Il trattamento penitenziario dei detenuti stranieri in Italia
Un saggio sul trattamento penitenziario dei detenuti stranieri è stato scritto a quattro mani dal procuratore della Repubblica aggiunto Calogero Getano Paci e dall'avvocato Aurelio Panetta del foro di Locri e pubblicato nel volume Esecuzione penale e Ordinamento penitenziario, a cura di P. Balducci e A. Macrillò, 2020, Milano. Il saggio fornisce una aggiornata descrizione della disciplina giuridica prevista dall’ordinamento italiano nei confronti dei detenuti stranieri. È analizzata anche l’applicazione della giurisprudenza sul trattamento penitenziario e sulle varie ipotesi di espulsione dal territorio nazionale. Infine sono analizzate le più ricorrenti problematiche che caratterizzano la popolazione straniera detenuta. Lo pubblichiamo su gentile concessione dell’Editore Giuffrè Francis Lefebrve, Milano.
Capitolo VII
L’ESECUZIONE DELLA PENA NEI CONFRONTI DEGLI STRANIERI
di Aurelio Panetta e Calogero Gaetano Paci
SOMMARIO: 1. Il detenuto straniero: il quadro normativo di riferimento – 2. La popolazione straniera detenuta e la definizione giuridica di straniero. - 3. L’espulsione come misura di sicurezza ex art. 235 c.p. - 4. L’espulsione come misura alternativa alla detenzione e come misura di sicurezza.
4.1. Reati ostativi all'espulsione come misura alternativa alla detenzione e scissione del cumulo. 4.2. Il procedimento giurisdizionale. - 4.3. La titolarità del diritto all'espulsione nel caso di applicazione di pena ex art. 444 c.p.p. 4.4. Esecuzione dell’espulsione e revoca della misura. – 5. L'espulsione come misura di sicurezza fuori dei casi previsti dal codice penale ex art. 15 T.U. imm. - 6. L’espulsione amministrativa «per motivi di ordine pubblico e sicurezza» e l’espulsione «per motivi di prevenzione del terrorismo». - 6.1. Il divieto di espulsione degli stranieri minori di anni diciotto. -
6.2 L’espulsione prefettizia. I presupposti. - 6.3. La partenza volontaria. - 6.4. Il decreto prefettizio di espulsione: ratio e conseguenze. - 6.5. Il procedimento di impugnazione del decreto di espulsione:
poteri ed obblighi del giudice ordinario. - 6.6. Il reingresso. - 6.7. Esecuzione dell’espulsione - 7.
L’espulsione dello straniero ex art. 86 d.P.R. n. 309 del 1990. - 7.1. Espulsione dello straniero dal territorio dello Stato: presupposti per la protezione sussidiaria. 7.2. L’applicabilità dei procedimenti speciali. - 8. L’espulsione dello straniero colto in flagranza di reato. - 9. Il trattamento penitenziario dello straniero.
1. Il detenuto straniero: il quadro normativo di riferimento
La disciplina della condizione detentiva della persona straniera è affidata dal nostro
ordinamento a scarne disposizioni e ad una copiosa elaborazione giurisprudenziale, specie di derivazione costituzionale, spesso in rapporto dialogico con la normativa sovranazionale e con la giurisprudenza della Corte Edu.
Per ricostruire il sistema è, dunque, necessario procedere dai principi supremi dell’ordinamento (art. 2 Cost.) che riconoscono e garantiscono all’uomo - prima ancora che al cittadino - la tutela dei diritti inviolabili che nessuna delle forme di restrizione della libertà personale, quantunque variamente giustificata sotto il profilo amministrativo o penale, possono sacrificare822.
L’inviolabilità della persona umana anche durante la restrizione carceraria o l’esecuzione penale, sia pure con le limitazioni imposte dall’ordinamento penitenziario, assume un contenuto minimo inderogabile, anche per il legislatore ordinario, che la Corte Costituzionale ha declinato lungo un percorso giurisprudenziale evolutivo che riconosce al detenuto un nucleo insopprimibile di libertà personale e di connessa titolarità di posizioni giuridiche soggettive per farla valere823.
Il «senso di umanità» che il trattamento penale deve comunque preservare (art. 27, comma 3, Cost.) prescinde dalla nazionalità di origine del detenuto e rende anche quest’ultimo destinatario, se ed in quanto verrà condannato definitivamente, di un
822 La tutela dei «diritti inviolabili dell'uomo» non distingue tra cittadini e stranieri, ma garantisce i diritti fondamentali anche riguardo allo straniero (Corte cost., 18 luglio 1986, n. 199, in Giust. civ.,
1986, I, p. 2641).
823 Percorso ben delineato in Corte cost., 28 luglio 1993, n. 349, in Foro it., 1995, I, p. 488, concernente l’applicazione del regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis ord. penit., ove sono menzionate anche Corte cost., 4 luglio 1974, n. 204, in Giur. cost., 1974, p. 1707; Corte cost., 13
giugno 1985, n. 185, in Giust. pen., 1985, I, p. 295; Corte cost., 6 dicembre 1985, n. 312, in Foro it.,
1985, I, p. 3065; Corte cost., 4 novembre 1987, n. 374, in Giur. cost.., 1987, I, p. 2749; Corte cost.,
16 febbraio 1993, n. 53, in Cass. pen., 1993, p. 1085.
programma rieducativo che si traduce nell’acquisizione di una serie di situazioni giuridiche azionabili in sede giurisdizionale, sempre che anche il detenuto straniero intenda avvalersi delle opportunità trattamentali che il percorso rieducativo offre824.
Le fonti sovranazionali si muovono in una direzione coerente con quelle nazionali, a cominciare dalla dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 che riconosce a
«tutti gli individui» i diritti e le libertà in essa enunciate, vietando qualsiasi distinzione per ragioni di razza, sesso, lingua, credo religioso o politico, e provenienza nazionale (art. 2); tra questi diritti rilevano quello di non essere sottoposto a tortura o a trattamento punitivo inumano, crudele o degradante (art. 5) nonché di uguaglianza e di parità di trattamento innanzi alla legge ( art. 7 ) e di accesso alla tutela giurisdizionale (art. 8).
Le 122 Mandela Rules, approvate il 17 dicembre 2015 dall’Assemblea Generale dell’ONU dopo una elaborazione iniziata nel 1955, contengono la piattaforma inderogabile degli standard minimi di trattamento per tutti i detenuti, indipendentemente
dalla loro provenienza nazionale (rul. 2) le quali, sebbene non direttamente vincolanti per gli Stati, costituiscono un forte elemento di orientamento delle rispettive legislazioni.
Immediata efficacia vincolante hanno invece le disposizioni della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo che all’art. 3 prescrive il perentorio divieto di sottoporre chiunque a «tortura [ne] a pene o trattamenti inumani e degradanti», richiamato espressamente dall’art. 35-ter ord. penit. quale presupposto per il riconoscimento dei rimedi risarcitori per la sua violazione, e all’art. 14 introduce un espresso divieto di discriminazione per il godimento dei diritti e della libertà da essa riconosciuti fondato anche «sull’origine nazionale o l’appartenenza ad una minoranza nazionale».
Di tali principi la Corte EDU ha fatto ampia applicazione in materia di diritto alla salute825, di spazio personale fruibile826 e di assegnazione ad un circuito ad elevata vigilanza con specifico riferimento al regime speciale previsto dall’art. 41-bis ord. penit.827.
A livello di raccomandazione agli Stati membri, il Comitato dei Ministri UE ha emanato un testo di regole penitenziarie europee (Raccomandazione 2006/2) il cui art. 37 si occupa espressamente dei cittadini «detenuti stranieri» con particolare riferimento al diritto di prendere contatto con i rappresentanti diplomatici o consolari dei Paesi di origine, di essere informati sull’assistenza legale nonché di essere trasferiti presso un altro Paese per l’esecuzione della pena.
Infine, la più recente raccomandazione CM/REC (2012) 12 del Comitato dei Ministri UE prende in considerazione esclusivamente i detenuti stranieri adottando una capillare disciplina che va da alcuni fondamentali principi-base antidiscriminatori, alle condizioni
824 Si fa riferimento agli strumenti di tutela, introdotti con la l. 177/2014 dopo la sentenza Torreggiani c. Italia della CEDU, previsti dagli artt. 35-bis e 35-ter per tutte le violazioni dell’art. 3 della Convenzione che si traducano in trattamenti «inumani o degradanti». Sul punto si veda C. FIORIO, Commento all’art. 4, in L’Esecuzione Penale, (a cura di) F. Fiorentin e F. Siracusano, Giuffrè Francis Lefebre, 2019, p. 32.
825 Corte EDU, Prestieri c. Italia, decisione 29 gennaio 2013, Marro ed altri, decisione dell’8 aprile
2014
826 Corte EDU, Sulejmanovic c. Italia, decisione del 16 luglio 2009, Torreggiani c. Italia, decisione
dell’8 gennaio 2013, Tellissi c. Italia, decisione del 5 marzo 2013.
827 Corte EDU, Rosmini c. Italia decisione del 28 maggio 2013; da ultimo anche, sempre in materia
di criminalità organizzata, l’importante decisione Corte EDU, Sez. I, 13 giugno 2019, M. Viola c.
Italia, con la quale, per la prima volta, è stato riconosciuto il contrasto con il principio della dignità
umana di cui all’art. 3 Cedu dell’ergastolo ostativo previsto dall’art. 4-bis ord. penit.
di assoggettamento alla custodia cautelare, alla disciplina di dettaglio delle condizioni detentive, alla particolare attenzione alla preparazione alla scarcerazione dei detenuti stranieri al fine di consentirne il reinserimento sociale anche mediante l’assicurazione della continuità del trattamento e delle eventuali cure.
In questo quadro si inserisce la disposizione di apertura della legge sull’ordinamento penitenziario (l. n. 354 del 1975), recentemente riformulata dall’art. 11 comma 1, lett. a) del d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 123, che vincola il trattamento al rispetto della umanità e della dignità della persona, indipendentemente (tra l’altro) dalla nazionalità, e lo finalizza al suo reinserimento sociale mediante l’elaborazione di un programma individualizzato in rapporto alla specifiche condizioni del singolo.
Si tratta di una disposizione dalla forte valenza simbolica che mira a ridurre lo scarto con la concreta realtà delle condizioni carcerarie del nostro Paese828, rese drammatiche dall’endemico sovraffollamento (conseguente anche ad una politica criminale legislativa tendente ad accentuare il disvalore penale ed il trattamento sanzionatorio dei delitti predatori e delle marginalità sociali) 829, dalle deficienze strutturali e di risorse umane e relazionali, e non ultimo dalla inadeguatezza del sistema a fronteggiare le complesse istanze di una componente significativa della popolazione detenuta, quella appunto di provenienza straniera.
2. La popolazione straniera detenuta e la definizione giuridica di straniero
La capienza regolamentare degli istituti penitenziari italiani, calcolata secondo i criteri introdotti a seguito delle sentenze Sulejmanovic e Torreggiani, è di 50.469 unità830, tuttavia ampiamente superata, secondo le più aggiornate rilevazioni statistiche del Ministero della Giustizia, con la presenza effettiva di 60.741 detenuti, di cui stranieri
20.531831.
La progressione di crescita del sovraffollamento è in constante aumento ed è la più alta
d’Europa832. La percentuale di presenza dei detenuti stranieri833 si attesta sempre oltre il
828 Sul punto, cfr. F. FIORENTIN -F. SIRACUSANO, Trattamento e rieducazione, in L’esecuzione
penale, a cura dei medesimi Autori, Giuffrè Francis Lefebre, Milano, 2019, p. 5.
829 Ma anche a certe prassi giudiziarie che spesso eludono la sostanza garantista della motivazione in punto di esigenze cautelari nei provvedimenti de libertate «troppo spesso dedicando poche stereotipate parole alla valutazione d’inadeguatezza di misure attenuate (in particolare per stranieri
ed indigenti)»: cosi il Primo Presidente della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo, in occasione dello
svolgimento della Relazione sull’amministrazione della giustizia per l’anno 2012, tenuta il 25
gennaio 2013.
830 Il calcolo dei posti regolamentari avviene sulla base del criterio di 9 mq per singolo detenuto + 5
mq per gli altri, lo stesso per cui in Italia viene concessa l’abitabilità alle abitazioni, più favorevole rispetto ai 6 mq + 4 più i servizi sanitari stabiliti dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura. Recentemente la CEDU ha ribadito che «una superficie calpestabile di 3 mq per ogni detenuto (comprensivi dello spazio occupato dai mobili, ma non di quello occupato dai sanitari) in una cella collettiva deve rimanere la soglia minima pertinente ai fini della valutazione delle condizioni di detenzione rispetto all’articolo 3 della Convenzione». La Corte ha precisato altresì che uno spazio personale inferiore a 3 mq in una cella collettiva fa sorgere una presunzione, forte ma non inconfutabile, di violazione di tale disposizione: sentenza Klhaifa e altri c. Italia del 15 dicembre
2016.
831 Sono i dati pubblicati al 31 agosto 2019, disponibili ed aggiornati su: www.giustizia.it/giustizia
832 Sul punto, cfr. Antigone, Numeri e criticità nelle carceri italiane nell’estate del 2019: in
30% della popolazione reclusa anche se, rispetto a dieci anni fa, il trend è in diminuzione834. La massiccia presenza di soggetti non cittadini nel circuito penitenziario pone dunque il problema della individuazione della categoria degli stranieri, ossia di coloro che non hanno il possesso dei requisiti per la cittadinanza italiana ma che sono egualmente soggetti di diritto titolari di posizioni giuridiche.
La tradizionale definizione «in negativo» del concetto di straniero835, espressione della centralità dell’analisi del concetto “in positivo” di cittadinanza da parte della cultura giuridica italiana, impone di fare capo alla l. 5 febbraio 1992, n. 91, regolatrice delle condizioni di acquisto, perdita e riacquisto della cittadinanza836, recentemente emendata con l’introduzione dell’art. 10-bis, ad opera della l. 1 dicembre 2018, n. 132 che contempla una nuova causa di revoca della cittadinanza acquisita a seguito di condanna definitiva per delitti di terrorismo837.
Il ricorso ai criteri di acquisto, perdita e riacquisto della cittadinanza può essere utile a definire l’estensione soggettiva delle persone diverse dai cittadini838 ma non fornisce una solida base per individuare la linea di demarcazione tra cittadino e straniero, soprattutto di fronte alla consolidata lettura evolutiva ed estensiva dei precetti costituzionali, come gli artt. 2, 3 e 10, comma 2, ormai elaborata dalla Corte
Costituzionale secondo una concezione universalistica di tutela dell’uomo, anche quando le disposizioni (come l’art. 3 Cost.) fanno riferimento esclusivamente al cittadino839.
Il rapporto ontologico che - necessariamente - deve caratterizzare il legame tra il cittadino, la comunità nazionale ed il suo territorio, tutti elementi costitutivi dello Stato nazionale, e che difetta nella condizione dello straniero, comporta che al primo è riconosciuto il diritto di risiedere ed anche di emigrare dal territorio dello Stato ma non
833 Le nazionalità più rappresentate sono quella marocchina (18,7 del totale degli stranieri), rumena ed albanese (12,4), tunisina (10,1), nigeriana (8%), siriani (0,3), polacchi e russi (0,7): fonte: Antigone: Prerapporto, p. 3, cit.
834 Al 31 agosto la percentuale di stranieri era di 33,42 mentre nel 2009 era del 37,10: Antigone,
Prerapporto, p. 3, cit. Al momento della entrata in vigore dell’Ordinamento Penitenziario la percentuale di presenza dei detenuti stranieri era pari ad 1: cfr. G. DI ROSA, Le solitudini in carcere: il detenuto malato, il detenuto straniero, in Dir. pen. cont., 5.7.2018, p. 9.
835 «Cioè come colui che è privo della cittadinanza». Sul punto si veda la compilazione della giurisprudenza costituzionale contenuta in La condizione giuridica dello straniero extracomunitario, Quaderno predisposto in occasione dell’incontro trilaterale delle Corti costituzionali italiana,
spagnola e portoghese, Madrid, 25-26 settembre 2008, (a cura di) S. Magnanesi, P. Passaglia e E.
Rispoli, p. 3 ss.
836 Per una moderna rivisitazione del tradizionale concetto di cittadinanza, intesa come “tappa intermedia di un cammino di integrazione” si veda A. RAUTI, La cittadinanza tra “sostanza”, mercato e persona, in Riv. trim. dir. pubbl., fasc. 2, 2019, p. 496.
837 Per la evidenziazione di una serie di profili di incostituzionalità della nuova disciplina, sia sotto il
profilo formale-procedurale che sostanziale, specie con riferimento al contrasto della nuova causa di revoca con l’art. 22 Cost., si veda G. AZZARITI, A proposito della nuova normativa in materia di migrazioni: le incostituzionalità non discusse, in Quest. giust., 18 gennaio 2019, p. 3
838 In tal senso si rinvia al già citato Quaderno predisposto in occasione dell’incontro trilaterale delle
Corti Costituzionali, ove è contenuta l’elencazione di sei categorie di persone (italiani non appartenenti alla Repubblica, cittadini di Stati membri dell’Unione Europea, stranieri titolari del diritto di asilo nella Repubblica, gli apolidi [ossia privi di qualsiasi cittadinanza], gli extracomunitari
regolari od irregolari), cit., pp. 7- 8.
