Il ruolo delle mafie nella crisi generata dalla pandemia

Società | 29 aprile 2020
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Sulle risposte al questionario del Centro Pio La Torre

La prima osservazione riguarda le risposte in cui si dà un giudizio positivo dell’azione dello Stato ma poi si dice che la mafia è forte perché ricorre efficacemente alla corruzione e gode di protezioni. Rimane implicita la bivalenza istituzionale, dato che le protezioni e l’azione corruttiva hanno come attori e referenti le istituzioni.

Si pone insieme il problema di una perdurante doppiezza dello Stato e del corpo istituzionale nel suo complesso, e della qualificazione attuale del fenomeno mafioso che viene sbrigativamente ancorato alle prassi corruttive con l’archiviazione del ricorso alla violenza.

La mafia, come tutti i fenomeni di durata, intreccia continuità e innovazione e la violenza, anche se non agita, ma potenziale ed eventuale, rimane un attributo determinante dell’identità e del corredo reputazionale.

A mio avviso non si ha una coscienza adeguata degli aspetti che possono ricondursi a quella che chiamo “società mafiogena” che, nonostante l’azione repressiva di innegabile efficacia, a cominciare dagli anni ’80, continua a riprodurre il fenomeno mafioso per alcune caratteristiche strutturali, come la debolezza dell’economia legale, una cultura sedimentata, la richiesta diffusa di beni e servizi illeciti

L’aspetto che dovrebbe interessarci di più riguarda il possibile ruolo delle mafie nella situazione attuale generata dalla pandemia e nei suoi prevedibili sviluppi. Le mafie possono intervenire soprattutto a due livelli. Il primo: l’accaparramento di buona parte dei fondi pubblici con il condizionamento degli appalti, l’offerta di servizi e forniture; il secondo: le forme di credito usuraio per settori in crisi e di “welfare” elementare per strati marginali che vedranno aumentato il disagio sociale.

Sul primo punto mi sembrano interessanti le proposte di Ernesto Savona: la semplificazione normativa, l’analisi di rischio, ma è decisivo lo snellimento radicale e la responsabilizzazione dell’apparato burocratico, insieme paralizzante per la sua elefantiasi e aperto a ogni forma di infiltrazione. Lo “stato d’eccezione” può essere l’occasione per una riforma burocratica altrimenti improbabile?

E si può finalmente mettere all’ordine del giorno una lotta all’evasione fiscale, finora mai fatta seriamente?

Non so se sia il caso di evocare la “modernità”, termine in cui si può mettere di tutto. Anche la mafia ha un piede nell’arcaico e l’altro nella modernità. Quali sono le società ”moderne”? L’America di Trump e la Gran Bretagna di Johnson? Abbiamo bisogno di altre categorie. Penso che sia in atto una crisi della democrazia dentro una crisi di civiltà.

Riguardo al secondo punto, il governo ha deciso di concedere prestiti agevolati attraverso l’intermediazione delle banche; a mio avviso sarebbe stato preferibile erogare aiuti diretti a fondo perduto, come hanno fatto in altri Paesi.

Il ricorso al “welfare mafioso” può essere evitato se si fa una politica che coniughi l’assistenzialismo emergenziale a una strategia di liberazione dal bisogno di strati sempre più ampi. Si parla di 10 milioni di persone a rischio povertà.

Occorre un piano di sviluppo che metta al centro il lavoro e qui è decisivo il mutamento di rotta della politica economica europea che sarà difficile ottenere, poiché rimane in vigore, anche se precariamente mitigata, l’ideologia mercatista. Il Recovery Fund può essere un primo passo in questa direzione? Penso che soprattutto su questo dobbiamo interrogarci, sia per quanto riguarda l’azione istituzionale che quella della società civile organizzata. Se non ci sarà una mobilitazione del tipo di quella che c’è stata per i mutamenti climatici non credo che si sarà un effettivo cambiamento.

Un’altra questione riguarda la scuola che dalle risposte risulta la fonte principale di conoscenza del fenomeno mafioso. Come Centro Impastato siamo intervenuti nelle scuole subito dopo la legge regionale 51 del 1980 e abbiamo fin dall’inizio osservato che le iniziative erano eventuali e sporadiche e abbiamo proposto che facessero parte integrante della didattica curriculare. Si è passati dall’emozione suscitata dai grandi delitti e dalle stragi a una sorta di routine: quasi sempre è un singolo professore che si accolla l’organizzazione delle iniziative, che troppo spesso si riducono alla riproposizione dell’educazione alla legalità, sganciata dal territorio e dalle biografie familiari degli studenti, in contesti sociali in cui buona parte della popolazione vive di illegalità Una delle attività del No mafia Memorial è proprio quella di ridefinire, attraverso i laboratori didattici, il lavoro nelle scuole.

Che giudizio danno i docenti delle attività degli ultimi anni e in corso?

Buon lavoro.

 di Umberto Santino / Centro Impastato

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