Il Sud perde centomila posti di lavoro l’anno

Economia | 22 gennaio 2016
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"Dal 2008 al 2014 il Pil della Sicilia ha perso oltre 13 punti percentuali, contro il Centro-Nord che nello stesso periodo ne ha persi 7,4. Se poi si considera il periodo più ampio che va dal 2001 al 2014, il Mezzogiorno ha subito un calo del 9,4, con la Sicilia in testa alla classifica che ha perso ben 9 punti, mentre il Pil del centro Nord è cresciuto dell'1,5 per cento". E' impietosa l'analisi condotta da Svimez, l'associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, e riferita dal suo direttore Riccardo Padovani durante la conferenza "Le leggi di stabilità per il Sud e la Sicilia", organizzata dall'associazione e dal centro studi Pio La Torre alla facoltà di Agraria di Palermo. "Il problema dell'occupazione, poi, è tutto a carico del Sud – ha aggiunto Padovani - perché su oltre 811mila posti di lavoro persi in Italia dal 2008 al 2014, il Meridione ha registrato 575mila occupati in meno, mentre il centro-Nord si è fermato a 80mila posti in meno, con un impatto negativo sette volte maggiore nel Meridione, e questo richiede una politica strategica. Nel 2015 il tasso di disoccupazione al centro- Nord è stato dell'8,9%, mentre nel Mezzogiorno è più del doppio, supera, cioè, il 20%. Inoltre, il Pil nazionale nel 2015 è cresciuto dello 0,8, al centro Nord dell'1%, mentre al Sud si è fermato allo 0,1%. Se guardiamo agli investimenti fissi lordi, nel Mezzogiorno sono addirittura diminuiti dell'1%, mentre nel resto d'Italia sono aumentati dell'1,5%".

"I dati a nostra disposizione confermano una forbice ampia tra Nord e Sud - ha commentato Padovani - antecedente agli anni della crisi globale scoppiata nel 2008 - serve una strategia complessiva, le piccole misure non possono bastare. La lunghezza della recessione, la riduzione delle risorse per infrastrutture pubbliche produttive, la caduta della domanda interna sono fattori che hanno contribuito a indebolire fortemente l’apparato economico del Sud colpendo non solo le imprese inefficienti, ma lambendo anche imprese sane e tuttavia non attrezzate a superare una crisi così lunga e impegnativa".

"La legge di stabilità ha differenziato alcune misure – ha precisato il direttore di Svimez - come il credito d'imposta per le imprese solo al Sud, o la decontribuzione Inps. Sono piccoli passi, ma per sua natura la legge di stabilità, non ha il compito di dare degli indirizzi”. Qualche spiraglio, però, può arrivare dall'Europa: "Un elemento fondamentale - ha aggiunto Padovani - è aver ottenuto dall'Unione europea la possibilità di sforamento della clausola di salvaguardia del 3 per cento, che sblocca 5 miliardi di cofinanziamento che, sommati ai fondi strutturali, fanno 11 miliardi in più da spendere, di cui 7 al Sud, a patto che lo si faccia entro il 2016".

Tra i settori da valorizzare, secondo Padovani, "la logistica, il settore delle energie rinnovabili, la rigenerazione delle aree urbane, l'agroalimentare e l'industria culturale". All'incontro sono intervenuti anche i rappresentanti delle principali organizzazioni sindacali e al centro di critiche e riflessioni c'è stata la battaglia per il rilancio della raffineria di Gela. "Da Mattei a Matteo... Diciamo che il primo si rivolterebbe nella tomba. Dopo essersi battuto contro le sette sorelle americane, Mattei si rivolterebbe nel vedere la chimica italiana promessa in vendita a un fondo americano con capitali iraniani", ha detto Carmelo Barbagallo, segretario generale Uil.

"Se non si rispettano gli accordi - ha aggiunto Barbagallo - se non si parte mai con il piano industriale e gli accordi di programma, dopo i sacrifici dei lavoratori e le ristrutturazioni, i disagi sociali rischiano di diventare problemi. Bisogna reinvestire a Gela, la chimica verde è una speranza del futuro". Con un occhio al risanamento ambientale: "Dal caso Ilva, Gela e Priolo in poi non abbiamo imparato granchè. Se non sono le imprese a fare risanamento ambientale restando sui luoghi di competenza, a chi spetta? Chi lo fa? Dobbiamo coniugare occupazione con sicurezza e ambiente. Adesso ci tocca anche portare avanti una battaglia in Europa che considera aiuti di Stato gli interventi per risanare i siti". Favorevole alle trivellazioni in Sicilia si è poi detto Claudio Barone, segretario regionale Uil: “se le conoscenze scientifiche e tecniche mettono al riparo da rischi ambientali possono essere fatte anche nel nostro territorio, visto che si fanno in tutto il mondo. Non si può fare ambientalismo a orologeria per negare qualsiasi possibilità di sviluppo". Sicilia" organizzata da Svimez e dal centro studi Pio La Torre alla facoltà di Agraria del capoluogo.

"Quello della raffinazione in Sicilia - ha aggiunto Barone - è il principale settore industriale, non vorrei si mantenesse la stessa impostazione avuta nel ciclo dei rifiuti: si sono bloccati i termovalorizzatori e sono aumentate le discariche, vorrei capire dal punto di vista degli ambientalisti se questa è una situazione logica o se grida vendetta al cielo". Il segretario si è poi detto "A favore di sei mini termovalorizzatori anziché i due maxi come proposto dal governo nazionale, perché l'impatto ambientale proviene per lo più dalla movimentazione, e avere camion di spazzatura in giro per la Sicilia non mi sembra il massimo come tutela dell'ambiente". "Purtroppo oggi registriamo la totale assenza della politica industriale, l'Eni sta cedendo la chimica italiana a un fondo americano che non dà garanzie di nessun tipo, non si capisce perché continuiamo a regalare i gioielli di famiglia e a desertificare l'industria italiana, in particolare questo avrebbe delle ripercussioni fortissime in Sicilia sul polo di Priolo e Gela e questo non è tollerabile".

"Il governo non si oppone a una politica di saccheggio del nostro territorio - ha concluso Barone - da parte di investitori stranieri che non garantiscono nel tempo l'occupazione. Occorre cercare dei partner industriali affidabili, aspettiamo di capire quale politica industriale voglia fare questo governo". Tra gli altri presenti: Pietro Columba, della facoltà di Agraria, il sociologo Antonio La Spina, gli economisti Adam Asmundo e Fabio Mazzola, il ricercatore di Svimez Giuseppe Provenzano, Mimmo Milazzo, segretario generale Cisl Sicilia, Michele Pagliaro, segretario generale Cgil Sicilia, Nino Salerno, di Confindustria Sicilia, Adriano Giannola, presidente dello Svimez e Vito Lo Monaco, presidente Centro studi Pio La Torre. Infine, una stoccata è arrivata dall'economista Franco Garufi, del centro studi Pio La Torre, ad Alessandro Baccei, assessore regionale all'Economia, e Giovanni Ardizzone, presidente Ars, entrambi assenti all'iniziativa: "Cappello d'asino al governo regionale che oggi ha mancato questo dibattito, un'occasione persa di confronto costruttivo tra sindacati e associazioni di categoria sull'occupazione e lo sviluppo nel Mezzogiorno".




 di Antonella Lombardi

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