839 Sul punto, tra le più significative, Corte cost., 26 giugno 1969, n. 104; Corte cost., 28 novembre
2005, n. 432, ambedue in www.cortecostituzionale.it.
consente al secondo di riconoscere il diritto di immigrare e di esercitare una posizione di
libertà rispetto all’ingresso ed alla permanenza nel territorio dello Stato840.
In sostanza, nell’ambito di una cornice costituzionale pur sempre modellata sullo Stato nazionale, il diritto di entrare ed uscire liberamente dal territorio dello Stato e di non essere espulsi (c.d. diritto di incolato) differenzia la posizione del cittadino rispetto allo straniero841 con specifico riferimento al godimento dei diritti connessi allo status civitatis ma lascia assolutamente impregiudicata la parità di posizione in ordine alla titolarità della tutela dei diritti fondamentali.
E non c’è dubbio che il trattamento penale e penitenziario cui è sottoposto il detenuto straniero deve svolgersi sotto l’ombrello protettivo apprestato dall’ordinamento alla tutela del diritto inviolabile di libertà personale che, secondo una ormai radicata concezione costituzionale, non può subire alcuna compressione neppure di fronte alla invocazione delle esigenze connesse alla tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico842.
3. L’espulsione come misura di sicurezza ex art. 235 c.p.
L’art. 235 c. p., disciplina l’espulsione come misura di sicurezza (con riguardo alle altre
misure di sicurezza ed al procedimento speciale di sorveglianza previsto per esse, v. infra, sez. II, cap. III) Al lume del novellato art. 235 comma 1 c.p. il giudice ordina l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla legge, quando lo straniero o il cittadino appartenente a uno Stato membro dell'Unione europea sia condannato alla reclusione per un tempo superiore ai due anni. In ragione di tale norma, tale espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, nel caso di condanna alla reclusione per un tempo superiore a due anni, costituisce una misura di sicurezza personale. Invero, essa, è disciplinata in via generale negli artt. 199 e ss. c.p.; sicché può essere disposta soltanto se il giudice di merito, con congrua e logica motivazione, accerti - alla luce dei criteri posti dall'art. 133 c. p. (come richiamati dall'art. 203 c.p.) - la sussistenza in concreto della pericolosità sociale del condannato, la quale si può manifestare principalmente con la reiterazione dei fatti criminosi. Invero, la misura di sicurezza personale ex art. 235 c.p., non presenta alcun profilo di automatica obbligatorietà, essendo rimessa - al pari delle altre misure di sicurezza, a cui afferisce il regime giuridico stabilito in via generale dall'art. 202 c.p. - alla discrezionalità del giudice di merito, il quale la applica ogni volta che abbia verificato la sussistenza della pericolosità sociale. La natura in tal senso facoltativa della misura prevista dall'art. 235 c.p. trova conferma nella lettera della norma, differente da quella che disciplina altri casi di espulsione, in particolare quello di cui all'art. 86 d.P.R. n. 309 del 1990 (il quale prescrive, in modo più stringente, che la misura «deve» essere disposta ogni volta in cui si riconosca la pericolosità sociale del condannato). E dunque, la natura facoltativa della misura regolata dall'art. 235 c. p. non comporta, in linea di principio, uno specifico onere di esplicitazione della valutazione negativa (a meno che la motivazione resa in concreto non abbia esplicitato l'evenienza di elementi di
840 V. Corte cost., 24 febbraio 1994, n. 62, in Riv. dir. internaz., 1994, p. 1054 in materia di espulsione, ed anche Corte cost., 8 luglio 2010, n. 250, in Foro it., 1985, I, p. 3065, che ha riconosciuto la legittimità costituzionale del reato di cui all’art. 10-bis del T.U. sull’immigrazione.
841 Cosi L. MONTANARI, Giurisprudenza costituzionale in materia di diritti degli stranieri, in
Federalismi.it, numero speciale 2/2019, p. 65.
842 V. Corte cost., 10 aprile 2001, n. 105, in Giur. it., 2002, p. 1345.
pronunciata pericolosità sociale annessi alla sfera del condannato, circostanza che non si riscontra nel provvedimento oggi impugnato).
Secondo la Cassazione l'espulsione dal territorio dello Stato di uno straniero o di un cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, prevista dall'art. 235, comma 1, c.p., costituisce una misura di sicurezza personale facoltativa la cui mancata applicazione richiede una specifica motivazione quando la pericolosità sociale del condannato risulti da concreti e rilevanti fattori indicati in motivazione843.
La ratio della misura di cui all'art. 235 c.p. si collega così all'interesse politico e giuridico dello Stato a far venir meno la presenza di chi abbia rivelato, attraverso la commissione di un delitto di una certa gravita, una particolare attitudine a delinquere e dunque un pericolo per la comunità di consociati. Il cittadino comunitario ospitato nello Stato non può ignorare di doversi astenere dal violare la legge penale, rischiando, altrimenti, di provocare anche la ragionevole reazione dell'espulsione844.
L’espulsione si applica solo allo straniero, ma può riguardare anche l’apolide ex art.
183- bis disp. att. c.p.p. E’ stato rilevato in giurisprudenza, che l'espulsione prevista dall’ art. 235 c.p. può essere disposta, ricorrendone le condizioni, anche nei confronti dello straniero munito di permesso di soggiorno e convivente con prossimi congiunti di nazionalità italiana, atteso il preminente interesse dello Stato all'allontanamento di una persona che, commettendo reati di una certa gravità, si è rivelata incline a delinquere e, dunque, socialmente pericolosa. Peraltro, è altrettanto pacifico in giurisprudenza che l'espulsione debba soggiacere ad un giudizio di compatibilità con i principi stabiliti dall'art. 8 CEDU, secondo cui l'espulsione - pur essendo espressione del potere di sovranità dello Stato - non deve comunque provocare ingiustificate ingerenze nella vita privata e famigliare perché la particolare forza di resistenza, rispetto alla normativa ordinaria successiva, della regola di cui all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, tende a premunire l'individuo contro ingerenze arbitrarie da parte dei
pubblici poteri845. Il comma 2 dell’art. 235 c.p. prevede poi che il trasgressore dell’ordine di espulsione od allontanamento pronunciato dal giudice è punito con la reclusione da uno a quattro anni. In tal caso è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto, anche fuori dei casi di flagranza e si procede con rito direttissimo. In dottrina si sostiene, che la norma sanzioni non l’inosservanza dell’ordine di espulsione da parte dello straniero ma solo il reingresso illecito di chi sia stato effettivamente espulso o allontanato dal territorio dello Stato846. In giurisprudenza si è evidenziato, che è ammissibile la revocabilità non solo delle misure di sicurezza di durata ma anche di quelle istantanee quali la espulsione dello straniero dallo Stato847.
Inoltre si è affermato che non sussiste incompatibilità tra la misura di sicurezza della espulsione dal territorio dello Stato italiano e la misura alternativa della semilibertà, sia perché non vi è ostacolo normativo, sia perché esse trovano applicazione in tempi diversi, sia perché le misure alternative trovano applicazione nei confronti di tutti coloro
che si trovano ad espiare pene, inflitte dal giudice italiano, in istituti italiani, senza
843 Cfr. Cass., Sez. I, 9 novembre 2018, n. 51161, in C.E.D. Cass., n. 274652.
844 V. Cass., Sez. I, 15 aprile 2009, n. 15832, in C.E.D. Cass., n. 243746; Cass., Sez. I, 12 giugno
2002, n. 34562, ivi, n. 237625.
845 V. Cass., Sez. III, 19 febbraio 2016, n. 6707, in C.E.D. Cass., n. 266276.
846 V. A. CAPUTO, Le misure di sicurezza dell’espulsione dello straniero e dell’allontanamento del
cittadino comunitario, in Le nuove norme sulla sicurezza pubblica, (a cura di) S. Lorusso, Cedam, Padova, 2008, p. 303.
847 In questo senso, Cass., Sez. I, 18 novembre 1986, n. 3076, in C.E.D. Cass., n. 174291.
differenziazione di nazionalità. Neppure può ravvisarsi contrasto tra l'espulsione ed il fine del regime della semilibertà, volto a favorire il reinserimento del soggetto nella società, senza distinzione fra società italiana ed estera, dato che la risocializzazione non può assumere connotati nazionalistici, ma va rapportata alla collaborazione fra gli stati nel settore della giurisdizione848.
4. L’espulsione come misura alternativa alla detenzione. Presupposti e inoperatività dell’istituto
L’art. 16 del d.lgs. n. 286 del 1998 al comma 5 contempla l’espulsione dello straniero condannato849, identificato e detenuto in esecuzione di una pena detentiva inferiore a due anni, non trovandosi in condizioni ostative all’allontanamento del paese. In questa ipotesi l’espulsione, di natura amministrativa, è ordinata con provvedimento motivato del giudice di sorveglianza e costituisce un’atipica misura alternativa alla carcerazione, finalizzata ad evitare il sovraffollamento carcerario850, della quale in presenza delle condizioni fissate dalle legge è obbligatoria l’adozione come si evince chiaramente dall’impiego della locuzione «è disposta l’espulsione»851. Dalla formulazione letterale del citato art. 16, comma 5852 si desume l'inoperatività dell'istituto per una larga fascia di situazioni di fatto. La «sanzione alternativa» non può essere disposta, infatti, nei confronti dello straniero in regime di esecuzione penale, che non sia «identificato», nè
«detenuto», o debba scontare una pena detentiva, anche residua, superiore a due anni (art. 16, comma 6, primo periodo), ovvero sia stato condannato per «uno o più delitti previsti dall'art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a)» e per «delitti previsti dal presente testo unico» (secondo periodo). Per queste categorie di soggetti non è, consentita l'anticipazione dell'espulsione amministrativa in deroga al principio di indefettibilità della pena. Si è così evidenziato in giurisprudenza che, l'espulsione prevista, come atipica misura alternativa alla detenzione, dall'art. 16, comma 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n.
286, è applicabile esclusivamente nei confronti dei cittadini extracomunitari853, ma non può essere disposta nei confronti dello straniero che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovi e permanga agli arresti domiciliari, in costanza della sospensione dell'esecuzione ai sensi dell'art. 656, comma 10, c.p.p.854. Presupposto applicativo per
848 Cass., Sez. I, 26 febbraio 1985, n. 315, in C.E.D. Cass., n. 168034.
849 In argomento v. L. DEGL’INNOCENTI, Stranieri irregolari e diritto penale, Giuffrè, Milano, 2008, p. 24 ss.
850 In dottrina, v. Giurisprudenza costituzionale ed immigrazione illegale, in Immigrazione illegale e diritto penale. Un approccio interdisciplinare, (a cura di) E. Rosi – F. Rocchi, Jovene, Napoli, 2013,
p. 32 ss.
851 Cfr. Cass., Sez. I, 14 dicembre 2010, n. 45601, in C.E.D. Cass., n. 241751; Cass., Sez. I, 16 marzo 2010, n. 16446, ivi, n. 247452.
852 Ben diversa è l’ipotesi disciplinata dall’art. 16 comma 1 d.lgs. 286/98 in quanto prevede che il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna per un reato non colposo o nell'applicare la pena su
richiesta ai sensi dell'art. 444 c.p.p. nei confronti dello straniero che si trovi in taluna delle situazioni indicate dall'art. 13 comma 2 d.lgs. cit. (che disciplina i presupposti per l'espulsione amministrativa)
, quando ritiene di dovere irrogare la pena detentiva nel limite dei due anni e non ricorrono le
condizioni per ordinare la sospensione condizionale della pena, possa sostituire la pena con la misura dell'espulsione. L'espulsione, in questo caso, è una sanzione sostitutiva della detenzione e, nell'ipotesi disciplinata dall'art.16 comma 1, il disporla appartiene alla discrezionalità del giudice, dal momento che nella norma è indicato il verbo «può».
853 Cass., Sez. I, 15 aprile 2009, n. 15832, in C.E.D. Cass., n. 243746.
854 Lo afferma Cass., Sez. I, 9 febbraio 2016, n. 5171, in C.E.D. Cass., n. 266218. Contra v. Cass., Sez. I, 3 gennaio 2013, n. 104, ivi, n. 254165.
l’espulsione ex art. 16 comma 5 T.U. imm., è la richiesta di una pronuncia di condanna a sanzione detentiva di entità predeterminata, oppure per fattispecie di reato specifiche, in assenza di qualsiasi valutazione discrezionale di concreta pericolosità dell'imputato. L'espulsione in esame, può dunque essere disposta solo quando lo straniero si trovi in una delle situazioni tassativamente previste - come presupposto per l'espulsione amministrativa - nell'art. 13, comma secondo, dello stesso d.lgs., tra le quali non rientra ad esempio il rigetto dell'istanza di emersione del lavoro irregolare, formulata ai sensi dell'art. 1-ter d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla l. 2 agosto
2009, n. 102855. Ulteriori cause ostative all’espulsione sono inoltre previste dall’art.16, comma 9 T.U. imm. laddove si prevede che l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione non si applica ai casi di cui all'articolo 19. La giurisprudenza ha evidenziato come le cause ostative all'espulsione previste dall'art. 16, comma nono, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, hanno carattere eccezionale e non possono
essere oggetto di applicazione analogica, con la conseguenza che, ai fini dell'applicazione della misura in questione, non rilevano i legami familiari diversi da quelli espressamente contemplati dall'art. 19 del medesimo decreto856. L’espulsione, stante il disposto dell’art. 19, comma 2 T.U. imm., non è quindi consentita, nei confronti: a) degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi; b) degli stranieri in possesso della carta di soggiorno, salvo il disposto dell'articolo 9; c) degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana; d) delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono; d-bis) degli stranieri che versano in condizioni di salute di particolare gravità, accertate mediante idonea documentazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, tali da determinare un rilevante pregiudizio alla salute degli stessi, in caso di rientro nel Paese di origine o di provenienza.
La Cassazione non ha però mancato di evidenziare come, le cause ostative
all’espulsione (indicate nel successivo art. 19, commi 1 e 2) non abbiano natura
tassativa, ma devono interpretarsi alla luce della sentenza della Corte costituzionale n.
252 del 2001, secondo cui il provvedimento di espulsione pronunciato nei confronti di persona irregolarmente soggiornante nello Stato non può essere eseguito qualora dall'esecuzione derivi un irreparabile pregiudizio per la salute dell'individuo; ne consegue che, anche in caso di seria patologia cronica del condannato, il giudice è tenuto a verificare in concreto, esercitando i poteri istruttori di cui dispone, se e con quali effetti l'espulsione possa privare il predetto di cure irrinunciabili, pur diverse da quelle di pronto soccorso e di medicina di urgenza857. Si coglie, perciò, una tendenza ad affermare tale principio specie laddove è stato sancito che le cause ostative alla stessa espulsione, indicate nel successivo art. 19, commi 1 e 2, non hanno natura tassativa, in quanto vanno integrate attraverso l'analisi delle fonti sovranazionali – quali la
855 Cass., Sez. I, 21 novembre 2013, n. 46415, in C.E.D. Cass., n. 257480.
856 In questo senso si veda, Cass., Sez. I, 9 dicembre 2015, n. 48684, in C.E.D. Cass., n. 265387, dove la Corte non ha ritenuto applicabili, ai fini della individuazione delle condizioni ostative
all'espulsione quale sanzione sostitutiva alla detenzione, i criteri dettati, a differenti fini, dagli artt. 5,
comma quinto e 13, comma 2-bis, d.lgs. cit.
857 V. Cass., Sez. I, 15 aprile 2019, n. 16383, in C.E.D. Cass., n. 275245; Cass., Sez. I, 31 luglio
2017, n. 38041, ivi, n. 270975, relativa ad un condannato affetto da HIV in cui il tribunale di sorveglianza aveva rigettato l'opposizione al decreto di espulsione limitandosi a considerare che tale
patologia era sotto controllo farmacologico dal 2015.
Convenzione europea dei diritti dell'uomo, la Carta di Nizza e le Direttive U.E. sul tema
– tese a fornire tutela ai soggetti cui spetta il riconoscimento non solo dello status di rifugiato, ma anche della cd. “protezione sussidiaria”, spettante anche nell'ipotesi di minaccia grave alla vita di un civile derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale858.
