomo, non dai piedi per essere calpestata, non dalla testa per essere superiore ma dal lato, per essere uguale, sotto il braccio per essere protetta, accanto al cuore per essere amata.”

~ William Shakespeare.


Conti Noemi VC LSA

Così come nelle diverse storie che ascoltiamo al telegiornale tutti i giorni, nella giornata del 14/01/2022, il progetto Pio la Torre ha dato voce a tutte quelle vittime di violenza che la voce l’hanno persa per sempre.

Tantissime sono le figure che hanno per sempre lasciato un segno nella storia. Come ad esempio Maria Concetta Cacciola, Giuseppina Pesce e Lea Garofalo, tre donne calabresi che si sono ribellate alla ‘ndrangheta, pagando con la vita il prezzo della libertà dai soprusi mafiosi.

Nel trascorrere degli anni si è sviluppata, purtroppo sempre di più, l’idea che il corpo femminile debba essere solo ed esclusivamente di possesso maschile, un oggetto di piacere e che esso debba essere messo in mostra per soddisfare i desideri maschili. Nata e tramandata di padre in figlio la credenza che l’uomo sia l’essere più potente.

Lo si può vedere dalla vicenda di Roberta Lanzino che il 26 luglio 1988, attraversando un terreno di proprietà privata per raggiungere i suoi genitori al mare, venne stuprata dai legittimi proprietari di tale pezzo di terreno per via dell’assurdo concetto che il dominio sui corpi e il dominio sui territori vadano di pari passo.

La Sicilia è il territorio più interessato da fenomeni di pornografia e nonostante ciò, così come in tutta Italia, i centri d’accoglienza per le vittime di violenza sono ancora poco diffusi. Vi è la necessità di creare una rete protettiva intorno a queste donne perché anche l’accompagnamento psicologico, le case rifugio e accompagnamento al lavoro sono piccoli passi che possono riportare tali donne a sentirsi libere nel vivere la propria vita, ripartendo dalle più semplici cose.

Le dinamiche di sessismo e assenza di riconoscimento dell’importanza della donna mostrano che il maschilismo e la discriminazione sono ancora presenti in moltissime situazioni. Basti pensare che, nel vedere delle semplici mascherine rosa, le forze dell’ordine si siano rifiutati di indossarle perché esse non si addicono alle figure che essi incarnano.

L’idea, sul quale si basa una società giusta, nel quale tutti sono uguali nei diritti ma diversi nell’animo, deve essere inculcata nei bambini già nella più tenera età per stroncare, sin da subito, questa idea perversa di forza che viene imposta con la violenza di genere e dalla mafia perché entrambe sono lesive per i diritti del singolo individuo.

La scuola deve essere una via da seguire per i bambini allo scopo di raggiungere una buona educazione, che deve essere perseguita anche a casa. Tale educazione deve essere totale e non solo esclusivamente in ambito sentimentale. Deve far si che il bambino di oggi rispetti, nel futuro, sua moglie, sua madre, sua figlia, sua nonna ma non solo. Che sia un uomo che rispetti chiunque lo circondi perché, in conclusione, un bambino che riceve amore, sarà un uomo capace di amare.



Frattarelli Marika V C LSA


Il progetto Pio La Torre in ogni sua conferenza ci permette di riflettere su diversi aspetti, in particolare l’ultima volta sulla figura della donna, importante è al giorno d’oggi il tema delle disuguaglianze e della violenza di genere, ma ancora più importante è sicuramente questa figura all’interno delle organizzazioni mafiose.

Sabrina Garofalo che è intervenuta nella conferenza ha parlato di un’asimmetria nei rapporti e anche nelle famiglie, nei confronti delle donne. E ci ha permesso di comprendere meglio questo aspetto attraverso alcuni esempi, ha parlato di una “legge” presente nell’organizzazione ‘Ndrangheta che dice “NON SI GUARDANO LE NOSTRE DONNE,NON SI GUARDANO LE NOSTRE TERRE” perché appunto le donne per mantenere i legami tra le famiglie vengono promesse in spose sin dalla loro nascita, e se un altro uomo si innamora di loro allora verrà ucciso…


Altro esempio che mi ha fatto capire che la donna viene vista come un oggetto, un semplice corpo con il quale l’uomo può provare piacere… è la vicenda che racconta di una ragazza, che stava attraversando un terreno di proprietà di qualcuno, solo per raggiungere un punto esatto del paese. Purtroppo però quelle erano terre di proprietà mafiosa, e gli uomini che la videro ritenevano giusto che possedendo le terre possedessero anche la donna che appunto stava passando su di esso, e così venne stuprata.


Non solo atti di violenza caratterizzano le donne nelle organizzazioni mafiose, ma anche il modo in cui vengono messe da parte per quanto riguarda le decisioni che vengono prese.

In realtà le donne, non vengono neanche sottoposte al giuramento di fedeltà perché il primo ruolo che hanno è quello di essere fedeli ai propri uomini, che devono essere fedeli a loro volta all’organizzazione, tutt’al più ciò che devono fare le donne è il ruolo di messaggere tra chi si trova in carcere e gli altri all’esterno.


