Il Teatro Biondo porta in scena Plauto, il Massimo esalta Beethoven 

Cultura | 5 luglio 2020
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Torna in scena il Teatro Biondo Stabile di Palermo, nel giardino dell’Orto Botanico, dal 7 al 12 luglio, con una commedia tra le più famose del teatro romano: Aulularia di Plauto, ovvero «La fabula della pentola d’oro», una storia che a Plauto fu ispirata da Menandro, e che dopo qualche secolo diventerà «L'Avaro» di Moliére. Protagonista è Edoardo Siravo, nel ruolo di Cacastecchi, il vecchio avaro. Doppia soddisfazione per Siravo che stasera riceve il Premio Flaiano per la carriera, «una carriera - spiega - che per metà possiamo considerare siciliana, tanti sono stati gli spettacoli che ho fatto in Sicilia, da Siracusa a Catania, al Teatro dei due Mari, o a Segesta. E il premio arriva proprio alla vigilia del debutto in 'Aulularià. Sarà al tempo stesso un’operazione popolare e colta, come ha pensato il regista Francesco Sala, con un linguaggio che prevede anche un latino maccheronico, ma molto divertente. Era doveroso riaprire il teatro, le recite in presenza del pubblico, distanziato quanto si vuole, ma sempre pubblico è, in un momento in cui gli aerei viaggiano a pieno carico, riaprono pure le discoteche, i teatri non potevano certo aspettare.» La traduzione così ardimentosa è di Michele Di Martino, utilizzando diversi registri linguistici, giochi di parole che danno vita ai tanti equivoci della commedia. Tra gli attori troviamo Paride Benassai e Stefania Blandeburgo, Antonio Silvia, Marco Simeoli e Gabriella Casali. Le scene sono di Luca Mannino e i costumi di Dora argento hanno previsto anche i guanti per ragioni di sicurezza. I posti disponibili sono circa 150, da prenotare su promozionale teatro Biondo.it.

 Il Teatro Massimo di Palermo, invece, ha riaperto i cancelli ieri sera per la prima volta, dopo il lockdown, con uno spettacolo che è un inno alla pietà umana, un programma particolarmente adatto a ciò che il mondo intero sta vivendo e che l’Italia ha affrontato. Persino la monumentale scalinata si è animata con un video mapping che raffigura cascate d’acqua, lame di fuoco, mani che si stringono e infine la maschera dionosiaca che accompagna il pubblico in un teatro del tutto diverso. Tutti si fermano davanti al termoscanner, temperatura presa, mascherina e su nei palchi per una visione circolare dello spettacolo. In platea l’orchestra distanziata ( e suonare così è più difficile), con Omer Meir Wellber sul podio a dirigere una composizione a lui stesso dedicata. «L'eterno straniero». Al centro dell’orchestra un letto d’ottone, simbolo esplicito del sogno di Beethoven che ispira il melologo per attore e orchestra di Ella Milch-Sheriff, accorata composizione dedicata a chi è costretto a vivere nell’isolamento, nella sofferta solitudine, nell’incomprensione. Dedicata a Beethoven, tanto quanto agli stranieri in fuga. Risuonano sonorità mediorientali, cellule armoniche che strizzano l’occhio a Malher, mentre il bravissimo Eli Danker recita il testo di Joshua Sobol. La regia di Roberto Andò è volutamente lieve, lascia spazio alla commozione della musica e sul tulle che copre il coro viene proiettato un filmato di Luca Scarzella sul deserto del sud d’Israele, il cielo stellato e ancora una volta la maschera del teatro greco lascia il posto al passaggio fluido alla Messa meravigliosa del genio di Bonn. La direzione di Omer Meir Wellber è vigorosa, puntualissima, attenta ai pianissimo e alla dolente magnificenza del Sanctus. Applausi generosi per tutti, per i solisti Marianna Pizzolato e Laura Giordano, per Luis Gomes e Evan Hughes. Perché una Messa? Perché finisce con l'unica preghiera che ci interessi: Dona nobis pacem. Si replica stasera.



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