Muovendo da tale giurisprudenza si è, ad esempio ritenuto che è ostativa all’espulsione la convivenza more uxorio con un cittadino italiano, laddove accertata come sussistente al momento in cui deve porsi in esecuzione il provvedimento, trattandosi, ai fini in questione, di una condizione del tutto omogenea rispetto a quella del coniuge, specificamente menzionata dall'art. 19, comma 2, lett. c), d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, tenuto conto, altresì, della parificazione del convivente di fatto al coniuge, ai fini delle facoltà previste dall'ordinamento penitenziario, effettuata dall'art. 1, comma 38, l. 20 maggio 2016, n. 76859. Invero, il tema della rilevanza della mera convivenza di fatto ai
fini della applicabilità del provvedimento di espulsione ai sensi dell’art. 16 T.U. imm., era stato più volte lambito da interventi della Corte costituzionale, nonché affrontato dalla giurisprudenza di legittimità. Il Giudice delle leggi, nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della disciplina in esame ha evidenziato, con la sentenza n. 313 del 2000, come la limitazione del divieto di espulsione solo allo “straniero coniugato” con cittadino italiano, riguardi persone che si trovano in una situazione di certezza di rapporti giuridici, assente nella convivenza more uxorio, essendo necessario, per il legislatore, assicurare l’esclusione di facili elusioni della disciplina stabilita per il controllo dei flussi migratori860. La Corte Costituzionale, inoltre, aveva evidenziato la necessità, insita in tale disciplina, di contemperare le esigenze di ordine pubblico con quelle di salvaguardia dell’unità familiare861.
858 In dottrina in argomento, v., S. ALBANO, La protezione sussidiaria tra minaccia individuale e pericolo generalizzato, in Questione giust., 2018, n. 2, p. 85 ss.; M. ACIERNO, Il diritto del cittadino straniero alla protezione internazionale: condizione attuale e prospettive future, in AA.VV., Immigrazione, asilo e cittadinanza, Santarcangelo di Romagna, 2019, p. 106.
859 Cass., Sez. I, 15 aprile 2019, n. 16385, in C.E.D. Cass., n. 76184.
860 V. Corte cost., 20 luglio 2000, n. 313, in Riv. giur. polizia, 2005, p. 347.
861 In argomento v. Corte cost., 26 settembre 2007, n. 361, in www.cortecostituzionale.org, che ha risolto, dichiarando manifestamente infondato l'incidente di incostituzionalità relativo al d.lgs. n. 286
del 1998, art. 19 nella parte in cui dispone il divieto di espulsione esclusivamente in favore degli
stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado - oggi entro il secondo grado - o con il coniuge "di nazionalità italiana", escludendo analogo divieto in favore degli stranieri conviventi con parenti o con il coniuge già residenti in Italia e regolarmente muniti di permesso di soggiorno, ma privi della cittadinanza italiana. Richiamando la precedente decisione su identica questione, contenuta nell'ordinanza n. 158 del 2006, la Consulta ha riconosciuto che «il legislatore può legittimamente porre dei limiti all'accesso degli stranieri nel territorio nazionale effettuando un corretto bilanciamento dei valori in gioco, esistendo in materia un'ampia discrezionalità legislativa, limitata soltanto dal vincolo che le scelte non risultino manifestamente irragionevoli», profilo già comunque escluso, nella materia, dalla sentenza n. 353 del 1997. Nella richiamata ordinanza n. 158 del 2006 la stessa Corte aveva rilevato come il d.lgs. n. 286 del 1998, appresti, all'art. 28 e seguenti, una specifica tutela del diritto dello straniero, regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, a mantenere l'unità del suo nucleo familiare, prevedendo la possibilità del ricongiungimento, nella sussistenza delle condizioni di cui all'art. 29, a favore del coniuge e dei figli minori a carico, mentre la pronuncia di incostituzionalità sollecitata avrebbe finito per vanificare i fini sottesi alla legge per il ricongiungimento familiare, dal momento che sarebbe consentito in ogni caso allo straniero coniugato e convivente con altro straniero di aggirare le norme in materia di ingresso e soggiorno, con evidente sacrificio degli altri interessi, ritenuti meritevoli di tutela e considerati dal d.lgs. n. 286 del 1998.
Analogamente la Corte di Strasburgo ha precisato che, nel garantire l'ordine pubblico e nell'esercitare il controllo dei flussi in ingresso ed il soggiorno degli stranieri, gli Stati hanno diritto di espellere coloro, tra questi, che delinquono, dovendo rispettare, quando tale misura incida su diritto protetto dall'art. 8 CEDU, il principio di proporzione con lo scopo che intendono perseguire e valutare comparativamente i contrapposti interessi, quello collettivo e quello personale dello straniero, bilanciamento che, per quanto già esposto, è riscontrabile nelle disposizioni di legge del t.u. sull'immigrazione862.
Invece, i benefici premiali del lavoro esterno e dei permessi premio, non comportando la fuoriuscita del condannato dal circuito carcerario, non sono di ostacolo all'assunzione, nei suoi confronti, del provvedimento di espulsione a norma dell'art. 16, comma 5 d.lgs.
25 luglio 1998, n. 267, in quanto quest'ultima è una misura amministrativa atipica, finalizzata ad evitare il sovraffollamento penitenziario863.
4.1. Reati ostativi all'espulsione come misura alternativa alla detenzione e scissione del cumulo
Per quel che riguarda la possibilità di realizzare la scissione in fase esecutiva del
provvedimento di unificazione di pene concorrenti, ai fini della applicazione della misura dell'espulsione dello straniero ex art. 16 comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998, si sono registrate in giurisprudenza decisioni non sempre univoche.
Secondo un primo orientamento la scissione del cumulo di pene inflitte per reati uniti dal vincolo della continuazione, alcuni dei quali ostativi all'espulsione prevista dall'art.
16, comma 5 T.U. imm., è consentita in sede esecutiva, in modo da imputare la parte di pena espiata al reato ostativo e dare così luogo all'espulsione, solo se richiesta dal condannato864. In particolare tale orientamento, nel rivalutare i diversi aspetti di diritto coinvolti nel tema, ha ritenuto che al fine di rendere possibile l'applicazione dell'istituto
- di elaborazione giurisprudenziale - della scissione del cumulo, nel particolare caso previsto dall’art. 16, comma 5 T.U. imm. debba farsi riferimento, in concreto, alla
ricorrenza o meno di una manifestazione di volontà da parte del condannato. Al riguardo si è evidenziato, in primo luogo, che l'intera elaborazione giurisprudenziale in tema di scissione del cumulo giuridico derivante da continuazione (con imputazione della porzione di pena già espiata alla condanna intervenuta per reato ostativo) muove dalla considerazione della necessità di segmentare il rapporto esecutivo in funzione di un "interesse" del soggetto richiedente, si da rendere possibile (in applicazione del generale principio del favor rei) l'accesso ad un diverso trattamento più favorevole865. Secondo altro orientamento l'espulsione dello straniero prevista come misura alternativa alla detenzione dall'art. 16, comma 2, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 non può essere disposta in relazione a pena determinata a seguito di cumulo comprensivo anche di pena inflitta per reato ostativo alla sua concessione, non potendosi procedere alla scissione al
862 V. Corte EDU, El Boujaidi c. Francia, 26 settembre 1997, nonché nelle successive 30 giugno
2005, Bove c. Italia; 7 aprile 2009, Cherif ed altri c. Italia; 12 gennaio 2010, Khan A.W c. Regno Unito. In dottrina, v. A. COCOMELLO, La disciplina penale e processuale dell’immigrazione, Relazione Massimario. Rassegna della giurisprudenza di legittimità - anno 2016, a cura di G. Amoroso – G. Fidelbo, 2017, p, 177 ss.
863 Cass., Sez. I, 18 ottobre 2016, n. 44143, in C.E.D. Cass., n. 68290.
864 Cass., Sez. I, 24 aprile 2014, n. 17736, in C.E.D. Cass., n. 262263. Cass., Sez. I, 16 settembre
2013, n. 42173, in C.E.D. Cass., n. 257169.
865 Si vedano Corte cost., 27 luglio 1994, n. 361, in Giur. cost., 1994, p. 2943, nonchè Cass., Sez. Un., 30 giugno 1999, n. 14, Ronga, in Cass. pen., 2000, p. 570.
fine di imputare la parte di pena espiata al predetto reato ostativo.866. A tali conclusioni l’orientamento in questione perviene, muovendo dal rilievo che l'espulsione, come misura alternativa disposta dal magistrato di sorveglianza, ha natura amministrativa come stabilito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 226 del 2004, e che, conformemente a quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità in materia di trattamento penitenziario differenziato ai sensi dell'art. 41-bis ord. penit., non essendo finalizzata al recupero o al reinserimento del condannato, non può essere concessa in presenza di «un giudizio di pericolosità del condannato, che può essere basato anche solo sulla sussistenza di una condanna per reati ostativi, per ciò stesso sintomo di pericolosità»867.
4.2. Il procedimento giurisdizionale
L’espulsione è emessa all’esito di un procedimento giurisdizionale e avverso la
medesima è previsto il solo rimedio dell'opposizione, non potendo, invece, disporsi la sua disapplicazione nell'ambito di altri procedimenti868. Il rimedio dell'opposizione previsto dall'art. 16, comma 6, (testo unico sull'immigrazione) è esperibile non solo contro il provvedimento di espulsione, ma anche contro il suo rigetto, in quanto lo straniero che versa nelle condizioni di legge per fruire della sanzione alternativa, disciplinata dal comma quinto della medesima disposizione, è titolare di un vero e proprio diritto ad essere espulso dal territorio dello Stato, ben potendo costituire la suddetta sanzione alternativa condizione a lui più favorevole rispetto alla prosecuzione dell'espiazione in carcere869. L'opposizione proposta avverso il provvedimento del magistrato di sorveglianza che dispone l'espulsione del cittadino extracomunitario ai sensi dell'art. 16 T.U. imm. è assoggettata, secondo quanto previsto dal comma quinto dello stesso articolo, alle regole generali vigenti in materia di impugnazioni, in forza delle quali i motivi possono essere formulati successivamente alla dichiarazione, ma pur
sempre entro il termine stabilito per la presentazione dell'impugnazione870. In dottrina si
è sostenuto che l’opposizione deve essere motivata a pena l’inammissibilità871. L’opposizione si svolge, ai sensi del combinato disposto degli artt. 678 e 666 c.p.p., in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del difensore; ne consegue che è affetto da nullità assoluta il provvedimento adottato dal tribunale di sorveglianza a seguito di procedimento de plano872. Anche l’interessato può partecipare all'udienza camerale d’appello dinanzi al tribunale di sorveglianza; tuttavia la richiesta deve essere proposta solo dal suo difensore873. L’opposizione può essere proposta entro il termine di dieci giorni dinanzi al tribunale di sorveglianza, che decide nel termine di venti giorni (art. 16 comma 6 T.U. imm.). E’ quindi inammissibile, se proposta tardivamente,
866 Cass., Sez. I, 15 luglio 2011, n. 47310, in C.E.D. Cass., n. 251413; Cass., Sez. I, 20 giugno 2013, n.35620, ivi, n. 256847.
867 Si rimanda a Cass., Sez. I, 15 dicembre 2005, n. 45463, Pignataro, in C.E.D. Cass., n. 233357; Cass., Sez. I, 17 settembre 2008, n. 35564, ivi, n. 240938; Cass., Sez. I, 29 ottobre 2009, n. 41567, ivi, n. 245047.
868 V. Cass., Sez. I, 3 dicembre 2013, n. 48160, in C.E.D. Cass., n. 257718.
869 In questo senso Cass., Sez., I , 31 luglio 2017, n. 38042, in C.E.D. Cass., n. 270987.
870 V. Cass., Sez. I, 9 ottobre 2013, n. 41753, in C.E.D. Cass., n. 256982.
871 Cfr. L. DEGLI INNOCENTI – F. FALDI, Misure alternative alla detenzione, Giuffrè, Milano, 2006, p. 297.
872 V. Corte cost., 15 luglio 2004, n. 226; Cass., Sez. I, 18 giugno 2008, n. 24733, in C.E.D. Cass., n.
240598.
873 In tal senso, Cass., Sez. I, 6 novembre 2017, n. 50456, in C.E.D. Cass., n. 271479.
l'opposizione dinanzi al tribunale di sorveglianza avverso il provvedimento di espulsione dello straniero a titolo di misura alternativa alla detenzione874. E’ da osservare, che i provvedimenti del magistrato di sorveglianza in materia di applicazione della misura alternativa dell'espulsione del detenuto straniero dal territorio dello Stato, ai sensi dell'art. 16, comma quinto, del d.lgs. n.286 del 1998, non sono immediatamente ricorribili per cassazione, in quanto opponibili davanti al tribunale di sorveglianza ed estranei all'area di applicazione della regola fissata dall'art. 569, comma 1, c.p.p.875. In tale ottica si è precisato che, è ammissibile il ricorso per cassazione per violazione di legge presentato dal pubblico ministero avverso il provvedimento con cui il magistrato di sorveglianza dispone l'espulsione dello straniero a titolo di misura alternativa alla detenzione876 mentre è inammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso la decisione del tribunale di sorveglianza che abbia rigettato l'opposizione presentata, senza allegazione dei motivi, davanti al tribunale di sorveglianza, contro il provvedimento di espulsione adottato dal magistrato di sorveglianza nei confronti dello straniero877. Al contempo si è evidenziato che, è illegittima l'espulsione dello straniero, motivata, a norma degli artt. 16, comma quinto, e 13, comma secondo, d.lgs. 25 luglio
1998, n. 286 (testo unico in materia di immigrazione), dal rigetto della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno878.
La Consulta, nello scrutinare positivamente la legittimità costituzionale dell'espulsione disposta a titolo di "sanzione alternativa" (ordinanza n. 226 del 2004), ha richiamato la precedente ordinanza n. 369 del 1999 riguardante la figura affine dell'espulsione a titolo di "sanzione sostitutiva", disciplinata dall'art. 16, comma 1, e ha argomentato che essa deve essere disancorata dalle garanzie stabilite per la pena sul terreno sostanziale e processuale. Infatti, pur se disposta dal magistrato di sorveglianza, si configura come misura «di carattere amministrativo»879, subordinata alla condizione che lo straniero si trovi in taluna delle situazioni che costituiscono il presupposto dell'espulsione
disciplinata dall'art. 13. Ha, inoltre, sottolineato che l'espulsione a titolo di "sanzione
alternativa" è assistita dalle garanzie assicurate per l'espulsione amministrativa, «alla quale si dovrebbe comunque e certamente dare corso al termine dell'esecuzione della pena detentiva ai sensi del d.lgs. n. 286 del 1998, art. 15, comma 1-bis, inserito dalla l. n. 189 del 2002, art. 14, cosicché, nella sostanza, viene solo ad essere anticipato un provvedimento di cui già sussistono le condizioni». Peraltro, la Corte Costituzionale ha evidenziato che l'istituto dell'espulsione è comunque assistito dalle garanzie che accompagnano l'espulsione disciplinata dal d.lgs. n. 286 del 1998, art. 13. In particolare, sono comuni alle due disposizioni «il divieto, previsto rispettivamente nell'art. 13, comma 12, e nell'art. 16, comma 9, di procedere all'espulsione dello straniero che si trovi nelle condizioni elencate nell'art. 19; l'impugnabilità del provvedimento di espulsione, rispettivamente prevista nell'art. 13, comma 8 e, con effetto sospensivo, nell'art. 16, commi 6 e 7; la garanzia del decreto motivato, rispettivamente richiamata nell'art. 13, comma 3 e nell'art. 16, comma 6». Con riferimento all'espulsione prevista dall'art. 16, comma 5, la Consulta ha rilevato che «la garanzia dell'opposizione al
874 V. Cass., Sez. I, 3 luglio 2007, n. 34588, in C.E.D. Cass., n. 237681.
875 Cfr. Cass., Sez. I, 22 dicembre 2014, n. 53182, in C.E.D. Cass., n. 261607.
876 Si veda, Cass., Sez. I, 23 dicembre 2008, n. 47771, in C.E.D. Cass., n. 242508.
877 V. Cass., Sez. I, 7 gennaio 2008, n. 281, in C.E.D. Cass., n. 238845.
878 Lo afferma Cass., Sez. I, 9 maggio 2013, n. 20014, in C.E.D. Cass., n. 256029.
879 In dottrina v. G. PRELATI, L’espulsione disposta dal magistrato di sorveglianza a titolo di
sanzione alternativa alla detenzione, in Giur. it., 2003, p. 623 ss.
tribunale di sorveglianza, con effetto sospensivo, svolge anche la funzione di assicurare, sia pure in un momento successivo alla pronuncia del decreto di espulsione, il contraddittorio tra le parti e l'esercizio del diritto di difesa, alla stregua di quanto dispone per il procedimento di esecuzione l'art. 666 c.p.p.». Ha, altresì, osservato che dalla prescrizione contenuta nel comma settimo dell'art. 13 può desumersi in via sistematica l'obbligo di comunicare allo straniero il decreto di espulsione tradotto in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in francese, inglese o spagnolo, unitamente all'indicazione delle modalità di impugnazione, ritenendo da ultimo che nulla impedisce al magistrato di sorveglianza, prima di emettere il decreto di espulsione, di acquisire dagli organi di polizia non solo, a norma dell'art. 16, comma 6, le informazioni sull'identità e sulla nazionalità dello straniero, ma qualsiasi tipo di informazione necessaria o utile al fine di accertare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni che legittimano l'espulsione, posto che nel disporre l'analoga misura amministrativa di cui all'art. 13, comma 3, il questore può evidentemente avvalersi di informazioni a tutto campo sullo straniero nei cui confronti dev’essere disposta l'espulsione.