È triste pensare come le donne vengano sfruttate per ciò che fa comodo agli uomini, vengono usate e viste come degli oggetti.

E questo porta a numerosi atti di violenza che devono finire.

Ormai non siamo più nel medioevo le cose devono cambiare le donne hanno il diritto di vivere in modo libero come gli uomini, senza preoccuparsi che attraversando una terra potrebbero essere stuprate perché ormai di proprietà di chi possiede quel posto.

La violenza contro le donne purtroppo nelle organizzazioni mafiose è solo un piccolo tassello, in realtà non è solo lì che si manifestano queste atrocità… e questo dovrebbe farci riflettere.


FRANCESCO MARIA ANSELMO 4B LSA



La conferenza si apre con un’orchestra che intona un brano contenente le tre cose che Pio La Torre non ha mai tollerato : lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la guerra e la mafia. Sarà proprio questo brano l’inno che aprirà le conferenze di Pio La Torre. Il relatore comincia a parlare sostenendo che il Covid, oltre ad essere stata una pandemia grave e non ancora risolta, ha avuto conseguenze che si sono accentuate e diventate più visibili, come la violenza di genere. Questo concetto viene relazionato dalla sociologa Alessandra Dino la quale sostiene che essa si esplica attraverso parole e nel considerare la donna non uguale all’uomo sia sul piano lavorativo che sociale e che tale violenza non riguarda solo le donne bensì tutto il genere umano. Alla base della violenza c’è il potere, una relazione sbilanciata del potere: da una parte c’è l’uomo che per preservare il potere produce violenza, dall’altra c’è la vulnerabilità degli uomini. Il corpo femminile sembra favorire la violenza, una violenza continuativa con il fine di umiliare la donna e denigrarla; una violenza perpetrata ed annientatrice e solo dal 2013 la legge distingue crimini ai danni delle donne da altri crimini. Il termine Femminicidio è antico ed entra nel linguaggio comune già da fine ‘800,ma quali sono le caratteristiche del femminicidio? La violenza è la caratteristica principale del femminicidio come lo è l’accanimento che riguarda tutte le età e tutti i ceti sociali. Il fatto grave è che il diritto penale non è stato uguale per uomini e donne: le donne non sono mai state tutelate dalla legge e molto spesso l’ uccisione di una donna non viene punita nella maniera adeguata. La legislazione si è evoluta solo in tempi moderni, solo da pochi anni le donne sono tutelate dalla legge ma il percorso è ancora lunga e difficile infatti, le donne uccise dagli uomini sono sempre più numerose e le armi utilizzate sono armi da taglio. Spesso le donne più in pericolo sono quelle che hanno una relazione in corso e non quelle che hanno concluso una storia ed il loro carnefice è molto spesso un uomo normale, senza disturbi mentali, senza turbe o con precedenti penali. Per eliminare queste violenze è necessaria una formazione scolastica ed universitaria che inquadri uomo e donna su uno stesso piano sociale. Sabrina Garofalo relaziona sulle donne che si trovano in contesti di associazioni criminali in Calabria dove si ritrova la maschilità egemonica, dove l’ uomo ha diritto al piacere sessuale mentre la donna ha solo il dovere di obbedire e procreare. Le donne devono controllare ogni genere di desiderio ed apparire donne d’ onore e nella loro vera essenza; terribile l’episodio della ragazza andata al bar con un amico e costretta a fidanzarsi con esso per non essere considerata una poco di buono davanti al paese. Le donne nella n ‘drangheta sono soggette a violenza di ogni genere e vivono nel desiderio di liberarsi ed acquisire la loro libertà anche a costo di mettersi contro alla propria famiglia come avvenuto a Giusi Pesce. Le dinamiche di violenza sono moltissime ed arrivano fino all’uccisione delle donne: questo è il risultato del potere delle mafie. Agghiacciante il racconto sulla ragazza morta a causa di una violenza da parte dei proprietari di una terra che ella stava attraversando per arrivare al mare o la storia di giovanissime donne violentate per tre anni da gruppi di uomini poiché innamorate di uomini vicini alle cosche mafiose che le utilizzano come merce di scambio per affermare il loro potere. Queste donne rispondono a queste violenze, quando restano vive, con la rassegnazione ed il silenzio perché pensano che sono esse responsabili delle cose brutte accadute loro e si vergognano di ciò che vivono.


Pezzola Sara IVBlsa

Il tema trattato durante la terza conferenza del progetto antimafia di Pio la Torre, tenutasi il 14 gennaio 2022, mi ha lasciato un segno indelebile nella mente, in quanto ci ha fatto riflettere sulla differenza di genere e sul modo in cui la mafia non fa altro che aggravare la violenza che subiamo, in primo luogo, noi donne.

