In Turchia tra i bambini siriani che fabbricano vestiti per noi

Lavoro | 25 maggio 2016
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Mahoumud lavora dodici ore al giorno, è un sarto di precisione, velocissimo. Azzam, invece, sta ancora imparando, come Saisha. Fayath è il sarto più grande e più esperto.
Pensate… sono tutti bimbi operai. Profughi, siriani, sopravvissuti alla guerra, schiavi in Turchia. Aisha, Moahamed, Alì, Adila, Afaf, Amina, Abbas, Fateen: hanno tra gli otto e i tredici anni, passano le giornate al lavoro e non sanno né leggere, né scrivere. Non parlano benissimo nemmeno l' arabo, la loro lingua.
Questa è Gaziantep, città turca di un milione e mezzo di abitanti, al confine con la Siria, a soli 120 chilometri da Aleppo. Secondo il ministero dell' Interno turco, alla fine del 2015, a Gaziantep erano registrati 325 mila siriani, a Istanbul 377 mila, ad Hatay 385 mila, a Sanliurfa 389 mila.
Ogni giorno a Gaziantep si producono 40 mila scarpe per il mercato interno turco e per quello internazionale. Russia, Azerbaijan, Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Iraq i principali Paesi importatori. Poi ci sono i clienti europei: Germania, Francia, Olanda, Italia, Ucraina, Polonia.
Il distretto tessile, invece, è composto da 52 mila aziende con almeno 918 mila lavoratori in tutto il Paese. Il 65% della produzione viene esportata all' estero. Il tessile contribuisce al 7% del Pil turco e l' Europa è il secondo compratore di prodotti tessili dalla Turchia, il primo per l' abbigliamento in senso stretto.
I principali brand internazionali hanno ormai da tempo delocalizzato qui la loro produzione.
Per capire quanto sia grande questo business bisogna per forza passare da Istanbul. Nei quartieri di Zeytinburnu e Fatih c' è il centro nevralgico del tessile e delle scarpe. Qui arrivano pezzi di lavorazione da Smirne, Bursa, Ankara, Denizli, Kayseri, Tekirdag, Adiyaman, Kahramanmaras, Adana e Gaziantep. Un mercato poroso, così come quello di Gaziantep. La contraffazione dilaga.
A Gaziantep sono entrata in decine di sartorie, anche di imprenditori siriani. Dentro ho trovato un esercito di bambini di otto, nove, dieci, undici anni. Bimbi siriani al lavoro, tutti completamente blu come il colore dei jeans che lavano, cuciono e maneggiano dodici ore al giorno. Sono figli delle famiglie siriane più povere, quelle che non avrebbero nemmeno potuto permettersi di morire in un gommone tra la Turchia e la Grecia.
I piccoli operai, schiavi d' Europa, mi parlano dietro le macchine da cucire con il sorriso sempre stampato sul volto. Piccoli d' età, ma già uomini: "Lavorare non mi stanca, ma comunque non avrei altra scelta". Ma sei mai andato a scuola, Mahmoud? "Fino alla quarta elementare sì. Ora, da quando con la mia famiglia ci siamo messi in salvo in Turchia, lavoro per vivere!". "Lavoro perché sono costretta", "La mia famiglia ha bisogno di aiuto", "Quando finirà la guerra voglio tornare a scuola, da grande voglio fare il medico… l' insegnante, l' ingegnere". Un bimbo prende circa 5 lire turche al giorno, un euro e mezzo.
Un adulto ne prende 30 di lire, cioè circa 9 euro. Quello che un bimbo guadagna in una settimana, un uomo lo prende in un giorno.
Per le strade di Gaziantep è normale che un bimbo, mentre lavora, ti guardi negli occhi e ti dica: "Guarda le mie mani! Lavoro tutto il giorno a contatto con acqua e acido. Mi fanno male". Le mani di Fateen, dieci anni, sembrano quelle di un uomo adulto. Oggi Fateen in Turchia è uno degli 800 mila minori (siriani, turchi e curdi), che secondo le stime del sindacato turco, ogni mattina si alza e invece di andare a scuola e di giocare va a lavorare. Se all' ora di pranzo ti fai un giro nella zona industriale di Gaziantep, sulla strada, nelle aiuole, ovunque vedi bimbi operai in pausa. Questo è quello che sta accadendo in Turchia, soprattutto nelle zone di confine. La Turchia che secondo l' accordo firmato con l' Europa deve gestire l' emergenza dei profughi dalla Siria in cambio di 6 miliardi di euro (tre subito, altri tre entro il 2018).
Per chi lavorano questi bimbi? Dove finiscono i jeans, le maglie, le decorazioni per scarpe che gli ho visto confezionare? Nelle sartorie in cui entro non ci sono registri, libri contabili o qualsiasi cosa possa far risalire al cliente. O comunque io non li vedo.
All' inizio di febbraio l' organizzazione no profit Business human rights resource centre ha scritto a 28 brand internazionali che operano in Turchia per chiedere loro di compilare un questionario sul lavoro minorile: tre marchi non hanno ancora risposto, cinque hanno promesso che risponderanno, dieci hanno inviato una risposta formale in cui negavano la presenza di minori all' interno delle loro fabbriche e infine dieci grossi marchi hanno risposto anche al questionario. H&M e Next hanno fatto di più. Dopo un' indagine interna, entrambi i gruppi hanno individuato manodopera minorenne: H&M in un' azienda appaltatrice, Next in due aziende appaltatrici. Entrambi i gruppi sono intervenuti prontamente.
Ora non resta che aspettare anche da tutti gli altri, la stessa verifica scrupolosa.(il Fatto Quotidiano)

 di Valentina Petrini

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