4.3. La titolarità del diritto all'espulsione nel caso di applicazione di pena ex art.
444 c.p.p.
Il tema dell’espulsione viene affrontato dalla giurisprudenza anche in relazione
all’applicazione della pena ex art. 444 c. p. p., allorché le parti abbiano concordato l'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato come sanzione sostitutiva della pena detentiva a norma dell'art. 16 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286. Al riguardo evidenzia la Suprema Corte come, lo straniero che versi nelle condizioni di legge per fruire della sanzione sostitutiva dell'espulsione prevista dall'art. 16, comma 5 è titolare - anche nel caso di sentenza di patteggiamento - di «un vero e proprio diritto ad essere espulso dal territorio dello Stato, anziché rimanervi ad espiare la pena detentiva alla quale sia stato condannato». In particolare si è affermato che in materia di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., allorché le parti hanno concordato anche l'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato come sanzione sostitutiva della pena detentiva a norma dell'art. 16
T.U. imm., l’omessa applicazione dell'espulsione da parte del giudice comporta la nullità della sentenza di patteggiamento, con trasmissione degli atti al giudice di merito per un nuovo giudizio880.
4.4. Esecuzione dell’espulsione e revoca della misura
L'esecuzione è immediata anche in caso di pronuncia di condanna non irrevocabile ed è
affidata al questore (art. 16, comma 2), comportando l'estinzione della pena originaria quando nei dieci anni dall'esecuzione lo straniero non abbia fatto rientro illegittimamente nel territorio dello stato (comma 8); la sua violazione è sanzionata con la revoca della pena sostituita ed il ripristino di quella inflitta con la sentenza di condanna (comma 4). Secondo la giurisprudenza la competenza a revocare la misura dell'espulsione, applicata come sanzione sostitutiva della pena detentiva prevista dall'art.
16, comma primo, d.lgs. n. 286 del 1998, spetta allo stesso giudice che l'ha disposta con la sentenza di condanna881. Secondo una parte della dottrina, si ritiene che solo nel caso in cui la sentenza è definitiva, competente a revocare il provvedimento di espulsione è il
880 In questo senso recentemente, Cass., Sez. V, 7 settembre 2018, n. 40198, in C.E.D. Cass., n.
273798.
881 V. Cass., Sez. I, 23 agosto 2004, n. 34703, in C.E.D. Cass., n. 229910.
giudice dell’esecuzione; laddove invece il procedimento sia pendente, la competenza
spetterebbe al giudice procedente882.
5. L'espulsione come misura di sicurezza fuori dei casi previsti dal codice penale
(ex art. 15 T.U. imm.)
L'art. 15 d.lgs. 309/98 prevede, a sua volta, l'espulsione come misura di sicurezza fuori
dei casi previsti dal codice penale. Si tratta di un espulsione facoltativa, esplicitamente subordinata all’accertamento del presupposto della pericolosità sociale dello straniero883. Anche in questo caso, l’espulsione può essere disposta solo a seguito della condanna. E’ stato evidenziato che l'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, disposta ai sensi dell'art. 15 d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, costituisce una misura di sicurezza personale e, come tale, non può essere applicata con la sentenza di patteggiamento884. L'espulsione prevista dall’art. 15 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 può essere disposta, ricorrendone le condizioni, anche nei confronti dello straniero munito di permesso di soggiorno e convivente con prossimi congiunti di nazionalità italiana, atteso il preminente interesse dello Stato all'allontanamento di una persona che,
commettendo reati di una certa gravità, si è rivelata incline a delinquere e, dunque, socialmente pericolosa885. Secondo la giurisprudenza la disposizione di cui all'art. 15 del d.lgs. n. 286 del 1998, concernente l'espulsione dello straniero condannato per uno dei reati previsti negli artt. 380 e 381 c.p.p. non contrasta con l'art. 29 Cost. (sotto il profilo della garanzia dell'unità familiare), attesa la ratio della norma che, a titolo di misura di sicurezza, esprima l'interesse giuridico dello Stato di far venir meno la presenza di un soggetto straniero (nella specie: condannato per traffico di stupefacenti) del quale sia rimasta accertata una particolare attitudine a delinquere886.
Il decreto di espulsione dello straniero adottato dal magistrato di sorveglianza a titolo di misura di sicurezza, ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, può essere
eseguito dal questore sia a mezzo di accompagnamento coattivo alla frontiera, sia, nel
caso in cui non sia possibile l'esecuzione coattiva, ricorrendo all'intimazione di allontanamento prevista dall'art. 14, comma 5-bis, del citato decreto; in tale ultima ipotesi, nei confronti dello straniero che violi tale intimazione (esponendosi, peraltro, alle responsabilità penali previste dal comma 5 ter del citato articolo), il prefetto può emettere un nuovo decreto di espulsione, ai sensi di tale ultima disposizione, che può essere sindacato dal giudice di merito solamente per motivi inerenti la preesistenza ed effettività del correlato decreto di espulsione, fatte salve, ovviamente, eventuali sopravvenute ragioni di divieto dell'espulsione stessa887.
6. L’ espulsione amministrativa «per motivi di ordine pubblico e sicurezza» e l’espulsione «per motivi di prevenzione del terrorismo»
L'art. 13 del d.lgs. n 286 del 1998 distingue tra l'espulsione disposta dal Ministro
dell'Interno «per motivi di ordine pubblico e sicurezza», cui si aggiunge una seconda
882 Cfr. G. BELLAGAMBA – G. CARITI, La nuova disciplina dell’immigrazione, Giuffrè, Milano,
2008, p. 215 ss.
883 Cfr. G. FIDELBO – A. PANETTA, Sub art. 235 c.p., in Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, (a cura di) G. Lattanzi – E. Lupo, Giuffrè, Milano, 2015, p. 1292.
884 V. Cass., Sez. I, 23 febbraio 2006, n. 7454, in C.E.D. Cass., n. 234077.
885 Lo afferma Cass., Sez. III, 12 gennaio 2016, n. 6707, in C.E.D. Cass., n. 266276.
886 Cfr. Cass., Sez. IV, 4 febbraio 2004, n. 26938, in C.E.D. Cass., n. 228921.
887 V. Cass., Sez. I, 4 luglio 2008, n.18555, in C.E.D. Cass., n. 604254.
ipotesi di espulsione disposta dalla medesima autorità amministrativa «per motivi di prevenzione del terrorismo» (art. 3 comma 1 l. 155/2005), e l’espulsione disposta dal Prefetto (art 13, comma 2). L’art. 13 T.U. imm. prevede al comma 1 che l'espulsione dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato può essere disposta per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, dal Ministro dell'interno, dandone preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri. La dottrina sostiene che si tratta di una norma di chiusura che attribuisce al Ministro poteri straordinari da utilizzare facoltativamente in casi particolari888. Secondo quanto poi disposto dall’art. 3, comma 1, del d.l. n. 144/2005 conv. in legge dall’art. 1, l. 31 luglio 2005, n. 155, «il Ministro dell’interno … può disporre l’espulsione dello straniero … nei cui confronti vi sono fondati motivi di ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali»889. Dal carattere estremamente generico dei requisiti
prescritti dal citato art. 13 del d.lgs. n. 286/1998 si evince che trattandosi di atto rimesso all’organo di vertice del Ministero dell’Interno che investe la responsabilità del Capo del Governo, nonché l’organo di vertice dell’amministrazione maggiormente interessata alla materia dei rapporti con i cittadini stranieri, esso costituisce espressione di esercizio di alta discrezionalità amministrativa. Tale disposizione, infatti, rimette a tale organo ogni più ampia valutazione in ordine alla sussistenza di esigenze di ordine pubblico e di sicurezza nazionale. Anche l’art. 3 del d.l. n. 144/2005, che richiede, ai fini dell’adozione del provvedimento de quo, la ritenuta possibilità che la permanenza dello straniero in Italia possa agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali, non fa assolutamente venir meno l’ampia discrezionalità nell’apprezzamento da parte dell’organo politico di vertice del Ministero dell’Interno. Secondo la giurisprudenza le suddette previsioni introducono procedure pienamente assimilabili alle misure di sicurezza che si adottano con finalità di prevenzione e che,
avendo come finalità quella di prevenire il compimento di reati, non richiedono che sia comprovata la responsabilità penale e neppure che il reato sia stato già compiuto890. In proposito occorre evidenziare, infatti, che, ai fini dell’emanazione del provvedimento ministeriale di espulsione, non è necessario aver accertato con assoluta certezza che vi sia il suindicato pericolo, essendo sufficiente che vi siano fondati motivi di ritenerlo891. Avverso il decreto ministeriale di cui all’art. 13 comma 1, T.U. imm. è attivabile la tutela giurisdizionale innanzi il giudice amministrativo: nel sistema di cui al citato art.
13, è stata mantenuta al sindacato della giurisdizione amministrativa del T.A.R. del Lazio (art. 13, comma 11) la valutazione della sola legittimità dell'espulsione disposta dal Ministro per ragioni di ordine pubblico o sicurezza (art. 13, comma 1). La giurisprudenza amministrativa ha evidenziato che non appartiene alla cognizione del Giudice amministrativo il ricorso avverso l'ordine di lasciare il territorio italiano e
888 In tale senso, G. FIDELBO – A. PANETTA, Sub art. 235 c.p., in Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, (a cura di) G. Lattanzi – E. Lupo, Giuffre, Milano, 2015, p. 1299 ss.
889 L’art. 3 del d.l. n. 144/2005 si pone esplicitamente come norma aggiuntiva rispetto all’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 286/1998, che disciplina il potere del ministro dell’interno di disporre la
espulsione per gli stessi motivi. La norma aggiuntiva rafforza il potere di espulsione per gli stranieri per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (particolarmente nel caso in cui essi godono
di una particolare tutela come avviene per i titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo), prevedendo una ipotesi ulteriore con specifico riferimento alla minaccia terroristica e ai
comportamenti ritenuti in grado di agevolarla.
890 Così Cons. Stato, Sez. III, n. 4471/2015.
891 V. TAR Lazio Sez., I-ter, n. 659/2019.
l’espulsione dello straniero: tale provvedimento, infatti, si inserisce nel quadro delle misure espulsive disciplinate dagli artt. 13, 14, d.lgs. n. 286 del 1998, per le quali è prevista (ex art. 13, comma 8) la giurisdizione del giudice ordinario, con la sola eccezione dell'espulsione disposta dal Ministro dell'Interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (art. 13, comma 1), per la quale risulta competente a decidere il T.A.R. del Lazio892.
6.1. Il divieto di espulsione degli stranieri minori di anni diciotto.
La normativa in materia di cittadini extracomunitari sancisce un generale divieto di espulsione degli stranieri minori di anni diciotto, stabilendo, tuttavia, un’unica eccezione, allorché un tale provvedimento sia richiesto per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato secondo quanto espressamente previsto dal combinato disposto degli articoli 13, comma 1 e 19, comma 2 T.U. imm. Invero il legislatore, con il citato art. 3, l. n. 155/05 non avendo modificato il secondo comma dell’articolo 19 T.U. imm. e non avendo quindi previsto una nuova eccezione al generale divieto di espulsione dello straniero minore di anni diciotto, dovrebbe aver escluso la possibilità di emettere un simile provvedimento, nei confronti di uno straniero minorenne. L'applicabilità anche ai minorenni dell'espulsione ex art. 3 l. n. 155/05 appare quindi controversa e potrebbe ritenersi consentita soltanto presumendo che - nonostante il tenore letterale della disposizione - l'articolo in questione abbia inteso introdurre, in realtà, una specifica previsione di espulsione per prevenzione di terrorismo che sarebbe tuttavia riconducibile alla categoria più ampia dei «motivi di ordine pubblico o di sicurezza» già previsti dal citato art. 13, comma 1 d.l.gs. 286 e quindi ricompresa nell'ipotesi
eccezionale di deroga al generale divieto di espulsione dello straniero minorenne893.
6.2. L’espulsione prefettizia. I presupposti
L’espulsione prefettizia avente carattere obbligatorio894 è adottata invece caso per caso, quando lo straniero: a) è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e non è stato respinto ai sensi dell'articolo 10; b) si è trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione di cui all'articolo 27, comma 1-bis, o senza avere richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato o rifiutato ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo895 ovvero se lo straniero si è trattenuto sul territorio dello Stato in violazione
892 Cons. Stato, Sez. VI, 8 maggio 2006, n. 2518.
893 Trib. min. Sassari, 5 gennaio 2016.
894 G. FIDELBO – A. PANETTA, Sub art. 235 c.p., cit., p. 1299 ss.
895 In dottrina, P. BONETTI, Ingresso, soggiorno e allontanamento - Profili generali e costituzionali, in Diritto degli stranieri, (a cura di) B. Nascinbene, Cedam, Padova, 2004, p. 435, si ritiene che si
tratti di un elemento piuttosto severo che può finire con l’incidere sulla condizione giuridica di
stranieri che da molti anni soggiornano regolarmente sul territorio nazionale e che per qualsiasi ragione abbiano omesso o ritardato la presentazione della domanda di rinnovo. E’ da evidenziare che le Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. civ., Sez. Un., 20 maggio 2003, n. 7892, Jeyakumar, in C.E.D. Cass., n. 563341) hanno statuito che ai sensi dell'art. 13, comma 2, lett. b), del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), la spontanea presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno oltre il termine di sessanta giorni dalla sua scadenza non consente l'espulsione automatica dello straniero, la quale può essere disposta solo se la domanda sia stata respinta per la mancanza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti richiesti dalla legge per il
dell'articolo 1, comma 3, l. 28 maggio 2007, n. 68896 ; c) appartiene a taluna delle categorie indicate negli articoli 1, 4 e 16, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n.
159. L'espulsione però non è disposta, nè eseguita coattivamente qualora il provvedimento sia stato già adottato, nei confronti dello straniero identificato in uscita dal territorio nazionale durante i controlli di polizia alle frontiere esterne. (art. 13, comma 2-ter). In giurisprudenza si è rilevato, che, la ricorrenza dell'ipotesi di trattenimento illegale nel territorio dello Stato, di cui all'art. 13, comma 2, lett. b), d.lgs. n. 286 del 1998, comporta l'emissione del decreto di espulsione con carattere di automaticità, - salvo il solo caso di tardiva presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno - con esclusione di qualsivoglia potere discrezionale del Prefetto al riguardo e senza che assumano alcun rilievo nè la circostanza che lo straniero sia entrato regolarmente in Italia, nè che vi svolga attività lavorativa, in assenza dell'attivazione della specifica procedura di sanatoria al riguardo897. Nell'adottare il
provvedimento di espulsione ai sensi del comma 2, lett. a) e b), nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine. (art. 13 comma 2-bis). La Suprema corte ha così ritenuto che, l'art. 13, comma
2-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, secondo il quale è necessario tener conto, nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, della natura e dell'effettività dei vincoli familiari, della durata del soggiorno, nonché dell'esistenza di legami con il paese d'origine, si applica - con valutazione caso per caso ed in coerenza con la direttiva comunitaria 2008/115/CE - anche al cittadino straniero che abbia legami familiari nel nostro Paese, ancorché non nella posizione di richiedente formalmente il ricongiungimento familiare, in linea con la nozione di diritto all'unità familiare delineata
dalla giurisprudenza della Corte EDU con riferimento all'art. 8 CEDU e fatta propria
dalla sentenza costituzionale n. 202 del 2013. Tuttavia il giudice del merito è tenuto, onde pervenire all'applicazione della tutela rafforzata di cui al citato art. 13, comma 2- bis, a dare conto di tutti gli elementi qualificanti l'effettività di detti legami (rapporto di coniugio, durata del matrimonio, nascita di figli e loro età, convivenza, dipendenza economica dei figli maggiorenni) oltre che delle difficoltà conseguenti all'espulsione, senza che sia possibile, fuori dalla valorizzazione in concreto di questi elementi, fare riferimento ai criteri suppletivi relativi alla durata del soggiorno, all'integrazione sociale nel territorio nazionale, ovvero ai legami culturali o sociali con il Paese di origine898.
soggiorno dello straniero sul territorio nazionale, mentre il ritardo nella presentazione può costituirne solo indice rivelatore nel quadro di una valutazione complessiva della situazione in cui versa l'interessato. (così anche di recente Cass. civ., Sez. VI, 1 giugno 2016, n. 12713, in C.E.D. Cass., n.
640099).
896 Le questioni attinenti alla pericolosità sociale, nel caso di espulsione disposta ai sensi dell'art. 13 comma 2 lett. b) del d.lgs. n.286/98, possono rilevare nel giudizio di convalida
dell'accompagnamento dello straniero alla frontiera o del suo trattenimento in un Centro di
Permanenza per i Rimpatri ovvero in quello di proroga della predetta misura, ma non in sede di opposizione all'espulsione (Cass. civ., Sez. I, 31 luglio 2019, n. 20694).
