Iohann, il pugile nomade che stese il suo kapò
Cultura | 14 gennaio 2016
Come nella canzone di Claudio Lolli, anche Dario Fo ha visto anche degli zingari felici; uno è stato così felice, prima che decidessero di distruggere la sua felicità e la sua vita, che ha deciso di raccontarne la storia nel nuovo romanzo, intitolato proprio Razza di zingaro È la storia vera, lontana nel tempo ma attuale nelle coscienze, del pugile Johann Trollmann, recuperata grazie alla ricerca del germanista Paolo Cagna Ninch. Tedesco di etnia sinti vissuto tra il 1907 e il 1943 Trollmann si rivela da ragazzo uno strepitoso talento naturale a cui però, nonostante le vittorie, non verrà concesso di rappresentare il suo Paese alle Olimpiadi del 1928 come gli altri tedeschi.
Eppure non solo è il più bravo, ma si è addirittura inventato uno stile nuovo, una mobilità di gesti e un gioco di gambe che lascia a bocca aperta il pubblico, in particolare quello femminile, perché più che alla boxe fa pensare alla danza.
Anche Fo è rimasto così conquistato dal pugile ballerino che non gli è bastato raccontarlo con le parole, ha voluto anche raffigurarlo in una serie di tavole a colori.
Probabilmente anche in virtù della sua etnia, poco incline alla cultura machista, il giovane Johann fu il primo a dimostrare che - come tutti gli sport - anche il pugilato può diventare cultura e perfino arte: "Si muoveva in modo diverso sul ring, con la capacità di sorprendere, con la gestualità e perfino la respirazione di un attore.
Lui non voleva annientare l' avversario, distruggerlo, ma piuttosto giocare insieme a lui, renderlo la sua spalla. Sembrava che dicesse 'facciamo spettacolo insieme'". Insomma, in questo campione, Fo ha annusato un' aria di famiglia, l' idea che c' è qualcosa di orgogliosamente nomade nell' essenza stessa del teatro.
Johann Trollmann "vola come una farfalla e punge come un' ape", come si sarebbe detto qualche decennio dopo di Muhammed Alì; e infatti il romanzo-verità si lega alla tradizione letteraria che vede nella boxe una metafora della lotta per vita, e soprattutto del riscatto umano.
Purtroppo, la storia del Novecento aveva in serbo qualcosa di più terribile.
Dopo essere stato privato della corona dei pesi mediomassimi senza alcuna ragione sportiva, con l' avvento del nazismo per Johann Trollmann inizia la vera via crucis.
Non solo gli viene negato di combattere, ma anche di vivere con sua moglie e sua figlia. Per salvarle deve divorziare, perché una donna tedesca non può essere sposata con uno zingaro.
Con lo scoppio della guerra, Trollman non scamperà nemmeno alla sterilizzazione né al campo di concentramento, dove lo attende l' ultimo match, quello con il kapò: "Quando viene sfidato sa perfettamente che se sconfiggerà il suo aguzzino, questi lo manderà a morte. Eppure fino all' ultimo non rinuncia a difendere il suo modo di essere".
Razza di zingaro nasconde una lezione di dignità che arriva da dove meno ce lo aspettiamo, da un popolo delle cui tradizioni ignoriamo quasi tutto, e ancora oggi tendiamo a discriminare.
C' è chi sostiene che la parola che dà il titolo al romanzo, "zingaro", sia quasi una parolaccia, politicamente scorretta; ma il genio di Dario Fo non s' illumina mai tanto come quando è in controluce, controcorrente: "A differenza degli altri popoli europei siamo noi italiani ad avere trasformato, a forza di luoghi comuni, il termine zingaro in qualcosa di degradante, quasi fosse un insulto. È la comoda ricerca del nemico a tutti i costi, con cui il potere distrae il popolo dalle vere magagne: "Trovami un nemico e diventerai imperatore".
Qui la questione si fa ancora più attuale. Si fa presto a dire storytelling; ma in troppe storie si fatica a veder chiaro, e mai come oggi, da Quarto a Colonia: "La dinamica di quanto è successo in Germania è poco chiara, è evidente che risponde a una regia occulta. Prima di esprimere un giudizio bisognerà venirne a capo; 'trovare la situazione', come si dice a teatro".
Insomma, il secondo dovere di chi racconta una storia è quello di raccontare una bella storia. Ma il primo è di non raccontare balle (Il Fatto Quotidiano).
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