Due interventi sono stati particolarmente significativi, in quanto ci hanno fatto aprire gli occhi su ciò che accade realmente nel mondo ogni giorno: quello esposto da Alessandra Dino, sociologa e docente UNIPA, riguardante la violenza di genere, e quello illustrato dalla docente dell’università della Calabria, Sabrina Garofalo, che ci ha parlato della violenza in ambito mafioso.

I dati statistici confermano che Grecia e Irlanda ricoprono i primi posti su scala mondiale per quanto riguarda i casi di femminicidio.

I problemi che non dovrebbero proprio porsi, così come ci lascia intendere la sociologa Diana, sono i seguenti: una donna non dovrebbe avere paura di portare a termine una relazione che sta prendendo una piega sbagliata, una donna non dovrebbe avere paura di camminare sola per strada, una donna non dovrebbe avere paura di essere aggredita verbalmente, e non solo, da sconosciuti o, per lo più dei casi, da persone di cui si fidano…

Noi donne abbiamo il diritto di poter vivere senza paura, perché quest’ultima blocca le persone, motivo per cui molte di noi, non trovano il coraggio e la forza per denunciare determinati comportamenti.

Inoltre, Sabrina Garofalo, sposta la nostra attenzione sui femminicidi in campo mafioso, a volte, eventi molto più cruenti di quelli commessi da uomini non appartenenti a clan di nessun genere.

Il pensiero di vedere il corpo femminile come un semplice oggetto di piacere usa e getta, non fa altro che peggiorare il legame che i mafiosi vedono tra territorio e fisico femminile, portandoli a una facile perdita di controllo non appena le donne si rifiutano di avere contatti con loro.

I casi di femminicidio sono direttamente proporzionali ai casi di abuso sessuale, in quanto ai mafiosi non interessa solo usufruire del corpo femminile, bensì vogliono anche degradare e umiliare la donna.

Vorrei concludere facendo riflettere tutti i lettori con questa frase pronunciata da Dacia Maraini durante un’intervista:- Troppo spesso si sente dire ‘l’ha uccisa perché l’amava troppo’- e ha pienamente ragione; l’amore non deve essere una scusante, così come la gelosia.


Marangon Alice classe IV B LSA

Nel giorno 14 gennaio 2022 abbiamo avuto l’occasione di assistere alla videoconferenza del progetto antimafia Pio La Torre riguardante le disuguaglianze di genere e la violenza subita dalle donne, in particolar modo nell’ambiente della mafia.

Nonostante i vari interveti fatti per proteggere il genere femminile dalle mani degli uomini, ancora oggi i femminicidi sono di numero elevato e addirittura in crescita. Possiamo notare come questi casi vengano trattati senza le dovute misure, generalizzando l’accaduto o difendendo il movente dell’omicidio o violenza inflitta alla vittima.

Solitamente si dice che il colpevole sia il compagno di quest’ultima, magari colpito da una certa instabilità mentale, tuttavia nella maggior parte dei casi si tratta di un uomo sano e non si trova soltanto nel ruolo di marito della donna in questione, ma anche di padre, cliente (se si parla di una prostituta) o persino sconosciuto. In quest’ultimo caso sono stati segnalati molte violenze commesse da parte di una persona appena conosciuta o incontrata per strada (pensiamo per esempio al pericolo imminente per una donna che cammina da sola per strada di notte); basta davvero poco affinchè la mente di un uomo lo porti a superare il limite per ottenere una parvenza di potere e superiorità sull’altra, ritenuta sempre debole e insignificante, come un oggetto (ciò si nota anche dopo aver commesso l’omicidio, quando il corpo della vittima viene ritrovato in pessime condizioni, soprattutto dovute ad un numero esagerato di colpi da arma da taglio, i quali necessitano una violenza corpo a corpo, utilizzata per infliggere una punizione ulteriore ad essa).

Un caso relativamente importante che è stato preso in considerazione durante la videoconferenza è quello delle famiglie mafiose.

In questo ambiente sono ritenuti giusti concetti come il delitto d’onore, la sottomissione della figura femminile e la maschilità tossica, per non parlare il bisogno di dover controllare le donne legate a loro, privandole di libertà e minacciandole, e imporre matrimoni forzati per mantenere alto il nome della famiglia, persino tra due persone che si conoscono appena; infine, per lo stesso motivo, è ritenuto legittimo cancellare l’esistenza di un parente (anche a costo di perdere per sempre una figlia o una sorella, ad esempio).

In ogni caso, spesso è difficile per la vittima denunciare le violenze subite e uscirne, per via delle minacce e della paura che qualcosa possa accadere a loro o a qualcuno che amano.

Personalmente credo che in un mondo moderno come il nostro, dove l’uomo è capace di grandi cose, si possa compiere il passo decisivo per porre fine alle disuguaglianze di genere e alla violenza sulla donna, magari approvando delle leggi apposite e sensibilizzando i giovani affinchè possa cambiare il loro modo di pensare e quello delle generazioni future.







Ultimi articoli

« Articoli precedenti