897 Cass. civ., Sez. VI, 5 maggio 2016, n. 8984, in C.E.D. Cass., n. 639502.
898 Cass. civ., Sez. I, 15 gennaio 2019, n. 781, in C.E.D. Cass., n. 652401.
L'espulsione è disposta in ogni caso con decreto motivato899 immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell'interessato (art. 13, comma
3) ed è eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica nelle ipotesi di cui ai commi 1 e 2, lett. c) dell’art. 13 T.U. imm., ovvero all'articolo 3, comma 1, del d.l. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla l. 31 luglio 2005, n. 155; quando sussiste il rischio di fuga, di cui al comma 4-bis; quando la domanda di permesso di soggiorno è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta; qualora, senza un giustificato motivo, lo straniero non abbia osservato il termine concesso per la partenza volontaria, di cui al comma 5; quando lo straniero abbia violato anche una delle misure di cui al comma 5.2 e di cui all'articolo
14, comma 1-bis; nelle ipotesi di cui agli articoli 15 e 16 e nelle altre ipotesi in cui sia stata disposta l'espulsione dello straniero come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale; nell'ipotesi di cui al comma 5.1. Ed in proposito va evidenziato, che nel comma 4–bis dell’art. 13 il legislatore si è premurato di precisare le circostanze che legittimano di ritenere il pericolo di fuga –inteso come pericolo che lo straniero possa sottrarsi alla volontaria esecuzione del provvedimento di espulsione – individuandole, alternativamente: a) nel mancato possesso del passaporto o di altro documento equipollente, in corso di validità; b) nella mancanza di idonea documentazione atta a dimostrare la disponibilità di un alloggio ove possa essere agevolmente rintracciato; c) nel fatto che quest’ultimo in precedenza abbia dichiarato o attestato falsamente le proprie generalità, ovvero d) di non avere ottemperato ad uno dei provvedimenti emessi dalla competente autorità, in applicazione dei commi 5 e 13, nonché dell'articolo 14, ovvero e) di aver avere violato anche una delle misure cautelari poste a presidio dell’effettività del rimpatrio volontario o dell’allontanamento. In dottrina si è sostenuto, che tali circostanze vengono apparentemente addebitate in chiave latamente sanzionatoria allo straniero (atteso che lo stesso viene privato del diritto di accesso alla procedura di partenza volontaria e al termine dilatorio ad essa funzionale) anche quando il loro verificarsi non gli sia in alcun modo rimproverabile (si pensi, ad esempio, all’ipotesi dell’incolpevole smarrimento del passaporto od al fatto che formalmente l’immigrato irregolare non potrebbe reperire un alloggio in affitto, in quanto la legge vieta al proprietario di stipulare col medesimo un contratto di
locazione)900. Si è infine correttamente rilevato, come mal si comprende perché la pregressa declinazione di false generalità (fatto che trova già autonoma sanzione
899 Cass. civ., Sez. I, 13 gennaio 2010, n. 462, in C.E.D. Cass., n. 611533, «l'obbligo di motivazione, di cui al terzo comma dell'art. 13 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, rispondendo alla finalità di consentire al destinatario la tempestiva tutela dei suoi diritti mediante l'opposizione, postula che il predetto provvedimento, pur in mancanza dell'indicazione delle norme violate, contenga gli elementi necessari e sufficienti dai quali, con la normale diligenza, sia possibile identificare con sufficiente chiarezza la violazione addebitata al ricorrente che ha dato luogo all'adozione del provvedimento amministrativo. È pertanto invalido il decreto di espulsione redatto su un modulo prestampato privo della contestazione della violazione e dell'indicazione dei presupposti di fatto su cui essa poggia, avendo il giudice di pace - investito dell'opposizione - l'obbligo di verificare la carenza di un titolo che giustifichi la permanenza dell'opponente nel territorio nazionale».
900 G. ANDREAZZA- L. PISTORELLI, Rel. Massimario n. III/08/2011, del 4 luglio 2011, “D. l. 23 giugno 2011, n. 89, recante “Disposizioni urgenti per il completamento dell'attuazione della
direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della
direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari” –Disposizioni rilevanti per il settore penale”, p. 5.
nell’ordinamento penale) dovrebbe considerarsi da solo sintomatico del pericolo di fuga
dello straniero eventualmente in possesso del passaporto e di un alloggio901.
6.3. La partenza volontaria
La “partenza volontaria” diviene comunque, ai sensi del comma 5 dell’art. 13, la
modalità formalmente ordinaria di rimpatrio: la medesima non si attiva automaticamente in conseguenza dell’adozione del provvedimento di espulsione emesso dal prefetto, dovendo essere espressamente richiesta dall’interessato cui tale provvedimento viene notificato. Peraltro il comma 5.1 dell’art. 13 prevede la necessità che il provvedimento di espulsione contenga espresso avvertimento multilingue della facoltà di attivare la procedura di partenza volontaria, la cui omissione è destinata a compromettere la legittimità del provvedimento medesimo e a riverberarsi conseguentemente sull’effettiva operatività delle norme penali destinate a sanzionare l’inottemperanza alle procedure di rimpatrio. Secondo la giurisprudenza la mancata traduzione del decreto di espulsione in una lingua nota dell'imputato alloglotta configura una nullità di ordine generale a regime intermedio, la cui deducibilità è soggetta ai
precisi termini di decadenza indicati nell'art. 180 c.p.p.902. Il termine concedibile per la partenza, conformemente a quanto previsto dalla direttiva, varia da un minimo di sette ad un massimo di trenta giorni e deve essere fissato dal prefetto –che può anche prorogarlo –valutando il singolo caso (valutazione che deve dunque inevitabilmente rispecchiarsi nel provvedimento che stabilisce l’entità del termine). Nella giurisprudenza di legittimità si è acquisito il principio che l'omessa informazione in ordine alla possibilità di avvalersi di un termine per la partenza volontaria ai fini dell'esecuzione del provvedimento espulsivo, può essere fatta valere esclusivamente nel giudizio di convalida avverso il provvedimento di accompagnamento coattivo o di trattenimento (nelle ipotesi predeterminate dalla legge) emesso dal questore, attesa la
separazione in due fasi distinte del complessivo procedimento di allontanamento
coattivo dello straniero, legittimamente previste dal nostro ordinamento. Ne consegue l'insussistenza della violazione della direttiva 2008/115/CE in quanto il diritto dell'interessato a contraddire o a difendersi in merito all'alternativa tra partenza volontaria e esecuzione coattiva dell'espulsione può dispiegarsi nel predetto giudizio di convalida, in una sede, peraltro, anticipata, date le rigide scansioni temporali previste dalla legge, rispetto al giudizio d'impugnazione del decreto espulsivo903. Il comma 5.2 dell’art. 13 prevede poi che, una volta concesso il termine, il questore chieda allo straniero di dimostrare il possesso di disponibilità economiche di fonte lecita proporzionate alla sua durata e comunque pari al minimo di una e al massimo di tre mensilità dell’assegno sociale annuo. In dottrina si è evidenziato che in tal modo il legislatore nazionale sembra aver voluto tradurre la possibilità prevista dall’art. 7 § 3 della direttiva di imporre al rimpatriando la costituzione di una garanzia finanziaria a
prevenzione del rischio di fuga. Dal tenore letterale della norma e dal coordinamento della stessa con quella comunitaria sembra dunque evidente che la dimostrazione della
901 G. ANDREAZZA - L. PISTORELLI, Rel. Massimario n. III/08/2011, del 4 luglio 2011, cit. p. 5.
902In tal senso, Cass., Sez. I, 13 novembre 2015, n. 45360, in C.E.D. Cass., n. 265125, che ha escluso la necessità di predisporre il decreto di espulsione mediante un modello plurilingue, poichè, per effetto del combinato disposto dai commi 5, 1 e 7 dell'art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, la scheda
informativa plurilingue deve ritenersi richiesta per la sola informazione allo straniero della facoltà di
richiedere un termine per la partenza volontaria.
903 Cfr. Cass. civ., Sez. VI, 28 maggio 2018, n. 13240, in C.E.D. Cass., n. 648962.
capienza economica non costituisce un presupposto per la concessione del termine. Non è peraltro chiaro quali siano le conseguenze nel caso in cui lo straniero non sia in grado di fornire la dimostrazione richiesta904. Sempre nell’ottica della prevenzione del rischio che lo straniero si sottragga all’esecuzione del rimpatrio lo stesso comma 5.2 prevede poi che il questore disponga nei suoi confronti, nella pendenza del termine propedeutico alla partenza, una o più delle seguenti misure cautelari amministrative: a) consegna del passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, da restituire al momento della partenza; b) obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato, dove possa essere agevolmente rintracciato; c) obbligo di presentazione, in giorni ed orari stabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente. In giurisprudenza si è evidenziato che, la mancanza del passaporto o di altro documento valido per l’espatrio, al quale non è equiparabile un permesso di soggiorno privo di validità, impedisce l’adozione delle misure alternative al trattenimento presso un centro
d'identificazione ed espulsione nonché la concessione di un termine per la partenza volontaria in luogo dell’accompagnamento coattivo alla frontiera905. Si è altresì precisato, che ai sensi dell'art. 13, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, come modificato dalla l. n. 129 del 2011, mentre spetta al prefetto, valutato il singolo caso, stabilire se sussistono le condizioni per concedere, con il provvedimento di espulsione, il termine per la partenza volontaria, rientra nella competenza del questore indicare, in tale evenienza, le condizioni per la permanenza medio tempore dello straniero nel territorio nazionale, ovvero, qualora venga disposta l'espulsione immediata, decidere se provvedere all'accompagnamento coattivo immediato, al trattenimento presso il C.I.E. (ora C.P.R.)906 o all'intimazione ex art. 14, comma 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998. Ne consegue che non vi è contraddittorietà di provvedimenti tra il diniego di concessione di partenza volontaria e la mancata adozione di misure di controllo, che restano applicabili, alternativamente o cumulativamente, dal questore solo nell'ipotesi in cui sia stata
accolta dal prefetto la richiesta di rimpatrio volontario907.
Il relativo provvedimento deve essere motivato e deve essere trasmesso entro quarantotto ore al giudice di pace per la convalida, che deve intervenire entro le successive quarantotto ore, ed al quale il rimpatriando può presentare personalmente o a mezzo del proprio difensore memorie o deduzioni, nonché in seguito rivolgersi per ottenere la modifica o la revoca della misura applicategli, previa acquisizione del parere del questore. La dottrina ha evidenziato come l’intera procedura cautelare appena descritta presenti profili di contraddittorietà non poco evidenti908: sfugge - infatti - la ragione per cui sia stata prevista l’obbligatoria applicazione delle misure, se queste possono poi essere revocate dal giudice di pace, cui dunque viene demandato il compito di valutare non solo la legittimità della loro adozione. Ancor prima è lecito dubitare della stessa legittimità della previsione di tale obbligo, atteso che la compressione della
904 G. ANDREAZZA - L. PISTORELLI, Rel. Massimario n. III/08/2011, del 4 luglio 2011, cit., p. 5.
905 Cass. civ., Sez. I, 24 novembre 2017, n. 28155, in C.E.D. Cass., n. 646213.
906 L. MASERA, I centri di detenzione amministrativa cambiano nome ed aumentano di numero, e gli hotspot rimangono privi di base legale: le sconfortanti novità del Decreto Minniti. A proposito del
D.L. 17 febbraio 2017, n. 13 (Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale), in Dir. pen. cont.,
2017, p. 278 ss.
907 Cass. civ., Sez.VI- I, 21 settembre 2016, n.18540, in C.E.D. Cass., n. 641171.
908 Si rimanda a G. ANDREAZZA - L. PISTORELLI, Rel. Massimario n. III/08/2011, del 4 luglio 2011, cit. p. 5.
libertà personale in maniera indiscriminata di tutti i richiedenti il termine sembra porsi in contrasto con i principi contenuti negli artt. 3 e 13 Cost. Non di meno anche l’obbligo di motivazione del provvedimento applicativo sembra ridursi in definitiva all’onere di spiegare le ragioni di una eventuale applicazione cumulativa delle misure, atteso che al questore non viene lasciato alcun margine di discrezionalità sull’attivazione dell’intervento cautelare una volta presentata l’istanza di concessione del termine per la partenza volontaria909.
6.4. Il decreto prefettizio di espulsione: ratio e conseguenze
Il legislatore non ha mancato di stabilire che il decreto di espulsione e il provvedimento
di cui al comma 1 dell'art. 14, nonché ogni altro atto concernente l'ingresso, il soggiorno e l'espulsione, sono comunicati all'interessato unitamente all'indicazione delle modalità di impugnazione e ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola. (art. 13, comma 7). Infatti la ratio dell'art. 13, comma settimo, del T.U. sull'immigrazione (d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286), il quale dispone la comunicazione all'interessato del decreto di espulsione unitamente ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola, è quella di consentire allo straniero espulso la comprensione della misura e l'apprestamento della difesa. Di tal che il precetto di legge è da ritenersi pienamente soddisfatto le volte in cui lo straniero, conosca o meno la lingua nella quale è tradotto il testo della misura emessa a suo carico, abbia comunque perfettamente compreso il testo italiano del decreto che, unitamente alla traduzione, gli viene comunicato: ed è infatti significativo che la norma imponga la traduzione non già nella lingua nazionale dell'espellendo bensì «nella lingua da lui conosciuta»,
esplicitando la ratio che è quella di assicurare comprensione e difesa910. Si è così evidenziato che, l'art. 13 comma 7, T.U. imm., non impone all'Amministrazione di
tradurre il decreto espulsivo nella lingua madre della persona da espellere, ma solo di
assicurare che la traduzione del provvedimento avvenga "in una lingua conosciuta" e, solo ove ciò non sia possibile, di garantire che la traduzione sia svolta "in lingua francese, inglese o spagnola", ritenute lingue universali e, quindi, accessibili, direttamente o indirettamente, da chiunque.911. E’ invece, nullo il provvedimento di espulsione tradotto in lingua veicolare per l'affermata irreperibilità immediata di traduttore nella lingua conosciuta dallo straniero, salvo che l'amministrazione non affermi, ed il giudice ritenga plausibile, l'impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità, ovvero l'inidoneità di tale testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta912.
6.5. Il procedimento di impugnazione del decreto di espulsione: poteri ed obblighi del giudice ordinario
909 G. ANDREAZZA - L. PISTORELLI, Rel. Massimario n. III/08/2011, del 4 luglio 2011, cit. p. 5.
910 Cass. civ., Sez. I, 6 dicembre 2005, n. 27791, in C.E.D Cass., n. 586563.
911 Cass. civ., Sez. I, 27 maggio 2008, n.13833, in C.E.D. Cass., n. 603411, che ha ritenuto infondato e, conseguentemente, rigettato il ricorso dello straniero che lamentava che l'atto espulsivo era stato tradotto nella lingua francese senza alcuna motivazione sulle ragioni che non consentivano
la traduzione nella propria lingua madre, atteso che il giudice di pace aveva ragionevolmente
valutato che la traduzione in lingua francese era effettivamente comprensibile per il ricorrente.
912 Cass. civ., Sez. VI-1, 28 maggio 2018, n.13323, in C.E.D. Cass., n. 649327.
Il comma 8 del citato art. 13 T.U. imm. prevede che le controversie di cui al presente comma sono disciplinate dall’art. 18 del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150913. Il giudice ordinario dinanzi al quale il provvedimento di espulsione dello straniero venga impugnato è tenuto unicamente a controllare l'esistenza, al momento dell'espulsione, dei requisiti di legge che ne impongono l'emanazione, i quali consistono nella mancata richiesta, in assenza di cause di giustificazione, del permesso di soggiorno, ovvero nella sua revoca od annullamento ovvero nella mancata tempestiva richiesta di rinnovo che ne abbia comportato il diniego; al giudice investito dell'impugnazione del provvedimento di espulsione non è invece consentita alcuna valutazione sulla legittimità del provvedimento del questore che abbia rifiutato, revocato o annullato il permesso di soggiorno ovvero ne abbia negato il rinnovo, poiché tale sindacato spetta unicamente al giudice amministrativo, la cui decisione non costituisce in alcun modo un antecedente logico della decisione sul decreto di
espulsione. Ne consegue, per un verso, che la pendenza del giudizio promosso dinanzi al giudice amministrativo per l'impugnazione dei provvedimenti del questore non giustifica la sospensione del processo instaurato dinanzi al giudice ordinario con l'impugnazione del decreto di espulsione del prefetto, attesa la carenza di pregiudizialità giuridica necessaria tra il processo amministrativo e quello civile; e, per l'altro verso, che il giudice ordinario, dinanzi al quale sia stato impugnato il provvedimento di espulsione, non può disapplicare l'atto amministrativo presupposto emesso dal questore»914. Così le questioni attinenti alla pericolosità sociale, nel caso di espulsione disposta ai sensi dell'art. 13 comma 2 lett. b) del d.lgs. n. 286/98, possono rilevare nel giudizio di convalida dell'accompagnamento dello straniero alla frontiera o del suo trattenimento in un Centro di Permanenza per i Rimpatri ovvero in quello di proroga della predetta misura, ma non in sede di opposizione all'espulsione915. In giurisprudenza, sì è poi evidenziato come il giudice di pace, investito dell'impugnazione
del decreto di espulsione emesso dal Prefetto per essersi lo straniero trattenuto nel
territorio dello Stato senza aver presentato la dichiarazione di presenza di cui all'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998 o richiesto il permesso nei termini stabiliti, non può, in via interpretativa, modificare quella contestazione, nella specie facendovi rientrare la diversa fattispecie dell'irregolare presenza per mancato rinnovo del permesso di soggiorno, rispondente alla condizione effettiva dell'istante ma non contemplata nel decreto stesso, essendo quest'ultimo un provvedimento con carattere
913 Le controversie in materia di protezione internazionale, instaurate in data successiva all'entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2011, sono assoggettate al rito sommario di cognizione ai sensi degli artt.
