In memoria di Giuseppe Giarrizzo, siciliano di respiro europeo
E’ mancato il 28 novembre scorso Giuseppe Giarrizzo, professore emerito di Storia moderna nell’Università di Catania ed accademico del Lincei. Nato nel 1927 a Riposto, Giarrizzo, che fu allievo di Santo Mazzarino e amico personale e collega di Rosario Romeo, è stato un intellettuale siciliano di dimensione europea che ha guardato alla politica come parte integrante dell’impegno civile, ma al tempo stesso un grande organizzatore di cultura. Egli è appartenuto alla grande tradizione di apertura verso l’Europa ed il mondo che caratterizzò quegli intellettuali siciliani della seconda parte del XX secolo che, portatori di una visione non asfitticamente regionista, si opposero alla pretesa unicità dell’esperienza della Sicilia, dimostrando la povertà culturale e le svigorite basi sociali delle classi dirigenti siciliane. Sarà ricordato anche per la passione e la tenacia con le quali seppe condurre a termine il restauro del monastero dei Benedettini del quale riuscì a garantire il recupero e la trasformazione in sede della facoltà di Lettere e Filosofia, restituendo così a Catania uno dei principali monumenti realizzati nella grande stagione urbanistica successiva al terremoto del 1693. Del ventennale restauro dei Benedettini, tra i più grandi insediamenti monastici dell’intera Europa dal 2002 menzionato dall’Unesco come patrimonio dell’umanità, egli fu protagonista insieme all’architetto Giancarlo De Carlo, realizzando una delle principali operazioni di recupero e riutilizzo di un monumento storico fin oggi concretizzate in Sicilia. La sua ultima creatura, su questo versante delle sue attività, è stata la Fondazione Giuseppe e Maria Giarrizzo alla quale ha donato tutto il suo patrimonio librario. Grande storico dell’Illuminismo, fu attento ed innovatore anche nel dibattito sul Meridione d’Italia, a proposito del quale seppe- senza sottrarsi alle polemiche- proporre interpretazioni originali. Suo principale impegno fu la revisione radicale della storia del Mezzogiorno moderno e contemporaneo spostandone il centro dalla campagna alla città, verso la cosidetta “modernizzazione difficile”. In “Autobiografia di uno storico”, scritta alla vigilia degli ottant’anni, ricordava la battaglia contro “la scelta che mi parve cinica di poggiare sulle fragili spalle dei contadini meridionali il progetto di una rivoluzione socialista”. Come storico della Sicilia coordinò, insieme a Murice Aymard, il volume dedicato all’isola dell’einaudiana Storia d’Italia (Le regioni dall'unità ad oggi) ed approfondì, collegandola al grande dibattito svoltosi alla fine del XIX secolo nel movimento socialista internazionale sulla questione agraria, la vicenda dei fasci siciliani. Non fu uomo di carattere semplice e più di una volta le sue scelte suscitarono polemiche. Il suo rapporto con la politica fu complesso, pur segnando in profondità la sua esperienza di vita e la sua personalità: socialista fin dagli anni giovanili, si cimentò con il governo di Catania a metà degli anni ’80 come vicesindaco ed assessore all’Urbanistica di una Giunta di centrosinistra, in una fase nella quale, sotto i lustrini del craxismo vincente, si intravedevano i guasti di un sistema politico ed istituzionale prossimo ad avvitarsi nella crisi mortale dell’inizio degli anni Novanta. Giarrizzo avvertì per tempo i segnali di quanto stava per avvenire: in quello che è probabilmente il suo ultimo scritto politico - la postfazione al recente libro di Gaspare Saladino sul socialismo siciliano- egli ripercorre il progressivo maturare dell’ allontanamento dalla politica perseguita dal PSI in quegli anni, che lo condurrà a definire se stesso testimone da lontano della decadenza del PSI e della fine di quel centenario soggetto politico. Eppure Giarrizzo continuò sempre a considerare il socialismo come suo orizzonte politico, pur consapevole che pensare di riportare in vita una struttura di partito che, nelle mutate condizioni politiche del paese, al socialismo facesse riferimento, era da considerarsi soltanto un’illusione. Negli ultimi anni i suoi scritti evidenziavano il distacco dell’intellettuale dalla dimensione esclusivamente pragmatica assunta dalla politica. Evidenti erano la delusione e la distanza dall’agire concreto degli uomini politici, così come la constatazione dell’inadeguatezza del ceto politico; tuttavia mai venne meno la sua concezione dell’impegno civile, che lo aveva condotto a definire se stesso come appartenente “alla storiografia dell’impegno”. Un ricordo personale: in una delle rare conversazioni che mi capitò di sostenere con colui che tutti chiamavano “il preside” (diresse la Facoltà di Lettere dal 1968 al 1998), egli affermò ( si era attorno al 2000) che sarebbero stati necessari almeno vent’anni prima che potesse ricominciasse ad apparire nel nostro paese una soggettività politica socialista capace di influenzare e modificare la realtà socio- economica dell’Italia. Parole profetiche, alla luce di ciò che vediamo accadere.
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