Isolati in camera da letto, il disagio dei ragazzi ignorato dagli adulti

Giovani | 13 agosto 2018
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Hanno tra i 14 e i 25 anni. Non studiano, non lavorano, non hanno amici, schivano ogni tipo di contatto con la famiglia e passano gran parte delle loro giornate chiusi nelle loro camere da letto. L’unico contatto con il mondo esterno è rappresentato dal web. Sono gli Hikikomori, termine giapponese che indica ‘stare in disparte’. La sindrome da auto-reclusione in Italia colpisce 100 mila giovani. Si pensa, comunque, che i casi siano molti di più di quelli stimati poiché chi ne è affetto è restio a parlarne. La condizione dei ‘giovani isolati’ sembra, a prima vista, assimilabile a quella dei NEET, i ragazzi che non studiano e non lavorano, ma a ben vedere il disagio sociale dei ‘nuovi eremiti’ è più profondo, al limite di un disturbo psichiatrico.

Secondo i dati elaborati dall’Università Cattolica, dal Ministero della Sanità del Giappone e da Hikikomori Italia e riportati da La Stampa, il fenomeno non è nuovo né per l’Italia né per le altre nazioni sviluppate del mondo. I primi casi di hikikomori in Italia sono stati riconosciuti 11 anni fa. Tuttavia, ciò che preoccupa sono i numeri di questa nuova piaga. In Giappone gli hikikomori sono 1 milione, dieci volte in più dell’Italia, e rappresentano il 2,2% della popolazione nipponica. In Francia il fenomeno colpisce 120 mila giovani, quasi quanto in Italia. L’apatia è la nota dominante delle giornate di questi ragazzi: non c’è nulla che li entusiasmi o li spinga a fare qualcosa. Ecco perché gli Hikikomori non sono identificabili con i NEET. I giovani fuori dal circuito della formazione e del lavoro, che in Italia sono 2 milioni, hanno comunque una vita sociale piena di relazioni, non tendono ad isolarsi. Nel caso degli Hikikomori, uno dei principali sintomi è, invece, rappresentato dalla repulsione sociale - è considerato hikikomori chi non esce da casa per almeno 6 mesi -, a cui si aggiungono l’angoscia per la scuola e la fuga in Rete. La scelta di stare sui social non è contraddittoria a quella di isolarsi nella vita reale. Anzi. Internet consente di stare in contatto con il mondo, di esserci, ma senza che nessuno pretenda niente da te. Spesso, infatti, ciò che spinge ad isolarsi è la pressione sociale subita e lo spirito competitivo esasperato che li circonda. I giovani che vivono questa condizione non riescono a soddisfare le aspettative che gli altri hanno su di loro e, di conseguenza, si chiudono nel loro mondo. Proprio al fine di evitare anche i contatti in casa, essi spesso invertono i ritmi di vita: dormono di giorno e stanno svegli di notte, preferendo le incursioni notturne in cucina per mangiare qualcosa quando il resto della famiglia è a letto. Ed è soprattutto di notte che la Rete tiene loro compagnia. Quella stessa Rete che costituisce una delle maggiori cause di questo fenomeno in crescita, dal momento che da la possibilità di scappare dal mondo reale e di rifugiarsi in quello virtuale. Oltre all’ambiente nel quale questi giovani crescono,

ad influire sulla tendenza all’isolazionismo è la loro maggiore sensibilità che li rende più fragili.

In Giappone il fenomeno investe tutti gli strati della società. A Tokyo, addirittura, sono nati dei bar esclusivi per gli Hikikomori. In questi locali sedie e sgabelli sono rivolti verso il muro, dal momento che sono frequentati solo da chi non vuole parlare con nessuno. L’unica possibilità di scambiare due chiacchiere è data dalla presenza di ragazze che servono il tè e adottano un approccio sensuale. Esse rappresentano un modo per cercare di far uscire i Hikikomori dalla quattro mura delle loro stanze. Infatti, un aiuto positivo per questi giovani è quello di evitare atteggiamenti di forzatura o supponenti, ponendosi invece come interlocutori empatici e non giudicanti. Ciò vale tanto per le famiglie che per la scuola e gli specialisti dei disturbi psichiatrici, i quali dovranno al più presto dotarsi di protocolli efficaci per affrontare il fenomeno dell’isolazionismo.

 di Alida Federico

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