19 e 36 di tale decreto legislativo, con contestuale abrogazione del rito speciale già disciplinato dall'art. 35 del d.lgs. n. 25 del 2008. Ne consegue che il ricorso per cassazione relativo ad un
giudizio svolto in primo grado con il rito sommario resta assoggettato alla disciplina ordinaria e,
pertanto, va notificato alla controparte a cura del ricorrente (e non più della cancelleria) a pena d'inammissibilità, non sanabile attraverso la fissazione di un termine per la nuova notifica del ricorso, trattandosi di inesistenza e non di mera nullità della notifica ed avuto riguardo all'intervenuto passaggio in giudicato della sentenza impugnata conseguente alla scadenza del termine di cui all'art.
327 c.p.c. (Cass. civ., Sez. VI - 1, 7 luglio 2016, n.13830, in C.E.D. Cass., n. 640348).
914 Cass. civ., Sez. Un., 16 ottobre 2006, n. 22217, in C.E.D. Cass., n. 591934; Cass. civ., Sez. Un.,
16 ottobre 2006, n. 22221, ivi, n. 591937; Cass. civ., Sez. I, 6 agosto 2010, n. 18432, ivi, n. 614101; Cass. civ. Sez. VI-I, 22 giugno 2016, n. 12976, ivi, n. 640104; Cass. civ., Sez. VI-I, 14 giugno 2018, n.15676, ivi, n. 649334.
915 Cass. civ., Sez. I, 31 luglio 2019, n. 20694.
vincolato e risolvendosi una siffatta operazione in una illegittima sanatoria dell'atto ammnistrativo916.
In dottrina si è sostenuto che il giudice ordinario conosce gli effetti di ogni atto amministrativo che produca effetti in relazione all’oggetto dedotto in giudizio e disapplica gli atti amministrativi illegittimi917. Così, nel caso di ricorso contro i provvedimenti amministrativi di espulsione adottati nei confronti di straniero il cui permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, il giudice ordinario deve comunque conoscere la legittimità dei provvedimenti di revoca e di annullamento che sono il presupposto dell’espulsione e qualora ne riscontri l’illegittimità deve disapplicarli. Il giudice ordinario, in altri termini, «può esercitare un sindacato incidentale sull’atto presupposto e può disapplicarlo con effetti di illegittimità derivata sull’atto della sua giurisdizione piena». Altra dottrina sostiene che giudice ordinario, dinanzi al quale sia stato impugnato il decreto di espulsione, può «disapplicare l’atto amministrativo
presupposto (diniego o revoca del titolo di soggiorno)», pur «non potendo sovrapporre in ordine ad esso un proprio autonomo sindacato, attribuito al giudice amministrativo»; e prospettando, dall’altro lato, la possibilità dell’applicazione dell’art. 295 c.p.c., ovverosia della necessaria sospensione del giudizio espulsivo nelle more di quello amministrativo918. Secondo poi altra dottrina difetta una norma di coordinamento fra il possibile ricorso al giudice amministrativo sui provvedimenti negativi del soggiorno e il ricorso al giudice ordinario sull’espulsione: revoca, diniego, annullamento «ben possono essere oggetto di impugnativa avanti al TAR, il cui giudizio sarebbe pregiudiziale rispetto a quello del giudice ordinario chiamato a giudicare sull’espulsione fondata, sulla stessa irregolarità del soggiorno»919. La stessa dottrina evidenzia inoltre come, a seguito della ordinanza n. 414 del 2001 della Corte costituzionale, il privato può trovare piena tutela contro il provvedimento di espulsione avanti al giudice ordinario, che ben è legittimato ad esercitare un sindacato incidentale sul presupposto
atto di diniego di rilascio (o di rinnovo) o di revoca di permesso di soggiorno e
disapplicarlo.
E dunque ai sensi dell'art. 18 d.lgs. n. 150 del 2011, il ricorso avverso il decreto di espulsione deve essere proposto, a pena di inammissibilità, dinanzi al iudice di pace entro 30 gg. dalla notificazione del provvedimento. E’ da evidenziare, in ordine alla tempestività dell'impugnazione del provvedimento di espulsione dello straniero che si deve avere riguardo alla data di spedizione del ricorso tramite presentazione all'ufficio postale, non già alla data di ricezione, posto che la sentenza della Corte costituzionale n.
278 del 2008 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 13, comma 8, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall'art. 12, comma 1, della legge n. 189 del 2002 e poi modificato dall'art. 1, comma 2, del decreto-legge n. 241 del 2004, conv., con modif., dall'art. 1, comma 1, della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui non consente l'utilizzo del servizio postale per la proposizione diretta, da parte dello straniero, del
916 V. Cass. civ., Sez. VI- 1, 18 marzo 2016, n. 5367, in C.E.D. Cass., n. 639027.
917 P. BONETTI, Ingresso, soggiorno e allontanamento, I) Profili generali e costituzionali, in diritto degli stranieri, (a cura di B. Nascinbene), Cedam, Padova, 2004, p. 553 ss.
918 N. ZORZELLA, Il diritto di difesa dello straniero nel rapporto tra giudizio amministrativo e
giudizio ordinario. Commento alle recenti pronunce della Corte di Cassazione, in Dir. immigrazione e cittadinanza, 2001, 71 ss
919 B. NASCINBENE, Le garanzie nel procedimento di espulsione dello straniero, in Diritti dell’uomo,
estradizione ed espulsione- Atti del convegno di studio organizzato dall’Università di Ferrara per salutare Giovanni Battaglini, a cura di F. Salerno, Cedam, Padova, 2003, p. 207 ss.
ricorso avverso il decreto prefettizio di espulsione, quando sia stata accertata l'identità del ricorrente in applicazione della normativa vigente920. Al procedimento di impugnazione del decreto di espulsione disciplinato dall'art. 13 del d.lgs. n. 286 del
1998, è applicabile la sospensione dei termini nel periodo feriale, non rientrando tale procedimento tra quelli che ne sono esclusi ex art. 3 l. n. 742 del 1969, norma eccezionale insuscettibile di interpretazione analogica921. Occorre poi chiarire che il ricorso per cassazione avverso il provvedimento emesso all'esito del giudizio di opposizione al decreto prefettizio di espulsione dello straniero va proposto nei confronti dell'autorità che ha emanato il decreto impugnato e notificato presso di essa, sicché, nel caso in cui detto ricorso sia notificato all'Avvocatura dello Stato senza che, nella precedente fase di merito, quest'ultima abbia assunto il patrocinio dell'ufficio del prefetto, la notificazione è da ritenersi nulla e, peraltro, rinnovabile, ai sensi dell'art. 291 c.p.c. Quanto alla legittimazione passiva, nel giudizio di opposizione al provvedimento
prefettizio di espulsione dello straniero, spetta al prefetto, quale autorità che ha emesso il provvedimento impugnato, la legittimazione esclusiva, personale e permanente a contraddire in giudizio anche in fase di legittimità922.
Sotto altri profili si è evidenziato che in caso di opposizione avverso il decreto prefettizio di espulsione per mancanza di valido permesso di soggiorno, grava sullo straniero l'onere di provare le circostanze che hanno impedito la presentazione della istanza volta al relativo rilascio o rinnovo923. La giurisprudenza ha precisato inoltre che in tema di controversie relative all'impugnazione del decreto di espulsione prefettizio, lo straniero è onerato della prova documentale della proposizione della domanda di protezione internazionale, non potendo, per converso, il giudice di merito annullare il provvedimento di espulsione sulla base della sola asserzione dello straniero stesso924. Delicati problemi sono sorti in giurisprudenza sul tema della competenza tra giudice di pace e tribunale. Secondo un’interpretazione, costituzionalmente orientata dell’art. 18
d.lgs. 150 del 2011, si è affermato che il conflitto negativo di competenza tra giudice di
pace e tribunale in materia di opposizione avverso il decreto di espulsione, nella pendenza, davanti allo stesso tribunale, del giudizio relativo alla richiesta dell'opponente di permesso di soggiorno per motivi familiari, va risolto affermando la competenza del tribunale, avendo inteso il legislatore fare salva la vis attractiva di tale ufficio concentrando sul medesimo organo giudicante la cognizione dei provvedimenti incidenti sul diritto all'unità familiare925.
6.6. Il reingresso
Lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione, non può rientrare nel
territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno. In caso di trasgressione lo straniero è punito con la reclusione da uno a quattro anni ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera. (art. 13, comma
920Cass. civ., Sez. VI - I, 14 giugno 2019, n. 15981, in C.E.D. Cass., n. 654603.
921 Cass. civ., Sez. VI- I, 24 ottobre 2018, n. 26968, in C.E.D. Cass., n. 651510.
922 Cass. civ., Sez. VI- I, 30 luglio 2015, n.16178, in C.E.D. Cass., n. 636358.
923 Cass. civ., Sez. VI- I, 25 settembre 2015, n. 19105, in C.E.D. Cass., n. 636685, la quale ha confermato il decreto con cui il giudice di pace evidenziava che lo straniero detenuto e destinatario del provvedimento di espulsione non aveva ingiustificatamente richiesto, successivamente alla sua
scarcerazione, un nuovo permesso di soggiorno.
924 Cass. civ., Sez. VI- I, 26 ottobre 2018, n. 27181, in C.E.D. Cass., n. 651512.
925 V. Cass. civ., Sez. VI- I, 13 luglio 2018, n. 18622, in C.E.D. Cass., n. 649650.
13 T.U. imm.). La disposizione di cui al primo periodo del presente comma non si applica nei confronti dello straniero già espulso ai sensi dell’art. 13, comma 2, lett. a) e b), per il quale è stato autorizzato il ricongiungimento, ai sensi dell'articolo 29. (art. 13, comma 13). In tale contesto è da osservare, che più volte la giurisprudenza della Corte di Cassazione, ha chiarito che la condotta di reingresso, senza autorizzazione, nel territorio dello Stato del cittadino di un paese terzo, già destinatario di un provvedimento di rimpatrio con divieto di rientro, ha conservato rilevanza penale pur dopo l'emissione della direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio dell'Unione europea del 16 dicembre 2008 e la conseguente pronuncia della Corte di giustizia del 28 aprile 2011 nel caso “El Dridi”, perché i principi affermati con riguardo alle modalità di rimpatrio non possono assumere rilievo ai fini della valutazione della condotta di reingresso nel territorio dello Stato in violazione del divieto, per il quale la suddetta direttiva, all'art. 11, paragrafo 2, prevede l'unico limite di durata non eccedente
i cinque anni926. Più diffusamente, all'esito di accurata ricognizione delle disposizioni della predetta direttiva, la Corte di Cassazione ha precisato che, ai fini dell'integrazione del reato previsto dal d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 13, (T.U. imm.)927 la condizione del cittadino straniero in precedenza rimpatriato che faccia nuovamente ingresso nel territorio dello Stato, senza la prescritta autorizzazione e prima del termine non eccedente il quinquennio stabilito nel divieto d'ingresso che abbia accompagnato la decisione di rimpatrio, non può essere equiparata a quella dello straniero che permanga nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanamento928. E', infine, intervenuta riguardo al suddetto reato la recente pronuncia della Corte di giustizia europea n. 290 in data 1 ottobre 2015, “Celaj”, secondo cui «la direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, deve essere interpretata nel senso che non osta, in linea di
principio, ad una normativa di uno Stato membro che prevede l'irrogazione di una pena
detentiva ad un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare il quale, dopo essere ritornato nel proprio paese d'origine nel quadro di un'anteriore procedura di rimpatrio, rientri irregolarmente nel territorio del suddetto Stato trasgredendo un divieto di ingresso»929.
6.7. Esecuzione dell’espulsione
Il legislatore ha stabilito che presupposto del trattenimento nei Centri per il rimpatrio
(CPR) è l’impossibilità di procedere all’accompagnamento coattivo in frontiera o al respingimento «a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento». Tali situazioni, in adesione a quanto previsto dalla c.d. “direttiva rimpatri”, sono individuate nella sussistenza del pericolo di
926 Si veda Cass. Sez. I, 6 febbraio 2014, n. 5878, Doku, in C.E.D. Cass. n. 259155, ed in senso conforme Cass., Sez. I, 18 ottobre 2016, n. 44146, Kasemi, in C.E.D. Cass., n. 268291; Cass., Sez. I,
19 settembre 2012, n. 35871, Mejdi, in C.E.D. Cass., n. 253353.
927 Per un’accurata analisi dei reati in materia di immigrazione, v. A. CAPUTO, I reati in materia di immigrazione, in Trattato teorico pratico di diritto penale diretto da F. Palazzo e C. E. Paliero, vol.
X. IX, Reati in materia di immigrazione e di stupefacenti, a cura di A. Caputo E F. Fidelbo,
Giappichelli, Torino, 2012, p. 28 ss.
928 (Cass., Sez. I, 12 aprile 2013, n. 16634, Kajmaku, in C.E.D. Cass. n. 255685.
929 Sulla direttiva rimpatri v. V. MAISTO, L’influenza della direttiva rimpatri sui reati d’inosservanza
dell’ordine di allontanamento del questore, in Immigrazione illegale e diritto penale. un approccio interdisciplinare, (a cura di) E. Rosi – F. Rocchi, Jovene, Napoli, 2013, p. 65 ss.
fuga dello straniero – così come configurato dall’art. 13, comma 4-bis -, nella necessità di prestare soccorso al rimpatriando ovvero di procedere ad accertamenti sulla sua identità o nazionalità o in quella di acquisire i documenti di viaggio o di reperire un mezzo di trasporto idoneo al rimpatrio. E’ peraltro evidente che il trattenimento non può essere disposto nei confronti dello straniero cui è stato concesso il termine per la partenza volontaria nella pendenza del medesimo930.
Per corrispondere al principio di sussidiarietà contenuto nell’art. 15 della direttiva
2008/115/CE (c.d. Direttiva rimpatri), viene previsto che il questore, in luogo del trattenimento, può imporre una o più delle misure cautelari amministrative già menzionate trattando dell’istituto della partenza volontaria. L’effettiva praticabilità di tale soluzione è peraltro subordinata alle condizioni che lo straniero sia in possesso del passaporto o di altro documento equipollente e che non ricorra una delle situazioni previste nei commi 1 e 2, lett. c) dell’art. 13 o si tratti espulsione per motivi di terrorismo. (art. 14 comma 1-bis T.U. imm.).
Secondo la giurisprudenza l'adozione delle misure alternative al trattenimento ex art. 14, comma 1-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 richiede necessariamente che lo straniero possieda il passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, tale non potendo essere considerato il permesso di soggiorno previamente rilasciato a seguito di richiesta di asilo (nella specie, scaduto in conseguenza dell'esito negativo della relativa procedura), perché privo dell'accertamento dell'identità e della nazionalità del titolare931. E’ appena il caso di evidenziare come in questo caso l’applicazione delle misure cautelari è rimessa alla discrezionalità del questore (senza che peraltro vengano normativamente fissati precisi parametri cui ancorare la sua decisione), mentre, come si è visto, nel caso della partenza volontaria la stessa è apparentemente obbligatoria932. In dottrina933 si è sollevata qualche perplessità sulla insistita valorizzazione del possesso del passaporto come presupposto (in questo caso positivo) per l’attivazione della procedura cautelare, atteso che, si tratta di circostanza non presa in considerazione dal legislatore comunitario. Infine va evidenziato che mentre le misure cautelari
amministrative imposte al rimpatriante che abbia richiesto un termine per la partenza volontaria hanno una durata implicitamente determinata dall’entità del termine concessogli, alcunché è previsto per la durata delle misure applicate in alternativa al trattenimento nei CIE. Circostanza che potrebbe comportare seri dubbi sulla compatibilità del comma 1-bis dell’art. 14 con l’art. 13 Cost.934. La dottrina ha evidenziato che, attesa la natura sostitutiva rispetto al trattenimento delle suddette misure, potrebbe doversi ritenere che i termini applicabili siano gli stessi previsti dal comma 5 per la misura “sostituita”; il che, peraltro, dovrebbe comportare l’estensione altresì della disciplina delle proroghe dettata per quest’ultimi935. Sul punto va infine ricordato che il provvedimento applicativo deve essere convalidato dal giudice di pace e la relativa disciplina è del tutto identica a quella prevista per le misure connesse alla
concessione del termine per la partenza volontaria (art. 14 comma 4).
