In Sicilia arriveranno altri 10 miliardi di fondi Ue, il dilemma della mancata programmazione

Economia | 1 dicembre 2021
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Il comunicato finale del Comitato di sorveglianza del FESR che si è tenuto a Palermo il 29 novembre è ispirato alla soddisfazione per il quasi certo raggiungimento degli obiettivi di spesa prefissati: alla scadenza del 31 dicembre prossimo mancano da rendicontare solo 93 milioni di euro per raggiungere il target dell'anno in corso che, ricordiamolo, è il primo dopo la conclusione del ciclo di programmazione 2014-2020. Su 4.273.038.791 euro del POR risultano impegnati 3,4 miliardi di cui 2,3 già pagati e 1,6 certificati dalla Commissione Europea. Insomma, dividendo per i sette anni già trascorsi, sono stati spesi poco più di 375 milioni l'anno, ma in realtà allo scarsissimo utilizzo dei primi anni è seguita un'accelerazione nell'ultimo biennio. 

A seconda della prospettiva scelta, il bicchiere può essere guardato dalla metà piena (l'indubbia accelerazione della spesa) piuttosto che dalla metà vuota (la permanente difficoltà della Regione ad utilizzare le risorse per lo sviluppo). In tempi in cui va di moda la resilienza, mettiamo in evidenza la metà piena; ma che il vuoto esista è confermato anche dalla necessità dichiarata di rimodulare risorse per 154,5 milioni di euro. Inoltre alcuni dei dieci assi del POR sono assai più avanti degli altri: il 31% della spesa si è concentrato sulle infrastrutture (500 milioni), il 24% è assegnato all'asse competitività, cioè alle imprese sono andate risorse per 390 milioni. Gli altri assi seguono a grande distanza, soprattutto quelli che appaiono decisivi per la realizzazione di appuntamenti fondamentali per l'isola come l'agenda digitale e l'ambiente. Qui si pone una questione tutt'altro che secondaria. Il 2021 è anno di transizione tra il vecchio ed il nuovo ciclo di programmazione.

 Secondo i dati formalizzati in sede di Comitato, alla Sicilia spetteranno per il prossimo settennio 7,4 miliardi di risorse per il FESR e 1,9 miliardi per il FSE che è stato particolarmente rafforzato dopo la pandemia. Un totale di 9,3 miliardi cui vanno aggiunti i fondi per lo sviluppo rurale (PSR). 

Con decisione del 22 novembre scorso la Commissione ha allungato fino al 2022 il vigente periodo di programmazione assegnando alla Sicilia risorse per 701 milioni di euro di cui 352.492.000 a carico del quadro finanziario pluriennale e 118.767.000 derivanti dal Next generation EU, quello che comunemente viene denominato PNRR. Gli obiettivi di politica agricola dell'UE appaiono centrati in particolare sulla biodiversità, sulla politica “farm to work” che punta alla sostenibilità dei sistemi alimentari attraverso la riduzione dello spreco alimentare e l'impegno alla riduzione del 50% nell'utilizzo dei pesticidi, oltre che sugli obiettivi più generali del green deal, cioè della transizione ecologica europea. A chi scrive appare chiaro che, dopo la pandemia ed a fronte del cambiamento climatico di cui le produzioni agricole siciliane hanno pagato- in queste settimane di eventi atmosferici estremi- lo scotto, la riqualificazione e la crescita sostenibile dell'agricoltura rappresentano una delle scommesse decisive per il futuro dell'isola. 

Le polemiche che hanno tradizionalmente accompagnato la discussione di fondi strutturali europei sono oggi in qualche maniera superate non tanto dal parziale recupero di efficienza del sistema regionale, ma dal fatto che nei prossimi anni la natura dei problemi da affrontare cambierà di segno. Facciamo quattro conti: restano da spendere entro la fine del 2023 1,3 miliardi di fondi strutturali 2014-2020; ad essi si aggiungeranno (da certificare, secondo la regola N+3, entro il 2030) 9,3 miliardi del ciclo di programmazione cominciato nel 2021; cui andranno aggiunti oltre 2,5 miliardi relativi al PSR. Infine, potrebbe arrivare in Sicilia una quantità di risorse del PNRR stimata in poco più di 20 miliardi da impegnare e spendere entro il 2026. Siamo a 32, 3 miliardi di euro di risorse disponibili per investimenti, una somma capace -se ben utilizzata- di cambiare il volto della nostra regione, dando un enorme contributo alla soluzione di problemi atavici, a partire dal dissesto del territorio, dalla disoccupazione e dell'emigrazione delle giovani donne e dei giovani uomini che ha ormai assunto dimensioni di massa. 

Non tutto dipenderà dall'amministrazione regionale, che avrà comunque la responsabilità diretta di oltre 12 miliardi di fondi strutturali. Con una capacità di spesa, pari, per dichiarazione dello stesso assessore all'Economia, ad appena 700 milioni annui, sarà assai complicato realizzare l'obiettivo. Un'altra quota consistente di risorse, pari ad almeno quattro miliardi di euro, sarà in carico agli enti locali dell'isola, in special modo con riguardo alle missioni 4 e 5 del PNRR: è noto che un terzo dei comuni siciliani è in dissesto e molti altri versano comunque in gravi difficoltà finanziarie. Quasi tutti inoltre denunciano difficoltà a programmare i servizi, a dotarsi di progetti, e sono a corto di organico soprattutto per quanto riguarda le professionalità più qualificate. 

Il rischio concreto è, per dirla con la necessaria franchezza, che un sistema politico ed istituzionale ripiegato su se stesso e lontano dai bisogni delle persone sommato a strutture amministrative obsolete e che non si ha il coraggio di riformare radicalmente accompagnino la Sicilia verso il fallimento nonostante la disponibilità senza precedenti di risorse pubbliche. Di questo, con tutto il rispetto per la giostra delle candidature in vista delle prossime elezioni per i comuni metropolitani e per la Regione, la politica siciliana dovrebbe occuparsi.

 di Franco Garufi

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