L'art. 14, comma 4, impone tuttavia che il decreto di convalida del trattenimento dello straniero intervenga, a pena di inefficacia, entro le quarantotto ore successive alla
930 G. ANDREAZZA - L. PISTORELLI, Rel. Massimario n. III/08/2011, del 4 luglio 2011, cit. p. 8.
931 Cass., civ. Sez. VI, 7 ottobre 2016, n. 20108, in C.E.D. Cass., n. 641863.
932 G. ANDREAZZA - L. PISTORELLI, Rel. Massimario n. III/08/2011, del 4 luglio 2011, cit., p. 8.
933 G. ANDREAZZA - L. PISTORELLI, op. ult. cit., p. 8.
934 G. ANDREAZZA - L. PISTORELLI, op. ult. cit., p. 8.
935 G. ANDREAZZA - L. PISTORELLI, op. ult. cit., p. 8.
comunicazione del trattenimento stesso, sicchè, essendo il termine fissato in ore, è indispensabile, al fine della verifica della sua osservanza, l'indicazione, nel verbale della corrispondente udienza, se ivi reso, del giorno e dell'ora della sua emissione, ovvero dell'ora del suo deposito in cancelleria se emesso con distinto provvedimento, altrimenti determinandosene la nullità insanabile per mancanza di un requisito essenziale per il raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 2, c.p.c.936.
Il comma 5-bis dell’art. 14 T.U. imm., prevede poi, nell’impossibilità di procedere al trattenimento o alla cessazione del medesimo, il questore ordini allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro sette giorni. L’ordine deve essere scritto e contenere tra l’altro l’indicazione delle conseguenze sanzionatorie per la sua violazione. Ai sensi del successivo comma 5-ter, all’inottemperanza all’ordine di allontanamento consegue l’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione immediatamente esecutivo in relazione al quale non sembra sia possibile richiedere un termine per la partenza
volontaria. Nel caso in cui l’espulsione non sia immediatamente eseguibile mediante l’accompagnamento coattivo la disposizione da ultima citata prevede la possibilità di procedere al trattenimento nei CIE dello straniero, così come previsto dal successivo art.
5-quater per la violazione del nuovo ordine di espulsione motivato dalla violazione di quello di allontanamento.
Il comma 7 dell’art. 14, che prevede la possibilità di ricorrere alla forza pubblica per garantire l’effettività del trattenimento nei CIE e il suo ripristino in caso di “evasione” dello straniero. Il ripristino della misura violata avviene mediante «l’adozione di un nuovo provvedimento di trattenimento». In dottrina937 si è evidenziato che tale formula non poco ambigua, potrebbe indurre a ritenere che, in caso di indebito allontanamento dal centro, dal successivo ripristino della misura inizi a decorrere un termine di trattenimento del tutto nuovo, che non tiene conto della “detenzione” già subita dal fuggitivo. Se questo fosse l’effettivo significato da attribuire alla nuova disposizione
sarebbe evidente l’intento elusivo dei termini massimi di trattenimento previsto dall’art.
15 della direttiva. Non di meno si è ulteriormente sostenuto che il “nuovo” provvedimento di trattenimento assumerebbe venature sanzionatorie parimenti incompatibili con la funzione che alla misura assegna la normativa sopranazionale938.
7. L’espulsione dello straniero di cui all’art. 86 d.P.R. n. 309 del 1990.
L'art. 86 del d.P.R. n. 309/1990 («Testo unico in materia di stupefacenti») prevede due
ipotesi di espulsione nei confronti dello straniero condannato. La prima, a pena espiata,
è ordinata dal giudice nei confronti dello straniero condannato per i delitti di cui all’art.
73 («Produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope»), 74 («Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope»), 79 («Agevolazioni nell’uso di sostanze stupefacenti e psicotrope»), 82 commi 2 e 3 («Istigazione, proselitismo e induzione all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope nelle ipotesi aggravate»). La seconda è facoltativa e può essere disposta in seguito alla condanna riportata dallo straniero per uno degli altri delitti previsti dal testo unico in
materia di stupefacenti939.
936 Cass., civ., Sez. VI,-I, 27 aprile 2016, n. 8268, in C.E.D. Cass., n. 8268.
937 V. G. ANDREAZZA - L. PISTORELLI, Rel. Massimario n. III/08/2011, del 4 luglio 2011, cit. p. 8.
938 Cfr. G. ANDREAZZA - L. PISTORELLI, op. ult. cit., p. 8.
939 V. G. AMATO – G. FIDELBO, La disciplina, penale degli stupefacenti, Giuffrè, Milano, 1994, p.
453.
Il giudice nell'emettere una sentenza di condanna a carico dello straniero per uno dei reati indicati nell'art. 86 d.P.R. n. 309 del 1990 deve, prima di applicare la misura dell'espulsione dal territorio dello Stato, accertare la sussistenza in concreto della pericolosità del condannato e darne adeguata motivazione. In proposito, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato art. 86, comma 1, nella parte in cui obbligava il giudice ad emettere, senza l'accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità sociale, contestualmente alla condanna, l'ordine di espulsione, eseguibile a pena espiata, nei confronti dello straniero condannato per uno dei reati di cui sopra940. In quell’occasione, la Corte ha statuito che l'applicazione della misura di sicurezza della espulsione dallo Stato, a pena espiata, prevista dall'art. 86, primo comma, del testo unico delle leggi sulla disciplina in materia di stupefacenti emanato con d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, contestualmente alla condanna dello straniero per uno dei reati di cui agli artt. 73, 74, 79 e 82, commi 2 e 3 in deroga al
principio, stabilito dall'art. 31, l. 10 ottobre 1986, n. 663, che «tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa» configura un’irrazionale disparità di trattamento di fronte alle altre ipotesi di applicabilità della misura di sicurezza dell'espulsione previste dagli artt. 235 e 312 c.p., per le quali, benché subordinate al presupposto di condotte obiettive non meno gravi di quelle considerate nell'art. 86, primo comma, la regola generale di cui all'art. 31, l. n. 663 del 1986, deve essere pur sempre osservata941. Peraltro, deve rammentarsi come in siffatta materia, la norma nazionale debba essere interpretata alla luce delle plurime fonti sovranazionali come interpretate dalla giurisprudenza della Cedu. Ed invero, la giurisprudenza di legittimità formatasi successivamente a quella pronuncia della Corte costituzionale, ha sottolineato come ai fini dell'applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione dello straniero ex art. 86 d.P.R. n. 309 del 1990, per la avvenuta commissione di reati in materia di stupefacenti,
è necessario non solo il previo accertamento della sussistenza in concreto della
pericolosità sociale del condannato, in conformità all'art. 8 CEDU in relazione all'art.
117 Cost., ma anche l'esame comparativo della condizione familiare dell'imputato, ove ritualmente prospettata, con gli altri criteri di valutazione indicati dall'art. 133 c. p., in una prospettiva di bilanciamento tra interesse generale alla sicurezza sociale ed interesse del singolo alla vita familiare942.
L'espulsione, prevista dall'art. 86 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 per lo straniero condannato per uno dei delitti ivi richiamati in tema di stupefacenti, può essere disposta, in presenza del necessario accertamento della pericolosità personale, anche nei confronti di chi abbia un rapporto di coniugio con una cittadina italiana, non incidendo tale circostanza sul giudizio di pericolosità943. Proprio con riguardo al rapporto di coniugio, il combinato disposto degli artt. 86 d.P.R. n. 309 del 1990, 5 e 19, comma secondo, lett. d) d.lgs. n. 286 del 1998, interpretato in relazione all'art. 30, comma primo, Cost., vieta
che il giudice possa disporre l'espulsione dello straniero, condannato per reati concernenti gli stupefacenti, nel periodo di gravidanza della moglie convivente ovvero entro i sei mesi successivi alla nascita del figlio, in questo secondo caso indipendentemente dalla convivenza e dal rapporto di coniugio944.
940 V. Corte cost., 24 febbraio 1995, n. 58, in Cass. pen., 1995, p. 1739
941 Corte cost., 24 febbraio 1995, n. 58, cit.
942 Cass., Sez. IV, 15 novembre 2017, n. 52137, in C.E.D. Cass., n. 271257.
943 Cass., Sez., II, 5 maggio 2016, n. 38336, in C.E.D. Cass., n. 268235.
944 Cass., Sez., IV, 25 novembre 2014, n. 50379, in C.E.D. Cass., n. 261378.
7.1. Espulsione dello straniero dal territorio dello Stato: presupposti per la protezione sussidiaria
Sotto il profilo del rapporto che intercorre tra la misura di sicurezza dell’espulsione
(misura di sicurezza ex art. 86 d.P.R. 309/1990) e la condizione di soggetto avente diritto alla protezione sussidiaria, pare interessante osservare come, in caso di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato ai sensi dell'art. 86 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, il giudice della misura di sicurezza deve accertare in via incidentale la sussistenza dei presupposti che, alla stregua delle prospettazioni dell'interessato, potrebbero condurre al riconoscimento in suo favore della cd. protezione sussidiaria945, a nulla rilevando la possibilità per il medesimo di agire in via ordinaria per ottenere il riconoscimento del diritto alla stessa946. E quindi, non può trovare esecuzione il provvedimento di espulsione dello straniero dal territorio
dello Stato, disposto ai sensi dell'art. 86 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, qualora sussista il serio pericolo che il destinatario sia sottoposto nel paese d'origine alla pena di morte ovvero a trattamenti inumani o degradanti, senza che assuma rilievo, in tal caso, la valutazione relativa alla gravità del fatto ed alla pericolosità sociale del reo947. Tale principio aveva trovato ingresso nella giurisprudenza della Cassazione anche in una fattispecie relativa ad un condannato che, anteriormente alla l. 14 luglio 2017, n. 110, paventava il rischio, una volta rimpatriato, di essere destinatario di condanna alla pena di morte948.
7.2. L’applicabilità dei procedimenti speciali
L'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato a pena espiata, prevista in ordine al
reato di spaccio di sostanze stupefacenti (art, 73 d.P.R. n. 309 del 1990) dall'art. 86, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, che costituisce una misura di sicurezza personale, ex art. 215, comma 2, n. 4 c. p., può essere applicata con la sentenza di patteggiamento "allargato", ai sensi degli articoli 444, comma 1, c.p.p. (novellato ex art. 1 legge n. 134 del 2003) e 445, comma 1, c.p.p., quando la pena irrogata superi i due anni di pena detentiva sola o congiunta a pena pecuniaria; in tal caso, il giudice di merito deve effettuare, in virtù della statuizione contenuta nella sentenza n. 58 del 1995 della Corte costituzionale, l'accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità sociale
dello straniero949. L'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato a pena espiata, prevista in materia di stupefacenti, non può invece essere disposta con la sentenza che applichi una pena detentiva non superiore al limite di due anni, ipotesi in cui l'art. 445 comma 1 c.p.p. non consente l'applicazione delle misure di sicurezza, fatta eccezione
945 In dottrina, v., S. ALBANO, La protezione sussidiaria cit., in Quest. giust., 2018, n. 2, p. 85 ss. M. ACIERNO, Il diritto del cittadino straniero alla protezione internazionale: condizione attuale e prospettive future, in AA.VV., Immigrazione, asilo e cittadinanza, Santarcangelo di Romagna, 2019,
106
946 Cfr. Cass., Sez., I, 26 ottobre 2017, n. 49242, in C.E.D. Cass., n. 271449.
947 V. Cass., Sez. III, 8 maggio 2019, n. 19662, in C.E.D. Cass., n. 275960, riguardante un condannato che allegava di essere titolare di un permesso per protezione sussidiaria e di essere stato sottoposto a serio rischio per l'incolumità, nel paese di origine, in ragione del proprio credo religioso.
948 In tal senso, Cass., Sez., I, 26 ottobre 2017, n. 49242, in C.E.D. Cass., n. 271450.
949 V. Cass., Sez., IV, 8 giugno 2004, n. 42317, Kola, in C.E.D. Cass., n. 231006; cosi di recente, Cass., Sez., VI, 20 novembre 2018, n. 52211.
per la confisca ex art. 240 c.p.950. E’ da avvertire che in giurisprudenza si è pure posto il delicato problema della ricorribilità per cassazione di una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti che omette di applicare la misura di sicurezza dell'espulsione dal territorio dello Stato dello straniero per uno dei reati indicati nell'art.
86 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. Sul punto si segnalano una diversità di pronunciamenti della Suprema Corte dopo la riforma attuata dalla l. n. 103 del 2017 che ha introdotto l’ art. 448, comma 2-bis, c.p.p. Secondo un primo orientamento, la sentenza di applicazione della pena che abbia omesso di disporre l'espulsione dal territorio dello Stato dello straniero per uno dei reati indicati nell'art. 86 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 non può essere impugnata dal pubblico ministero con ricorso per cassazione, ostandovi la previsione dell'art. 448, comma 2-bis c.p.p., introdotta dall'art.1, comma 50, l. 23 giugno 2017, n. 103, che individua ipotesi tassative per la proponibilità di detta impugnazione, tra le quali l'effettiva adozione di una misura di
sicurezza»951. Secondo tale filone la misura di sicurezza dell'espulsione dello straniero anche se non disposta nella sentenza ex art. 444, c. p. p. e in assenza assoluta di motivazione, sulla pericolosità sociale non rientra nell'ipotesi di possibile ricorso in Cassazione, come previsto dalla norma (art. 448, comma 2-bis, c.p.p.: «all'illegalità della pena o della misura di sicurezza»). Secondo altro orientamento, invece, anche dopo l'introduzione dell'art. 448, comma 2-bis, comma p. p. ad opera dell'art. 1, comma
50, l. 23 giugno 2017, n. 103, è ammissibile il ricorso per cassazione del pubblico ministero volto a denunciare l'omessa applicazione – ovvero l'omessa valutazione circa la sussistenza dei presupposti per l'applicazione – della misura di sicurezza dell'espulsione dello straniero per uno dei reati indicati nell'art. 86 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, ricorrendo, in tal caso, un’ipotesi di
«illegalità della misura di sicurezza» incidente sul complessivo trattamento sanzionatorio e perciò rilevante come «violazione di legge» ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost.952.
8. L’espulsione dello straniero colto in flagranza di reato
L’art. 86 comma 3 prevede che se ricorre lo stato di flagranza di cui all'art. 382 c.p.p. in
riferimento ai delitti previsti dai commi 1, 2 e 5 dell'art. 73953, il prefetto dispone
950 V. Cass., Sez. IV, 18 aprile 2018, n. 17516, in C.E.D. Cass., n. 272905, dove la Corte ha precisato che la previsione sostanziale di cui all'art. 86 d.P.R. n. 309 del 1990 non può essere considerata norma speciale rispetto a quella contenuta all'art. 445 c.p.p., avendo quest'ultima natura processuale.
951 V. Cass., Sez. III, 10 ottobre, 2018, n. 45559, in C.E.D. Cass., n. 273950 Tale orientamento è stato condiviso da Cass. Sez. VI, 7 febbraio 2019, n. 6136, ivi, n. 275034 che in motivazione ha precisato come il pubblico ministero può richiedere l'adozione della misura di sicurezza mediante
ricorso al magistrato di sorveglianza ai sensi degli artt. 679, comma 1, c.p.p. e 205, comma 2, n. 1,
c.p.
952 Cass., Sez. III, 14 maggio 2019, n. 20781, in C.E.D. Cass., n. 275530.
953 La Corte costituzionale con sentenza 8 marzo 2019, n. 40, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.
309 («Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,
prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza»), nella parte in cui in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziché di sei anni. In dottrina v. M. GAMBARDELLA, Sindacato di costituzionalità in malam partem e ripristino del trattamento sanzionatorio più severo per il reato di cui all'art. 73, comma 1, testo unico degli stupefacenti, in Cass. pen., 2017, p. 567 ss.
l'espulsione immediata e l'accompagnamento alla frontiera dello straniero, previo nulla osta dell'autorità giudiziaria procedente. Si tratta di una espulsione in via amministrativa, finalizzata alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, messi in pericolo dalla situazione di flagranza in cui è stato colto lo straniero, e può essere disposta dal prefetto, a prescindere da ogni giudizio sulla pericolosità del soggetto e sulla probabilità che egli commetta un fatto previsto dalla legge come reato954. A differenza infatti dell’espulsione prevista dai primi due commi del d.P.R. 9 ottobre
1990, n. 309, art. 86 che è collegata ad una pronuncia di condanna dell'autorità giudiziaria, l'espulsione immediata di cui al comma 3 del detto articolo ha natura giuridica di provvedimento amministrativo, in base a un potere esercitato solo prima che si pervenga a una pronuncia giurisdizionale. Qualora dunque il soggetto colto in flagranza di uno dei delitti previsti dal d.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1, 2 e 5, anziché essere espulso immediatamente dal Prefetto, sia stato citato a comparire dinanzi
all'autorità giudiziaria, il potere amministrativo non è più esercitabile perchè estintosi proprio per effetto della vocatio in ius955.
9.Il trattamento penitenziario dello straniero
Il rapporto necessario che l’ordinamento instaura tra la pena e la costituzione impone di
prendere in considerazione tutte le forme di restrizione della libertà personale, con specifico riferimento alla cause ed alle modalità di realizzazione, in modo da valutarne la compatibilità costituzionale956.
Tra queste certamente assume particolare rilievo quella prevista dall’art. 14 del d.lgs. n.
286 del 1998 che dispone il trattenimento dell’immigrato irregolare «per il tempo strettamente necessario» presso un centro di permanenza temporanea e di assistenza (ora CPR) allorchè non possa essere eseguito immediatamente il decreto di espulsione amministrativa di cui al precedente art. 13.
Sul punto la Corte Costituzionale, pur avendo evidenziato che il trattenimento «è una misura incidente sulla libertà personale che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell’art. 13 della Costituzione» e che in tali casi si determina «quella mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere» tanto più intollerabile se si considera che le garanzie dell’art. 13 della Costituzione non possono subire attenuazioni rispetto agli stranieri, neppure in presenza di esigenza di assistenza dei medesimi stranieri ne di sicurezza od ordine pubblico957, tuttavia non ne ha tratto le conseguenze ultime in tema di declaratoria di incostituzionalità.
Una prima netta presa di posizione nella materia delle detenzioni extracarcerarie ed amministrative è arrivata con la decisione del 15 dicembre 2016 della CEDU che ha condannato l’Italia per il trattenimento di stranieri all’interno del Centro di Soccorso e di Prima Accoglienza di Lampedusa per violazione dell’art. 5 della Convenzione.
Sebbene formalmente si trattasse di una struttura diversa dai Centri disciplinati dall’art.
14, atteso che gli stranieri vi erano stati collocati per esigenze di «soccorso ed
954 Cons. Stato, Sez. IV, 1 febbraio 2001, n. 368.
955 Cass., Sez. IV, 2 ottobre 2008, n. 42841.
956 Cfr. E. DOLCINI, Pena e Costituzione, in Riv. it. dir. proc. pen., fasc. 1, 2019, p. 3, che evidenzia come i principi costituzionali impongano una considerazione della polivalenza del concetto di pena,
non limitato alla pena carceraria, come invece vorrebbe una lettura restrittiva che finisce però per
sguarnire di garanzie ambiti e soggetti nel momento in cui soffrono limitazioni alla libertà personale.
957 V. Corte cost., 10 aprile 2001, n. 105, nello stesso senso anche la sent. 5 luglio 2004, n. 222.
accoglienza» e senza che fosse stato ancora emesso nei loro confronti il decreto di espulsione amministrativa, la Corte ha ravvisato, in relazione alla considerevole durata del trattenimento, la violazione del § 5 sotto il profilo del § 1 (mancanza di una base legale per la privazione della libertà personale), del § 2 (violazione del diritto all’informazione sui motivi del trattenimento ) e del § 4 (violazione del diritto ad azionare un controllo sulla legittimità ed il merito del trattenimento stesso)958.
In prospettiva dunque la decisione della CEDU offre ai giudici nazionali un punto di riferimento per la parificazione in concreto del regime giuridico delle forme di privazione amministrativa della libertà a quelle giurisdizionali.
In ambito penitenziario un elemento di discriminazione dello straniero rispetto al cittadino, non più vigente grazie all’intervento della Corte costituzionale, è stato svolto da una interpretazione degli artt. 47, 48 e 50 della legge 26 luglio 1975, n. 354 nel senso che allo straniero extracomunitario, entrato illegalmente nel territorio dello Stato o privo
del permesso di soggiorno, fosse sempre precluso l’accesso alle misure alternative alla detenzione in essi previste.
Vale la pena ripercorrere l’iter motivazionale della Corte della sentenza del 16 marzo
2007, n.78, per comprendere l’evoluzione culturale compiuta dalla giurisprudenza nel percorso di parificazione della condizione degli stranieri a quella dei cittadini quando vengono in rilievo i diritti fondamentali ed apprezzare l’attualità dei principi in essa sanciti.
La decisione era scaturita in sede di giudizio di rinvio a seguito dell’annullamento, ad opera della Corte di Cassazione, del provvedimento con il quale era stata concessa la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale ad un extracomunitario privo del permesso di soggiorno: il principio di diritto espresso dalla Cassazione, vincolante per il giudice di rinvio, era nel senso che la condizione di clandestinità o irregolarità non consentisse l’accesso alle misure alternative, in quanto non potrebbe ammettersi che l’esecuzione della pena nei confronti dello straniero presente contra legem nel territorio dello Stato abbia luogo con modalità tali da comportare violazione delle regole che configurano detta condizione di illegalità. Si aggiungeva, inoltre, con particolare riferimento all’affidamento in prova, che risulterebbe impossibile instaurare, proprio a fronte della condizione in discorso, la necessaria interazione tra il condannato e il servizio sociale.
Un diverso orientamento considerava la presenza illegale nel territorio non ostativa alla concessione delle misure alternative perché, pur esponendo lo strani ero all’espulsione amministrativa, da eseguire dopo l’espiazione della pena, non sarebbe stato di ostacolo alla concessione delle misure alternative, quante volte il giudice – sia pure in esito ad un vaglio adeguatamente rigoroso, in correlazione alla part icolare situazione del richiedente – ravvisi comunque la sussistenza dei presupposti di accesso alle misure medesime, quali stabiliti dalla legge sull’ordinamento penitenziario. In particolare, secondo tale ultimo orientamento, le misure alternative − che costituiscono altrettante modalità di esecuzione della pena e le cui prescrizioni rivestono, dunque, carattere
«sanzionatorio -afflittivo» −poiché «mirano ad attuare i preminenti valori costituzionali della eguale dignità delle persone e della funzione rieducativa della pena,
958 Va anche evidenziato che la Corte ha respinto la dedotta violazione dell’art. 3 della Convenzione ritenendo che nel caso di specie, per gli elementi conoscitivi acquisiti, le condizioni del trattenimento all’interno del CSPA e poi sulle navi ove gli immigrati vennero imbarcati per il rimpatrio non integrassero gli estremi del trattamento inumano o degradante.
[...] con la conseguenza che la loro applicazione non può essere esclusa a priori ed in ragione di una presunzione assoluta di inidoneità legata alla condizione di clandestinità o irregolarità della presenza sul territorio nazionale del detenuto».
La Corte ha ritenuto dirimente la forza del principio sancito dall’art. 27, terzo comma, della Costituzione, recepito nella legge n. 354 del 1975, da cui si ricavano i principi direttivi ai quali deve ispirarsi il trattamento penitenziari o, che nei confronti dei condannati ed internati deve essere attuato, secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti, un trattamento rieducativo che tenda al «reinserimento sociale» degli stessi; e, per altro verso, che il trattamento penitenziario deve essere
«improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose» (art. 1).
Peraltro la finalità rieducativa della pena deve contemperarsi con le altre funzioni che la Costituzione assegna alla pena medesima (vale a dire: prevenzione generale, difesa sociale, prevenzione speciale) sicchè ne consegue la necessita di instaurare una condizione di armonica coesistenza che deve ispirare l’esercizio della discrezionalità che in materia compete al legislatore, le cui scelte risulteranno non irragionevoli e rispettose del precetto dell’art. 27, terzo comma, della Costituzione, allorquando, pur privilegiando l’u na o l’altra delle suddette finalità, il sacrificio che si arreca ad una di esse risulti assolutamente necessario per il soddisfacimento dell’altra e, comunque, purché nessuna ne risulti obliterata.
La finalità rieducativa, secondo la Corte, si impone, ten uto conto dei principi di proporzione e individualizzazione della pena propri del trattamento penitenziario, anche nei confronti di quelle norme che precludono l’accesso ai benefici penitenziari in ragione del semplice nomen iuris del reato per il quale è stata pronunciata la condanna. In tal senso la Corte ha, altresì, statuito l’incompatibilità costituzionale, rispetto all’art. 27, terzo comma, della Costituzione, della preclusione all’ottenimento di una nuova liberazione condizionale da parte del condann ato all’ergastolo, cui tale misura sia stata in precedenza revocata in conseguenza della commissione di un delitto o di una contravvenzione della stessa indole o della trasgressione degli obblighi inerenti alla libertà vigilata; e ciò anche quando sussista il presupposto del sicuro ravvedimento, che ha dichiarato, di conseguenza, costituzionalmente illegittimo l’art. 177, comma 1, ultimo periodo, del codice penale). Una simile preclusione, per il suo carattere assoluto ed automatico, avrebbe, infatti, esclu so il condannato in modo permanente e definitivo dal processo rieducativo e di reinserimento sociale.
Peraltro in sede di legittimità il contrasto interpretativo era stato composto dalle Sezioni Unite della Cassazione che , con specifico riferimento all’affidamento in prova al servizio sociale, avevano evidenziato che l’ordinamento penitenziario non contempla alcun divieto di applicazione delle misure alternative alla detenzione in favore del condannato straniero irregolarmente soggiornante in Italia, in relazione al quale il giudizio prognostico da effettuare ai fini dell’applicazione delle misure in questione «non può considerarsi precluso sulla base di una sorta di presunzione assoluta di inidoneità delle stesse per un’intera categoria di persone […]. Tenuto conto dell’effettiva e ampia portata precettiva della funzione rieducativa della pena, la
concedibilità, o non, delle misure alternative alla detenzione in carcere non può essere formulata alla stregua di astratte premesse, bensì postula la valutazione, in concreto, delle specifiche condizioni che connotano la posizione individuale dei singoli condannati e delle diverse opportunità offerte da ciascuna misura secondo il criterio della progressività trattamentale. [...] è proprio il provvedimento giurisdizionale del tribunale di sorveglianza, che determina le forme alternative di espiazione della pena, a costituire ex lege il “titolo” idoneo a sospendere l’esecuzione dell’espulsione amministrativa e a legittimare la permanenza dello straniero sul territorio nazionale, nonché l’eventuale svolgimento di un’attività lavorativa per il periodo indicato nel medesimo provvedimento, anche con modalità sostanzialmente derogatorie alla restrittiva disciplina dettata per tali soggetti in materia di accesso al lavoro»959.
Come è noto, il trattamento penitenziario per poter aspirare efficacemente
all’obiettivo della rieducazione ha necessità di avvalersi, «anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno» (art. 1, comma 6 ord. penit.), «dell’istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive» e deve agevolare i contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia (art. 15 ord. penit.).
Le difficoltà che incontrano gli stranieri nella possibilità di accedere alle opportunità che il trattamento offre sono incomparabilmente superiori rispetto ai detenuti italiani poiché, per nella maggioranza dei casi, i primi non dispongono di riferimenti familiari o lavorativi esterni al carcere.
Difficoltà peraltro che si manifestano sin dal primo ingresso in un istituto penitenziario a causa della mancanza di conoscenza della lingua italiana che non consente all’indagato alloglotta di comprendere il significato dell’accusa ed il contenuto degli elementi acquisiti a suo carico; in tal senso, la riforma nel 2014 dell’art. 143 c.p.p.960 ha ribadito la necessaria nomina di un interprete durante le varie fasi del procedimento ed
ha introdotto il principio della traduzione gratuita degli atti contenenti gli elementi di
accusa nonché delle sentenze emesse, sempre che risulti dimostrato, anche attraverso gli atti di indagine acquisiti, che l’interessato non comprenda la lingua italiana.
La mancata o scarsa conoscenza della lingua italiana, teoricamente supportata dalla traduzione in lingua straniera della normativa penitenziaria (art. 69, comma 2, d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230), in realtà richiede strumenti più pregnanti per agevolare i rapporti dello straniero con il mondo esterno che l’ordinamento ha affidato alla figura del mediatore culturale («operatori di mediazione culturale»: art. 35 d.P.R. 230/2000), tanto ricca di potenzialità quanto scarsamente applicata all’interno degli Istituti.
Le possibilità di intervento del mediatore sono molto ampie: sin dal primo ingresso in istituto possono costituire l’unico elemento di collegamento con la famiglia nel Paese d’origine, ( si pensi al riguardo anche alle difficoltà materiali e burocratiche che insorgono per i colloqui telefonici o la corrispondenza epistolare) e le rappresentanze diplomatiche e consolari, ma anche al momento della scarcerazione o della eventuale estradizione, la loro figura è il tramite con le istituzione pubbliche o private esterne (scuola, sanità, pubblica amministrazione, servizi sociali, lavoro e istruzione) da cui devono provenire mediante apposite convenzioni con gli enti locali o le organizzazioni di volontariato.
959 V. testualmente Cass., Sez. Un., 28 marzo 2006, n. 14500, in Cass. pen., 2006, p. 3120.
960 Ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 4 marzo 2014, n. 32.
La consapevolezza dell’importanza di questa figura è dimostrata dalla recente riforma operata mediante il d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 123, che ha previsto il pieno inserimento della figura dei mediatori culturali nelle attività di osservazione e trattamento (art. 80, comma 4, ord. penit.) ed in particolare nelle attività culturali, ricreative e sportive (art.
27, comma 2, ord. penit.)
Rimane, infine, da sciogliere il nodo circa i contenuti del percorso rieducativo da intraprendere nei confronti dei condannati stranieri, privi di riferimenti sul territorio nazionale e portatori di valori culturali, religiosi ed esistenziali non sempre integrabili con quelli nazionali, sicchè la prospettiva che si apre è non solo la mancanza di accettazione di qualsiasi intervento da parte del detenuto ma soprattutto la inevitabile deriva di conseguenze conflittuali all’interno dell’istituto
L’unico strumento che in casi di questo genere può essere utilizzato è la Convenzione Europea sul trasferimento delle persone condannate del 21 marzo 1983 aperta anche a Stati non facenti parte dell’Unione europea, ratificata dall’Italia con l. 25 luglio 1988, n.
334.
Il trasferimento delle persone condannate è un istituto diverso dall’estradizione prevista dal codice di procedura penale e dal mandato di arresto europeo perché non ha una finalità di cooperazione giudiziaria in quanto mira a favorire il reinserimento sociale delle persone condannate avvicinandole appunto al loro paese d'origine, in modo tale da superare tutte quelle difficoltà che, su un piano umano, sociale e culturale, oltreché per l'assenza di contatti con i familiari, possono derivare dall'esecuzione della pena in un paese straniero.
La richiesta può provenire dal detenuto o da uno dei Paesi interessati ma è necessario il consenso di tutti perché il trasferimento avvenga, sempre che il residuo della pena da scontare non sia inferiore ad almeno sei mesi e che nello Stato di destinazione, in base al principio della doppia incriminazione, il fatto oggetto di condanna sia previsto come reato.
In siffatto contesto spicca l’art. 9, par. 1, lett. a), secondo il quale, avviato il trasferimento, le autorità competenti possono proseguire l’esecuzione attenendosi alla natura giuridica ed alla durata della sanzione quali risultanti dalla condanna, ovvero adattando la pena irrogata alle sanzioni previste dalle regole interne per reati dello stesso tipo, se la natura o la durata della sanzione irrogata nella sentenza di condanna risultino incompatibili con la legislazione interna. In questa ipotesi, tuttavia, va rispettato il limite di non aggravare, per natura o durata, la sanzione pronunciata nello Stato di condanna, né eccedere il massimo previsto dalla legge dello Stato d’esecuzione (art. 10). La prosecuzione dell’esecuzione della condanna è la soluzione per cui ha optato la maggior parte degli Stati partecipanti alla Convenzione, tra cui l’Italia (art. 3, l.
25 luglio 1988, n. 334; artt. 735 e 738 c.p.p.).
Particolarmente importante è la disposizione dell’art. 11 il quale stabilisce che la pena privativa della libertà non possa essere convertita in una sanzione pecuniaria e che, comunque, il trattamento sanzionatorio del condannato non possa essere aggravato. Recentemente, nel febbraio del 2018, è stato sottoscritto un protocollo aggiuntivo tra il Ministro della Giustizia italiano e il Segretario del Consiglio d’Europa che amplia l’ambito di operatività della Convenzione, prescindendo dal consenso del condannato quando costui abbia fatto rientro nello Stato di cittadinanza, prima o dopo la condanna irrogata dalle autorità italiane, ovvero quando sia stato oggetto di un provvedimento, anche amministrativo, di espulsione o di riaccompagnato alla frontiera, a prescindere dal fatto che detto provvedimento sia collegato o meno con i reati per i quali è intervenuta la condanna.
Ultimi articoli
- La legalità vero antidoto per la cultura mafiosa
- Natale, un po' di rabbia
e tanta speranza
nella cesta degli auguri - Lotte e sconfitte
nelle campagne siciliane
al tempo di Ovazza / 1 - La legge bavaglio imbriglia l'informazione
- Perché l’Occidente si autorinnega
- Ovazza, storia di un tecnico
prestato alla politica - Si smantella l’antimafia
e si indebolisce lo Stato - C’era una volta l’alleanza progressista
- Vito Giacalone, un secolo
di lotte sociali e politiche - Violenza sulle donne, come fermare
l’ondata di sangue